Il Comune può intervenire con proprio regolamento a fissare una dimensione minima dei propri alloggi in ossequio al principio di vivibilità.
Spazi idonei alla residenza di carattere stabile che nel caso esaminato dal Consiglio di Stato nella sentenza 17 febbraio 2014n. 747 si sostanziano in una superficie minima pavimentabile, al netto di murature e spazi accessori, pari a 80 mq, ben di più della media per le nuove costruzioni.
Alveari di case – «Illegittima compressione del diritto di edificare degli operatori del settore», ha tuonato l’impresa che in base al regolamento edilizio di un Comune veneto si era vista negare il permesso di costruire ben tre fabbricati residenziali, comprendenti ciascuno sei unità abitative, di dimensioni variabili da 56,36 mq a 59,41 mq.
Una norma che supera l’ambito «suo proprio […] per essere invece destinata ad arginare il fenomeno della c.d. “seconde case”» per i giudici di prime cure che avevano accolto l’istanza della ditta.
La decisione di porre un freno alla polverizzazione del patrimonio edilizio, ha risposto il Comune, non sarebbe «frutto di un capriccio» ma la risposta «a precise esigenze, allo scopo di evitare il maggior carico urbanistico prodotto da edifici plurifrazionati».
Davanti a queste tre posizioni, il Consiglio di Stato, chiamato a dirimere la questione a partire dall’articolo 4 del Testo Unico dell’edilizia, in relazione con il Tuel e i principi costituzionali tra cui quello dell’iniziativa economica privata dettato dall’articolo 41 della Carta fondamentale dello Stato.
L’esame della questione nel suo complesso, ha portato il collegio giudicante a considerare l’atto del Comune, in concreto, non «palesemente irragionevole», perché strettamente legato all’assicurare ai propri cittadini delle abitazioni vivibili per un nucleo di quattro persone e a respingere tutte le doglianze del resistente.
Vivibilità in senso ampio – A norma dell’articolo 4, comma 1, del Testo unico dell’edilizia «il regolamento che i Comuni adottano ai sensi dell’articolo2, comma 4, deve contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo alle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi». Il concetto di vivibilità viene qui inteso in senso molto ampio e, da solo, potrebbe giustificare il potere regolamentare del Comune di intervenire sulla struttura minima degli alloggi.
Secondo il Consiglio di Stato, inoltre, la scelta politica effettuata dal Comune di orientare, distinguendo tra tipologie di opere edilizie, da una parte la riqualificazione dell’esistente e dall’altra la costruzione di alloggi ex novo non richiederebbe neppure una specifica motivazione per il carattere generale dell’atto che appare in ogni caso non irragionevole. In altre parole, l’amministrazione comunale si è fatta carico di contemperare due ordini di interessi che incidono sul proprio territorio e che, in quanto ente di prossimità, le impongono di adempiere a degli obblighi urbanistici che necessariamente rendono più o meno vivibile il Comune stesso. Da una parte la domanda turistica, che si è cercato di orientare verso il recupero degli immobili già edificati con un riattamento dei volumi esistenti con un limite minimo di 56 mq. Dall’altra un processo «corretto di trasformazione urbanistica del territorio comunale», finalizzato ad assicurare la realizzazione di appartamenti con spazi idonei alla residenza di carattere stabile con dimensione minima di 80mq, posto che nel territorio sarebbero «già più che sufficientemente presenti unità abitative di piccole dimensioni, adatte alla sola residenza stagionale».
Proprio quello stesso articolo 4 del Testo Unico perciò per la Corte legittima il Comune a un regolamento come quello adottato: nella sua sfera di competenza l’amministrazione deve poter regolare tutti quegli aspetti che ritiene rilevanti per il normale vivere civile dei propri cittadini, anche in termini di tutela del territorio e della qualità della vita. Ben si innesta su questi limiti la scelta di limitare la costruzione di “seconde case”, con un aggravio del peso urbanistico, imponendo specifiche caratteristiche dimensionali pertanto.
Regolamento vs strumenti urbanistici – Una delle eccezioni sollevate contro la decisione comunale riguarda direttamente lo strumento adottato, considerato illegittimo anche nella forma.
Una censura ritenuta inammissibile da Palazzo Spada: una netta e radicale distinzione tra regolamento edilizio e norme tecniche di attuazione del Piano Regolatore Generale per la Corte è artificiosa.
Tra i due strumenti, sottolineano i giudici, esiste un rapporto di integrazione reciproca che porta la natura normativo-regolamentare dell’uno a “dialogare” con il carattere programmatorio-pianificatorio dell’altro.
Diniego legittimo al permesso di costruire: il rispetto delle normative igienico-sanitarie non basta a fare di una struttura abitativa una casa.
Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 17 febbraio 2014 n.747