Oltre 7mila istruttorie bloccate da 11 anni, circa 23mila titoli scaduti, 20 mila nuove istanze tutte da vagliare e decine di milioni di euro di canoni andati in fumo perché non incassati. C’è la paralisi negli uffici del servizio di bacino della regione Emilia-Romagna preposti, dal 2000, al rilascio delle concessioni idriche ossia alle autorizzazioni a prelevare l’acqua dai bacini idrici della regione.
Sono gli stessi uffici regionali a rivelarlo in un documento, prodotto a seguito dell’inchiesta di Golem sul caso anomalo della Chiusa di Casalecchio, che descrive una situazione di stasi che non è mai stata sbloccata da quando, 12 anni fa, la Regione ha acquisito questa competenza dall’allora ministero dei Lavori pubblici.
«Molte pratiche – spiega Giuseppe Bortone, direttore generale Ambiente della regione Emilia-Romagna – sono ancora in fase istruttoria e si trascinano così dalla precedente gestione ministeriale. Non è escluso che, nel corso dell’iter amministrativo per il rilascio della concessione, alcuni richiedenti possano comunque prelevare l’acqua anche in assenza di un’espressa autorizzazione. Se lo fanno comunque hanno l’obbligo di rispettare il deflusso vitale minimo dei corsi d’acqua previsto da una legge regionale».
Una situazione fuori controllo
Che sia praticata la cattiva prassi di prelevare l’acqua dai fiumi della regione senza pagare alcun canone è dimostrato anche dall’anomalo caso del canale della chiusa di Casalecchio e del Reno che per 18 anni ha continuato a prendere l’acqua dal fiume senza pagare i canoni e che soltanto oggi, nel 2012, la Regione ha chiamato al saldo dell’arretrato che ovviamente non potrà riguardare i canoni scaduti (dal 1995 al 2002). Ingenti somme di denaro pubblico perse.
Data questa situazione di caos, nessuno al momento è in grado di stabilire se – nei casi di prelievo “extra-accordo” – il deflusso vitale minimo dei fiumi sia rispettato anche perché, come precisa lo stesso Bortone «i controlli vengono fatti a campione e non a tappeto».
I ritardi patologici e la delibera bocciata
Nella risoluzione 3124 presentata (e bocciata!) lo scorso mese in assemblea dalla consigliera regionale Idv Liana Barbati proprio per sollecitare un intervento tempestivo di giunta e consiglio per sbloccare questa situazione, si parla di «ritardi patologici che riguardano anche le concessioni di grande derivazione ossia i massicci prelievi di acqua da parte di grandi aziende che, per esempio, producono energia idro-elettrica».
Sotto questo profilo, la Regione conferma che rimangono ancora in sospeso e da istruire 130 pratiche. «I ritardi – si giustifica Bortone – dipendono dalla complessità delle istruttorie, dalle condizioni in cui ci sono arrivate dal ministero e, non da ultimo, dalla carenza di personale degli uffici».
Per tutti questi motivi, allo stato attuale, nessuno è in grado di dire quanta acqua pubblica viene effettivamente prelevata e utilizzata dai privati, siano essi semplici contadini che vogliono irrigare i propri terreni, privati che vogliono riempire le proprie piscine oppure grandi aziende che con quell’acqua ci producono energia elettrica da rivendere alla rete.
Men che meno nessuno è in grado di dire, dopo 12 anni, a quanto ammonta l’arretrato accumulato per i canoni non riscossi dalla regione come corrispettivo delle concessioni.
I mancati incassi (e quelli perduti per sempre)
«Sappiamo solo – continua Bortone – che l’incasso regionale complessivo tra concessioni idriche e concessioni terreni è di circa 19 milioni di euro all’anno. Stimiamo che dalle concessioni idriche arrivi circa due terzi di questa somma, quindi più o meno 12 milioni di euro. Ma non possiamo dare una cifra precisa sull’arretrato né su quanto effettivamente incassiamo dalle concessioni. Una cosa è certa. Quando andremo a regime recupereremo tutto quello che ci spetta». Eccezion fatta, naturalmente per i canoni prescritti.
