Un intreccio di storia politica, economica e sociale, dove spesso tutto si muove su un doppio binario, uno evidente l’altro carsico: è l’essenza del libro Una Repubblica senza Patria, scritto a quattro mani da Vittorio Feltri e Gennaro Sangiuliano, edito da Mondadori e presentato martedì 12 novembre a Palazzo delle Esposizioni di Roma.
Alla presentazione numerose personalità del mondo della cultura e della politica come Gigi Marzullo, Luciano De Crescenzo, Marina Ripa di Meana, il senatore Maurizio Gasparri e l’onorevole Luciano Violante.
“Una Repubblica senza Patria”: titolo graffiante che spiega, secondo un disegno preciso e coerente, le vicende fondamentali dall’8 settembre del 1943 ad oggi. Il libro è già un caso editoriale, infatti dalle sue pagine emergono non solo dettagli e nuove testimonianze, ma si concede anche risalto a quelle fasi, troppo spesso taciute, della storia nazionale perché non coerenti con la vulgata dominante e la sua impostura ideologica. Le due parti in cui si compone il libro esplorano la complicata realtà degli italiani. Gli eventi si snodano dall’8 settembre del 1943, da un lungo dopoguerra, segnato dalla tensione fra Usa e Urss, dalla nascita della Repubblica, da un assetto costituzionale non privo di contraddizioni, dalla ricostruzione, dal miracolo economico italiano, dal Sessantotto, dal terrorismo, fino a vicende più recenti, in particolare, per citare i “visti da vicino”, da Fanfani a Berlusconi, da Bossi a Grillo.
Come ha spiegato Vittorio Feltri «Siamo legati a una strana idea della politica. Non la consideriamo lo strumento che dovrebbe permetterci di vivere meglio, ma una religione, nei confronti della quale c’è solo fede cieca e nessuna voglia di ragionare. Si procede senza valutare il proprio interesse, comportamento tipico di un Paese che non sa cosa sia la Patria, quindi si attacca a un partito, a una confessione religiosa, talvolta al calcio. Tutto, pur di non riconoscersi come popolo unico e come patria».
Un libro che poco ha a che fare con il politicamente corretto, un libro che tenta di abbattere alcune icone della storia italiana dal dopoguerra, a cominciare da quei protagonisti consacrati dalla storiografia prevalente e che, invece, Feltri e Sangiuliano mettono sotto le lenti della critica.
Una “dittatura del politically correct e dei luoghi comuni”, come ha sottolineato Gennaro Sangiuliano, “che ha fatto sì che diventassimo noi stessi italiani i persecutori di un passato che dovrebbe essere patrimonio di memorie e di diversità socioculturali, e che invece, per esempio, si è trasformato nella triste gestione di musei e opere d’arte trattati senza più riguardo e cura. Le cause di questo fenomeno, a metà fra l’individualismo e il malcostume, sembra siano da attribuire ad una rete patologica di fattori che si accavallano l’uno sull’altro, e che vengono da lontano”.
“Una Repubblica senza patria” è una chiara, lucida analisi della situazione italiana, ancor più oggi di fronte a una crisi economica che ha fatto crollare tutte le certezze, che si presenta come uno Stato senza nazione, fatto di cittadini che si riconoscono solo nel proprio gruppo, partito, chiesa, squadra sportiva, come si legge in alcune pagine che spiegano come «la divisione in ducati, signorie, contee e parrocchie ci ha lasciato dentro l’animo del suddito. E un suddito non avrà mai come scopo il bene della comunità, baderà soltanto a salvarsi dalle intrusioni del principe prepotente».
Ma le cause di questo fenomeno a metà fra l’individualismo e il malcostume, sembra siano da attribuire ad una rete patologica di fattori che si accavallano l’uno sull’altro, e che vengono da lontano. “Chi avesse usato il termine ‘patria’ fino a qualche tempo fa, ha spiegato Feltri, sarebbe stato accusato di essere nostalgico, conservatore o addirittura fascista, poiché usava un vocabolo scorretto, che quasi andava nascosto. Dimenticando che abbiamo sempre faticato ad essere un popolo coeso perché dilaniato da tante divisioni, finanche nel mondo dello sport vissuto con campanilismo e come una fede, una religione, al pari di una politica asservita solo agli interessi di parte”. Si comprende bene che la matrice che unisce tutte le esperienze politiche italiane è la divisione, la mancanza di un visione condivisa della Stato e dello sviluppo economico e culturale della nazione. Una storia caratterizzata da divisioni politiche e ideologiche che preludono a due Italie sullo stesso suolo e che, in un certo momento storico, sarebbero anche potute diventare due Stati: la destra democristiana e «filoamericana» e la sinistra comunista e «filosovietica». La conclusione è quasi drammatica: l’Italia è certamente un’entità statuale ma è una Repubblica senza patria.
Un’analisi che non ha sorpreso Luciano Violante, consapevole di trovarsi di fronte al “punto di vista di destra su un problema molto serio: la divisibilità italiana”. Ma d’altra parte “una nazione non si costruisce con facilità”, e l’Italia è indietro di 300 anni rispetto agli altri grandi Stati europei. Cosa fare, allora, per andare oltre? L’ex presidente della Camera ha indicato due “fattori sui quali spero si possa ricostruire l’idea di nazione: il recupero della categoria del rispetto e la rilegittimazione del concetto di negoziazione politica e del compromesso politico”. E di fronte al suggerimento di Violante e alle analisi degli autori del libro, Maurizio Gasparri ha invitato tutti “a fare con passione e determinazione la propria parte” ed ha messo in guardia da quello che oggi appare come il maggior pericolo da combattere, vale a dire il “declino storico e demografico del mondo occidentale”. Una situazione che richiede, ad esempio, la necessità di “ristabilire regole uguali per tutti” e di superare un “politicamente corretto” di cui spesso si è “vittime sul piano globale”.