La vicenda di cui si è occupata la Corte Suprema, con una giusta e severa sentenza, è simile a tante altre con la sola particolarità che la serie di bugie poste in essere dal corteggiatore si sono sovrapposte le une alle altre fino al punto che questi, peraltro dopo aver dato luogo ad una gravidanza, (anzi a due come vedremo) non ha più avuto il coraggio di dire la verità danneggiando con una serie di comportamenti ignobili le aspettative e la serenità della propria compagna.
Tentata bigamia, falso in atto pubblico e sostituzione di persona
Se è frequente che uomini sposati, sottacciano il proprio stato civile, di impaccio per iniziare nuove relazioni sentimentali o fisiche, nel nostro caso la vicenda era andata piuttosto avanti.
Infatti il protagonista di questa storia, pur essendo sposato, aveva intrapreso una relazione con una giovante, ammettendo il proprio matrimonio, ma dicendole di essere separato dalla moglie (la versione classica è di essere separati in casa), ma aggiungendo di aver anche chiesto il divorzio e di avere concrete prospettive di un annullamento da parte della Sacra Rota grazie a delle conoscenze del proprio padre.
Confidando in tali dichiarazioni, fra i due si era deciso di contrarre matrimonio e con la massima spregiudicatezza, l’uomo aveva iniziato i preparativi per il matrimonio anche con il rito religioso.
Nel frattempo la ragazza era rimasta incinta.
Per continuare la relazione sentimentale, l’interessato non si premurava di partecipare addirittura a dei corsi prematrimoniali in parrocchia, presentando a tutti la ragazza come sua fidanzata.
Il problema era che, ad un certo punto non era più stato in grado di tirarsi indietro, in quanto nella preparazione dei corsi prematrimoniali presso la Parrocchia di Milano gli venivano chiesti i documenti relativi allo stato libero.
Il nubendo, anziché dire la verità, produceva una falsa sentenza di annullamento del matrimonio religioso da parte della sacra Rota, effettuava una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà in cui attestava che era stata pronunciata dal Tribunale di Milano la sentenza di divorzio passata in giudicato (indicando anche le date!) produceva un falso certificato anagrafico del Comune attestante la residenza e lo stato di famiglia libero e singolarmente falsificava anche un certificato di battesimo ad uso matrimonio (della falsificazione del quale non vi era alcuna necessità visto che era stato regolarmente battezzato e cresimato….ma probabilmente si era fatto prendere la mano).
Poiché le date delle nozze si avvicinavano e tuttavia l’aspirante marito ritardava nel presentare i suoceri ed ancor di più il Parroco aveva congelato la pratica non sembrandogli i documenti veritieri, la ragazza effettuava dei rapidi accertamenti da cui emergeva che non solo l’aspirante coniuge non era né separato né divorziato, ma aspettava un altro figlio anche dalla moglie.
L’intervento del Tribunale e della Corte d’Appello di Milano
Il Tribunale imputava l’uomo per i reati di tentata bigamia, falso in atto pubblico, falso in certificazione di stato civile e scritture private.
Tuttavia i reati venivano riqualificati nella fattispecie di sostituzione di persona e falso materiale in atti pubblici per i quali veniva condannato.
La Corte d’Appello di Milano confermava sostanzialmente le sentenze escludendo soltanto il falso relativo alla nullità del matrimonio canonico trattandosi di una falsità grossolana e confermando le altre condanne.
Reato di sostituzione di persona
La Cassazione rigettava l’impugnazione con la sentenza n° 34800/16 depositata il 10 Agosto 2016 e con estrema severità rilevava che tali atteggiamenti non potevano essere ridotti ad una mera valutazione di scorrettezza etica o in una condotta valutabile solo sul piano morale, ma avevano piena rilevanza penale sia sotto il profilo delle falsità commesse, sia sotto il profilo della sostituzione di persona.
Ricordiamo in tal senso che l’art. 494 c.p. punisce il soggetto che “…al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio….induce taluno in errore sostituendo illegittimamente la proprio a l’altrui persona attribuendo a sé o ad altri un falso nome o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici…”.
Nel caso specifico, ricorda il Collegio, che il reato era stato accertato in casi similari dalla Suprema Corte anche relativamente ai contatti su Internet, sui Social Network e similari.
Si è ritenuto come integri il diritto di sostituzione di persona anche la condotta di colui che crea ed utilizza un “profilo” sul Social Network servendosi abusivamente dell’immagine di una persona del tutto inconsapevole associata ad un nick-name di fantasia (Cass. n° 25774/14).
Ancora, sempre la Suprema Corte ha precisato come integri il diritto di sostituzione di persona, anche la donna che si attribuisca un falso nome in modo da poter avviare una corrispondenza con soggetti che altrimenti non le avrebbero concesso l’amicizia o confidenza attribuendosi stati inesistenti, nel caso specifico fingendo falsamente di essere stata vittima di violenze sessuali (Cass. 36094/06).
Il reato è stato configurato anche in fattispecie eticamente meno gravi come nell’ipotesi in cui un calciatore, al fine di prendere parte ad una partita, nonostante fosse stato squalificato, si era attribuito il nome di un altro giocatore (Cass. n° 41012/14).