In molti sostengono da tempo la necessità di inasprire i controlli sul sistema finanziario. Il timore che in futuro possa ripetersi nuovamente quanto avvenuto nel 2008, quando improvvisamente il mondo si è accorto di quanto fragile e pericolosa fosse la ricchezza prodotta sui mercati finanziari, ha portato ad un irrigidimento delle posizioni.
La decisione di modificare l’accordo denominato “Basilea II”, ovvero l’insieme di regole che governano il sistema bancario, presa dal G20 di novembre a Seoul, ha rappresentato un primo passo verso l’adozione di un sistema più rigido ed integrato. L’Europa è la prima istituzione politica a muoversi in questa direzione: mercoledì scorso,
Gli accordi di Basilea. Il Comitato di Basilea è una struttura internazionale istituita negli anni ’70 su mandato dei governatori delle principali banche centrali, allo scopo di monitorare e regolamentare le attività bancarie. Nel 1988 fu siglato il primo accordo internazionale denominato “Basilea I”, sottoscritto da oltre 100 paesi, che fissava i requisiti patrimoniali minimi per tutti gli intermediari finanziari. Imponendo un coefficiente di riserva obbligatorio, si pensava che le banche avrebbero corso meno rischi, evitando di incorrere in crisi di liquidità a seguito di uno shock. Nel corso dei 15 anni successivi, ci si è resi conto che questa visione era troppo semplicistica, specialmente in seguito all’evoluzione dei mercati verso strumenti sempre più complessi e rischiosi. Inoltre, la percentuale di riserva obbligatoria, che la banca deve accantonare su ogni operazione di prestito, non era ponderata sulla base del rischio effettivo derivante dalla posizione creditizia di chi otteneva il prestito. In altre parole, la banca aveva un incentivo a prestare i soldi ad un cattivo pagatore, a cui chiedeva interessi maggiori accantonando la stessa quantità di denaro come riserva.
Nei primi anni del nuovo millennio è iniziata dunque la discussione che avrebbe portato all’adozione di “Basilea II”, l’accordo tutt’ora in vigore, fondato sostanzialmente su tre “pilastri”: requisiti patrimoniali, controllo delle Autorità di vigilanza, disciplina di mercato e trasparenza. La vera novità rispetto al precedente accordo risiede nella ponderazione della riserva in base al rischio di credito. Tale rischio va dunque valutato in modo efficace, attraverso procedure standardizzate: diventa dunque decisivo il “rating” assegnato alle imprese che chiedono prestiti, effettuato sia internamente alla banca che da strutture indipendenti, le ormai famose agenzie. Nonostante le misure di “Basilea II” siano finalizzate a garantire il misura maggiore la stabilità del sistema finanziario, non sono certo mancate le critiche. La questione del rating, infatti, ha generato alcuni effetti perversi. Adottare le procedure di valutazione interna comporta una spesa amministrativa elevata per banche, alle quali conviene affidarsi a società esterne di rating, che per questo hanno acquistato nel tempo una posizione dominante. A farne le spese sono state le piccole e medie imprese a cui viene assegnato generalmente un rating più alto, poiché non riescono ad assicurare grandi garanzie: questo comporta un aumento dei costi di gestione per la banca, che di conseguenza eroga il prestito ad un tasso maggiore.
A giudicare dai fallimenti bancari seguiti alla crisi finanziaria, è chiaro che le regole attuali non sono in grado di garantire la stabilità del sistema. Non solo: nel momento in cui le banche sono in sofferenza, a causa magari di investimenti tanto remunerativi quanto rischiosi, tocca ai governi salvarle per non innescare un effetto a catena dalle conseguenze devastanti. In sostanza, sembra che le banche godano di una garanzia di fondo, rappresentata dai soldi dei cittadini, come specifica anche
Gli accordi di “Basilea III” mirano a scongiurare proprio il rischio, in futuro, di un ricorso ai soldi pubblici per salvare le banche. A tal fine, si propone un aumento sia quantitativo che qualitativo delle riserve obbligatorie, oggi pari a circa l’8%: le banche devono dotarsi di fondi propri per tutelarsi da eventuali shock. Riforme importanti sono previste per quanto riguarda la governance societaria, con l’obiettivo di migliorare la gestione del rischio. A tal fine dovrebbero essere inasprite le sanzioni, che potranno raggiungere il 10% del fatturato annuo di un istituto. Dovrà essere inoltre rafforzato il potere di vigilanza, attribuito alle singole agenzie indipendenti nazionali, attraverso l’adozione si sistemi di valutazione più efficaci. Da ultimo, ma non per importanza,
Rimangono, tuttavia, forti perplessità rispetto alle conseguenze che tali misure potrebbero avere sull’economia reale. Le misure in questione porteranno quasi certamente ad aumento dei costi di gestione interni, che le banche potrebbero facilmente scaricare sui correntisti. La maggiore avversione al rischio, inoltre, potrebbe generare ulteriori ostacoli al credito: con la richiesta di maggiori garanzie e di tassi d’interesse più alti si rischia di rallentare ulteriormente gli investimenti privati, specialmente per le piccole e medie imprese, di cui oggi l’economia stagnante avrebbe un disperato bisogno.