Non solo economia: l’Europa ci chiede anche che ad essere a posto non siano solo i conti ma che anche aule di tribunali e diritti dei cittadini siano in ordine.
Stiamo attraversando un momento particolarmente complesso. Lo ha affermato giovedì 24 novembre il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano davanti al Consiglio Superiore della Magistratura chiedendo un «valido codice deontologico volto ad affermare il necessario rigore nel costume e nei comportamenti del magistrato».
Nello stesso giorno la Corte di Giustizia delle Comunità europee ha pubblicato la sentenza con la quale si dice sostanzialmente che la legge sulla responsabilità dei giudici è troppo “fiacca” nella parte che riguarda una violazione del diritto comunitario.
I tempi degli scontri istituzionali si spera siano alle spalle e ora, forse, si potrà riprendere serenamente a parlare di riforme serie e concrete per dare piena attuazione alla giustizia.
La Corte europea detta la strada: rivedere la legge 117/1988, meglio conosciuta come legge Vassalli, arrivata dopo il referendum del 1987, con il quale circa l’80% degli italiani si dichiarò a favore dell’introduzione di una responsabilità civile per i magistrati.
La legge arrivata subito dopo, a detta ad esempio dei Radicali che all’epoca promossero i tre referenum tra i quali quello sulla responsabilità dei giudici, si allontanò dalla decisione presa dagli italiani perché fece ricadere la responsabilità di eventuali errori non sul magistrato ma sullo Stato, con la possibilità di rivalersi sul primo solo in caso di accettazione della domanda e solo entro il limite di un terzo di annualità dello stipendio. Wikipedia riporta che «dall’epoca della sua entrata in vigore, nessuna sentenza di condanna è mai stata pronunciata sulla base di tale legge».
Responsabilità civile e sanzioni disciplinari
Occorre a questo punto chiarire la differenza tra responsabilità civile del magistrato e sanzioni disciplinari inflitte dal Consiglio superiore della magistratura, organo di autogoverno delle toghe.
La responsabilità civile del magistrato è appunto disciplinata dalla legge 117/88 e prevede un meccanismo in base al quale il cittadino, in caso di violazione, può fare causa ma solo citando lo Stato e solo in caso di accoglimento della domanda può rivalersi sul magistrato (tutti i magistrati aderenti all’Anm hanno comunque una polizza assicurativa).
Il Csm, invece, può aprire un procedimento disciplinare in caso di notizia di illecito; l’azione può essere promossa dal Procuratore generale e dal ministro della Giustizia e deve concludersi entro due anni (tante sono state le azioni promosse in questi anni di scontri, basti ricordare De Magistris o la Forleo). Per aprire un’azione disciplinare deve esserci ad esempio ritardo nel deposito dei provvedimenti, ritardi e negligenze nell’attività dell’ufficio, oppure violazione di norme processuali penali o civili. La norma sugli illeciti fu rivista dalla riforma dell’ordinamento giudiziario voluta dall’allora Guardasigilli Roberto Castelli durante il governo Berlusconi III e molti ricorderanno che la lista, durante la discussione parlamentare cambiò molte volte. L’organo di autogoverno può quindi arrivare a condanne con sanzioni disciplinari: secondo i dati di Palazzo dei Marescialli nel primo semestre del 2010 ci sono state 36 condanne e 22 dimissioni. Da non confondere però con le condanne, appunto, per responsabilità civile che prevedono il risarcimento economico del danno.
La sentenza della Corte Ue
Nella causa C-379/10 della commissione Ue contro l’Italia, alla sbarra della corte europea ci è arrivata la legge 117/88 sul risarcimento dei danni dovuti all’operato delle toghe e sulla loro responsabilità civile. I giudici della Corte Ue hanno “ripreso” la nostra legge nella parte in cui esclude qualsiasi responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora la violazione derivi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuate dall’organo giurisdizionale stesso e nella parte in cui limita tale responsabilità ai casi di dolo o colpa grave.
Il Documento (leggibile in allegato) riporta che sull’argomento la Corte si era già pronunciata con la sentenza del 13 giugno 2006, sottolineando anche che la nostra normativa viene interpretata dai giudici nazionali come un semplice limite alla responsabilità dello Stato e non nel senso di escluderla. In estrema sintesi, comunque, la Corte ha sottolineato che la nostra normativa è in contrasto con il principio di responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto comunitario: l’interpretazione della legge da parte dei giudici italiani, infatti, non risulta conforme alla giurisprudenza comunitaria che impone tre condizioni: la norma giuridica deve essere preordinata a conferire diritti ai singoli cittadini, la violazione deve essere sufficientemente caratterizzata e vi deve essere nesso causale diretto tra violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito.
L’Italia, intanto, dovrà pagare le spese quindi dovrà modificare la legge. Con la speranza che il clima di scontro istituzionale sia alle spalle e che si possa ragionare serenamente su come dare il giusto corso alla giustizia.