Sempre secondo le stime della regione, la cifra che l’ente potrebbe arrivare ad incassare una volta che l’ufficio sia andato a regime è di circa 15 milioni di euro. Questo significa che, stando alle cifre fornite dall’ente stesso, si può ragionevolmente ipotizzare che l’attuale mancato incasso annuale è di circa 3 milioni di euro all’anno che moltiplicato per i 12 anni di competenza regionale, danno un arretrato complessivo di circa 36 milioni di euro. Mica bruscolini!
Molta parte di questi canoni, inoltre, non potranno più essere riscossi perché trascorsi 5 anni questi crediti si prescrivono ma, precisa Bortone «la prescrizione in caso di istanza di rinnovo, è decennale».
Se, per esempio, l’attività di recupero degli arretrati della Regione partisse oggi, non potrebbero più essere richiesti i canoni non corrisposti ante 2007 se il richiedente era alla prima istanza e se, di sua iniziativa ha comunque prelevato l’acqua (posto che qualcuno possa dimostrarlo).
Per i rinnovi il problema potrebbe essere un altro: ossia il fatto che per la legge il regime di rinnovo persiste sempre e soltanto se il concessionario continua comunque a pagare i canoni. Ma non sempre è così nella realtà. Basti ritornare, con la mente, all’anomalo caso del consorzio della Chiusa che, non ha pagato i canoni dal 1995 (epoca di competenza ministeriale) al 2012. In tal caso, secondo quanto affermato da Bortone «sono andati persi i canoni dal 1995 al 2002» ma il direttore nulla prevede in merito alla sorte del rinnovo (appena concesso) in caso di sospensione dei pagamenti.
Le istanze di rinnovo, peraltro, rappresentano solo una piccola parte dei fascicoli arretrati (circa 7mila) mentre la maggior parte dei fascicoli da lavorare riguarda prevalentemente nuove istanze che sono complessivamente 13mila alle quali vanno ad aggiungersi altri circa 23mila titoli scaduti per un totale di quasi 40mila pratiche ancora da evadere. Dopo 12 anni. «Stiamo lavorando per caricare il cartaceo sulla banca dati ma non possiamo prevedere quando questo lavoro sarà completato».
Risorse a rischio
Per lo Stato avrebbe dovuto essere concluso entro tre anni dal passaggio delle competenze alla Regione. A tal fine aveva previsto un “fondo-cuscinetto” che avrebbe compensato il mancato incasso regionale per il periodo di messa a regime che era considerato di 3 anni, dal 2000 al 2003. In realtà le cose sono andate un po’ più per le lunghe e dopo 12 anni è ancora tutto fermo.
Oggi, sui soldi andati persi sul fronte del rilascio delle concessioni idriche sta andando in scena uno scontro fra ex alleati politici (in Regione) che vede come protagonisti M5s di Grillo e Idv.
Dopo l’interrogazione dei grillini emiliano-romagnoli sulla vicenda anomala del consorzio della Chiusa, ora ad alzare la voce su presunti malfunzionamenti – e conseguenti perdite di entrate per le casse regionali, preziose come l’aria in momenti come questi – è stata proprio la consigliera regionale dipiestrista Liana Barbati che – con Idv in prima linea sul referendum contro la privatizzazione dell’acqua – non poteva certo sottrarsi, quantomeno, ad una verifica (culminata nella risoluzione 3124) che però non ha avuto alcuna conseguenza sul piano pratico. Fino ad oggi, infatti, non si ha notizia di alcuno sviluppo concreto della situazione denunciata nella risoluzione che, in particolare, poneva l’accento sull’emergenza chiedendo un potenziamento degli uffici e la «predisposizione di meccanismi e dispositivi di controllo che garantiscano, anche pro futuro, la gestione sostenibile della risorsa idrica». La bocciatura del documento di Idv da parte dell’Assemblea sembra avere messo una pietra tombale sulla faccenda che, però, in realtà resta ancora aperta.
In allegato:
Concessioni idriche Dati Regione Emilia Romagna.pdf
Concessioni idriche Dati Regione Emilia Romagna