Il 27 novembre 2012 è stata approvata dalla Camera la legge denominata “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”. La nuova disciplina ha introdotto delle modifiche rilevanti sul tema della parentela, sul riconoscimento, sui diritti e doveri dei figli e circa la competenza dei tribunali.
Contrariamente a quanto riportato dai mass-media, la legge non è importante in quanto avrebbe equiparato i figli naturali con i figli legittimi permettendone il riconoscimento anche a chi era già unito in matrimonio, (in realtà fin dalla riforma del 1975 con la legge n. 151 i figli naturali erano stati equiparati del tutto a quelli legittimi ed era stato ammesso il riconoscimento dei figli naturali, anche se il padre o la madre risultavano già uniti in matrimonio con altra persona), quanto perché vengono eliminate residue difformità di trattamento, al fine di equiparare completamente i figli naturali con quelli legittimi (non esiste più neanche la differenziazione verbale, esistendo ora solo la parola “figli”) e per l’introduzione di importanti novità sul piano sostanziale, ma anche sotto il profilo procedurale.
IL RAPPORTO DI PARENTELA
Sotto un primo aspetto è stato modificato l’art. 74 del Codice Civile, prevedendo che il rapporto di parentela si instaura sia con le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione sia avvenuta al di fuori del matrimonio, sia in caso di figlio minore adottivo.
Ciò non per la tutela ereditaria, in quanto già con l’art. 566 c.c. i figli naturali dal punto di vista ereditario erano equiparati ai figli legittimi e quindi ereditavano al pari dei figli nati all’interno del matrimonio, quanto perché in precedenza, i figli nati fuori dal matrimonio si vedevano riconosciuti i legami di parentela solo con i propri genitori. Ciò poteva creare rilevanti problemi. Per esempio allorché fossero venuti a mancare entrambi i genitori, non sussistendo alcun vincolo di parentela sotto il profilo legale, c’era il rischio che il minore venisse dato in adozione.
Attualmente con la precisazione normativa i minori nati al di fuori del matrimonio si vedono riconosciuti gli stessi rapporti di parentela dei figli legittimi, scomparendo nel Codice anche la distinzione fra figli legittimi, naturali e legittimati.
Quindi in sostanza il riconoscimento del figlio naturale comporta effetti non solo relativamente al genitore ma anche nei confronti dei suoi parenti.
Il vincolo di parentela non sorge invece nei caso di adozione di persone maggiori di età.
Inoltre, per ciò che riguarda le successioni, con l’equiparazione dei figli si elimina l’istituto della cosiddetta “commutazione” che prevedeva che in caso di eredità condivisa tra figli legittimi e figli naturali, a questi ultimi potesse essere proposta dai legittimi una somma in denaro al posto della quota ereditaria.
Tale disposizione era contenuta nell’ultimo comma dell’art. 537 c.c. che infatti espressamente statuiva che i figli legittimi potessero soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari, le porzioni spettanti ai figli naturali.
In caso di opposizione avrebbe deciso il giudice valutate le circostanze personali e patrimoniali.
Ora questa differenziazione tra figli naturali e figli legittimi non esiste più, usando appunto la legge esclusivamente l’espressione “figli”.
RICONOSCIMENTO DEL FIGLIO NATURALE
Di estremo interesse sono le modifiche sul tema e la semplificazione della procedura per il riconoscimento del figlio naturale, in caso di opposizione dell’altro genitore.
La norma precedente di cui all’art. 250 c.c. prevedeva che il figlio naturale potesse essere riconosciuto da entrambi i genitori o separatamente.
La disposizione stabiliva la necessità del consenso del figlio ultrasedicenne.
L’età ora, con la riforma, è stata ridotta a quattordici anni.
La cosa tuttavia più importante è la più razionale procedura in caso di opposizione dell’altro genitore.
L’art. 250 c.c. prevede espressamente che il riconoscimento del figlio che non abbia compiuto (attualmente) quattordici anni, non possa avvenire senza il consenso dell’altro genitore che lo ha già riconosciuto.
Questo caso è abbastanza frequente nella realtà.
Si verifica in alcune situazioni nelle quali la donna, dopo aver riconosciuto da sola il figlio, spesso per sopravvenuti contrasti con l’altro genitore, voglia impedire il riconoscimento da parte del padre, anche se detto riconoscimento comporta ovviamente l’obbligo del mantenimento del minore.
La normativa preesistente già prevedeva che il consenso non potesse essere rifiutato dalla donna se il riconoscimento rispondeva all’interesse del figlio.
Diversamente il diniego del riconoscimento diviene legittimo, ove questo si dovesse tradurre in un grave pregiudizio tenuto conto dell’interessere del figlio; ciò anche al di là della paternità biologica (si pensi ad un padre affetto da problemi conclamati psichiatrici, di aggressività, di tossicodipendenza cronica, e simili)
La procedura con la riforma è stata resa più snella, prevedendosi in luogo di un’ordinaria causa, un’azione estremamente semplificata.
Infatti qualora uno dei due genitori rifiuti il consenso, l’altro (spesso il padre), può ricorre al giudice che fissa un termine per la notifica del ricorso al genitore che si oppone.
Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che sostituisce il consenso mancante.
