Con quel suo “Fassina chi?”, Matteo Renzi si è definitivamente rivelato: il segretario del Partito Democratico è il Maurizio Mosca della politica italiana.
Renzi avrebbe potuto sbarazzarsi dell’ex viceministro dell’Economia con un “Avesse detto…” o con un “Non lo conosco”, ma poco sarebbe cambiato: la reincarnazione di Mosca in Renzi è ormai compiuta.
Matteo è il nuovo Maurizio: entrambi sono (consentiteci di parlare di Mosca al presente) battutisti, comunicatori stravaganti, innovatori della parola e della gag, rottamatori del passato. Volutamente eccessivi, talvolta provocatori, costringono gli altri a seguirli (e amarli) o a odiarli (e disprezzarli): di qua o di là, per citare il programma che Mosca conduceva su Antenna Tre poco più di un decennio fa (un piccolo gioiello, nella sua semplicità trash, molto più rappresentativo del Paese di mille Ballarò, Gabbie e Servizi Pubblici).
Matteo/Maurizio non è presuntuoso, o se lo è lo nasconde bene; non è spocchioso, o se lo è sa mascherarlo perfettamente; non è arrogante, ma se gli girano gli girano: e allora ti conviene stare dalla sua parte, perché fare imbizzarrire un Matteo/Maurizio è sempre pericoloso .
E allora, di qua o di là. Di qua, se di Matteo/Maurizio ti infastidisce il suo modo di parlare, ti innervosisce la sua improvvisazione (talvolta programmata), ti irrita il suo prendersi gioco dell’avversario, ti disturba il suo dileggiare in maniera perfidamente simpatica chi non la pensa come lui, ti indispettisce il suo essere strabordante ed esagerato, ti stizzisce il suo non poter passare inosservato, ti esaspera il suo essere presente anche quando non c’è; di là, se di Matteo/Maurizio ti piace il suo modo di sdrammatizzare, ti affascina il suo trovare una definizione fulminea per tutto, ti colpisce il suo essere (volente o nolente) al tempo stesso erede, protagonista, conseguenza e nemico del berlusconismo, concordi con il suo dare ragione a Berlusconi, apprezzi il suo saper arrivare ai giovani e agli anziani, non senza una certa dose di populismo e demagogia, sempre sapientemente mischiata a una goccia di ironia crudele.
Il doppelgänger Matteo/Maurizio ha dato un calcio a quelli che c’erano prima di lui. Renzi ha chiuso in uno sgabuzzino il sigaro di Pierluigi Bersani come Mosca ha chiuso in uno sgabuzzino il sigaro di Gianni Brera. L’uno ha fatto dimenticare, come scrive Francesco Merlo su Repubblica, “l’uomo solo al comando che si aggrappava a un boccale di birra, e quella odiosa scenografia da apparato, tempi contingentati, verbali, documenti, emendamenti, dipartimenti, un potere fatto di asprezze nascoste e distanze incolmabili”; l’altro ha fatto dimenticare il giornalismo dei paroloni, delle subordinate infinite, delle teorie della razza, della retorica infarcita di vocaboli ampollosi e dei nomi inventati. L’uno ha portato la politica a terra; l’altro ha riportato il giornalismo sportivo a terra.
E allora Stefano Fassina, quarantasette anni, romano ed ex bocconiano, che se ne va sbattendo la porta perché snobbato da Renzi, diventa come Roy Hodgson, che se ne va con stile tipicamente british perché provocato da Mosca; e allora Enrico Letta, che di Renzi è compagno di partito e che da Renzi rischia di essere mandato via, diventa come Benito Lorenzi, che da Mosca viene lasciato a casa .
Grazie a Matteo, oggi la politica è percepita come se fosse a disposizione di tutti: se questo sia un bene o un male, lo scopriremo tra qualche anno, forse qualche decennio. Grazie a Maurizio, il calcio da anni è percepito come un gioco (sì va bene, i miliardi, le combine, le liti, le risse i trucchi, gli arbitri comprati con le prostitute, le interviste forse inventate – ma è tutto come un gioco): se questo sia stato un bene o un male, lo scopriremo tra qualche anno, forse qualche decennio.
Matteo/Maurizio è vicino al kitsch, al trash, al discorso da bar (quello dove paghi un euro di caffè per leggerti due ore la Gazzetta), alla conversazione da parrucchiere (con il vecchio cliente che pulisce i capelli per terra per dare una mano), all’essere alla mano, al parlare come me e te.
Matteo Renzi è il Maurizio Mosca della politica italiana, ma c’è una grande, significativa differenza tra i due: solo uno si prende sul serio; l’altro, invece, si diverte (e ci diverte) veramente.