Se invece viene proposta opposizione, il giudice assunta ogni opportuna informazione, dispone l’audizione del figlio minore che abbai compiuto almeno dodici anni o anche di età inferiore se capace di discernimento, ed assume gli eventuali provvedimenti provvisori ed urgenti al fine di instaurare la relazione con il presunto padre (diritto di visita, contributo economico, ecc.).
Ciò sempreché l’opposizione della donna non sia palesemente fondata.
Con la sentenza che tiene luogo al consenso mancante il Tribunale pronuncia i provvedimenti necessari relativi all’affidamento, al mantenimento ed al cognome.
Ricordiamo sotto questo profilo che l’art. 262 del Codice Civile statuisce che “il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se però il riconoscimento è contemporaneo assume il cognome del padre”. Ove viceversa, come nel caso sopra esaminato, il riconoscimento del padre sia successivo, il figlio naturale può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre.
IL PROBLEMA DEI FIGLI INCESTUOSI
Del tutto innovativa, ma data la rarità dei casi di scarso interesse, è la questione del possibile riconoscimento dei figli incestuosi, che la precedente normativa di cui all’art. 251 c.c. non ammetteva.
Attualmente con la nuova formulazione, il figlio nato da persone tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito ed il linea collaterale nel II grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere, contrariamente a quanto avveniva in precedenza, regolarmente riconosciuto, previa autorizzazione del giudice, avuto sempre riguardo all’interesse del figlio ed alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.
In caso di minori di età il provvedimento è assunto dal Tribunale per i minorenni.
DIRITTI E DOVERI DEI FIGLI
È stato ancora introdotto un nuovo articolo nel Codice Civile (315 bis) con cui si prevede, da un lato che il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito ed assistito moralmente dai genitori nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni, dall’altro che il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, (con ciò rifacendosi alla normativa di cui alla legge n. 74/06 in tema di separazione e divorzio che già accennava al diritto dei nonni e dei nipoti).
La norma ha previsto espressamente che in tutte le questioni e le procedure giudiziali che lo riguardino, obbligatoriamente il figlio minore che abbia compiuto gli anni 12 ed anche di età inferiore, ove capace di discernimento, debba essere sentito dal giudice.
Quanto ai doveri la norma prevede che il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze ed al proprio reddito, al mantenimento della famiglia fino a che convive con essa.
DELEGA AL GOVERNO ED ESCLUSIONE DELLA COMPENTENZA DEL TRIBUNALE MINORILE PER LE COPPIE DI FATTO
Nella parte finale della legge, viene delegato il Governo per la revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione con obbligo di attenersi ai principi della legge mediante decreti legislativi di modifica da emettersi entro dodici mesi dall’entrata in vigore della normativa.
Una novità di estrema importanza che modifica radicalmente l’attività del Tribunale per i Minorenni e del Tribunale Ordinario è quella contenuta nell’art. 3 della legge che, nell’indicare i procedimenti residui di competenza del Tribunale per i minorenni, attribuisce in modo innovativo tutti i procedimenti relativi alle crisi della coppie di fatto con figli, al Tribunale ordinario, statuendo che si debbano applicare le procedure in Camera di Consiglio previste dagli art.li 737 e seguenti c.p.c.
L’innovazione è notevole e sposta di colpo l’asse dei procedimenti giudiziari in tema di diritto di famiglia per le coppie con figli conviventi more uxorio, alleggerendo ex abrupto il Tribunale per i Minorenni e ovviamente proporzionalmente appesantendo il Tribunale ordinario.
Infatti in tema di affidamento, collocamento, assegnazione della casa e mantenimento della prole, per le coppie di fatto con figli le pronunce spettavano sempre al Tribunale per i minorenni.
Per chiarire la ratio della norma è bene ricordare le origini del Codice Civile e la situazione sociale all’epoca della sua emanazione nel 1942.
A quei tempi la situazione nell’ambito di rapporti di convivenza e matrimoniali, era totalmente diversa da quella attuale.
Le famiglie negli anni ’40 erano costituite per la quasi totalità da coniugi uniti in matrimonio, residuando i rapporti di convivenza ad una percentuale minima.
Pertanto appariva estremamente razionale attribuire le crisi dei rapporti matrimoniali ai Tribunali ordinari capillarmente presenti sul territorio in ogni città di rilievo, riservando al Tribunale per i minorenni, unico per un territorio molto più vasto, (in genere uno per Regione) tra le altre competenze, anche quella di assumere i provvedimenti in tema di crisi delle convivenze con nascita dei figli naturali.
Oggi la situazione è del tutto diversa, sussistendo circa 200.000 matrimoni superati però ampiamente dal numero delle convivenze: quasi 300.000.
Appare quindi ben razionale la modifica che attribuisce ai Tribunali ordinari, capillarmente presenti sul territorio, anche le decisioni circa i figli nati dai rapporti more uxorio.
Naturalmente la norma dovrà essere seguita da un rafforzamento delle sezioni che si occupano del diritto di famiglia dei Tribunali ordinari, che allo stato non sono certamente in grado di affrontare un raddoppio dei procedimenti, soprattutto tenuto conto della necessità che le statuizioni, nell’interesse dei figli, vengano assunte con estrema tempestività.