Nel nostro ordinamento non esiste alcuna garanzia che tuteli l’espressione della volontà popolare. Almeno non per quanto riguarda i principali strumenti di democrazia diretta in Italia: il referendum abrogativo e la legge di iniziativa popolare.

A ben vedere la questione è solamente politica. Niente dà la certezza che le leggi sulla gestione dei servizi pubblici, nucleare e legittimo impedimento, abrogate dai referendum del 12 e 13 giugno, non saranno ripresentate tali e quali o mascherate per aggirare l’espressione della volontà di oltre 26 milioni di persone.

Referendum abrogativoRaccolta_firma_big
Iniziamo dal primo, che in questi giorni ha giustamente occupato la scena del dibattito politico e civile. Nonostante sia previsto dalla nostra Costituzione (art. 75) paradossalmente non esiste una norma che tuteli il rispetto della volontà espressa da almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto. Significa che, nonostante le 500.000 firme necessarie, niente impedisce al Parlamento di riproporre e approvare una legge tale e quale (magari nella sostanza se non nella forma) a quelle appena abrogate.

In passato è già successo e in alcune occasioni è stato addirittura come uno schiaffo ad urne “ancora calde”: “Il referendum che è stato aggirato in maniera più sfacciata – ricorda Augusto Barbera, costituzionalista, docente dell’università di Bologna e tra i promotori dei referendum del 1993 – è stato quello sul ministero dell’Agricoltura. Fu abrogata la legge che lo aveva istituito ma dopo poche settimane gli fu cambiato il nome in ministero per il Coordinamento delle politiche agricole. Anche sulla legge elettorale, il Mattarellum, è successo qualcosa di simile nel passaggio da proporzionale a uninominale”. Forse il caso che ha toccato di più l’opinione pubblica, in un periodo storico delicato come quello post-Tangentopoli, è stato quello del finanziamento pubblico ai partiti. Abrogati con la consultazione popolare sempre nel 1993 furono ripristinati nell’anno successivo come “Contributo per le spese elettorali”, con modificazioni successive che, via via nel tempo, hanno alzato sempre più l’ammontare dei rimborsi.

Il finanziamento pubblico ai partiti
Secondo uno studio dei Radicali italiani (http://www.radicali.it/download/pdf/peste_italiana.pdf) si è arrivati a più di 468 milioni di euro per Camera e Senato per la XV legislatura (quella scorsa, 2006-2008). Cifra dovuta in toto, anche se dopo soli due anni le camere sono state sciolte, grazie a un articolo inserito nel decreto legge milleproroghe. “Formalmente si può dire che il referendum è stato rispettato – continua Barbera – ma sostanzialmente la volontà popolare è stata disattesa”. E di strumenti a garanzia di questo non ce ne sono: “Non esiste nemmeno una giurisprudenza, solo indicazioni dottrinali che suggeriscono un periodo di cinque anni. Che naturalmente si rifà alla durata di un mandato elettorale. Altrimenti l’unico che può richiamare al rispetto della volontà popolare è il Presidente della Repubblica che ha il potere di rimandare la legge alle camere”. Solo una volta però, poi è costretto a promulgare la norma se viene rivotata tale e quale.

C’è quindi il rischio che riparta subito il programma nucleare dell’Italia oppure un’altra legge sull’impedimento per presidente del Consiglio e ministri per evitare le udienze dei suoi processi? Certo non in tempi stretti, visto l’alto valore politico delle due questioni mentre le elezioni anticipate sembrano ogni giorno più possibili. Per l’acqua invece il discorso potrebbe essere diverso, dato che l’Italia si deve adeguare alla direttiva europea che prevede l’affidamento della gestione dei servizi pubblici tramite gara.

terremoto-laquila-anniversario-1Le leggi di iniziativa popolare
Il 9 giugno una delegazione dei comitati aquilani (http://www.anno1.org/home) ha consegnato nelle mani del presidente della Camera, Gianfranco Fini, gli scatoloni con le 50.000 firme necessarie per avanzare la proposta di legge di iniziativa popolare (leggibile in allegato): Per la ricostruzione dell’Aquila, per la prevenzione e sicurezza della popolazione, per i territori colpiti da disastri naturali.
In quell’occasione Fini ha dichiarato che “chi non vorrà approvare la legge se ne dovrà assumere la responsabilità nei confronti dell’Aquila e del Paese nella massima trasparenza”. Un richiamo non certo infondato, visto il pozzo nero in cui cadono gli sforzi dei firmatari e dei promotori quando una proposta di legge popolare, dalle strade e dalle piazze, varca la soglia di Montecitorio o palazzo Madama.
Secondo i dati disponibili sui siti di Camera e Senato (http://www.senato.it/leggiedocumenti/index.htm), dall’VIII legislatura a oggi sono state presentate ben 217 proposte di legge popolare. Di queste appena nove hanno concluso l’iter parlamentare e sono diventate leggi, 15 sono state assorbite in documenti più complessi come i Testi unici. Il resto è affondato nelle sabbie mobili delle commissioni. La maggioranza, 103, sono state assegnate alle commissioni competenti ma non è mai iniziato l’esame, 53 sono ancora in esame mentre dieci attendono ancora di essere assegnate (in alcuni casi lo “standby” dura da più di 30 anni, a molte norme, a leggerle ora, appaiono obsolete o superate).

Dal 1982 per esempio chiedono ancora attenzione iniziative per “l’assegno mensile per le casalinghe” o “Norme per il completamento dell’autostrada di Alemagna (Venezia Monaco)”. Scorrendo anni e legislature si scopre che la proposta per “Norme concernenti il divieto della propaganda pubblicitaria degli alcoolici, della loro vendita sulle autostrade e della guida sotto l’influenza dell’alcool” attende dal 1986 l’esame alla Camera, così come la proposta di abolizione del segreto di Stato per i delitti di strage e terrorismo (dal 1984). Venendo ai giorni nostri il caso più celebre è quello delle 350.000 firme per la proposta di legge Parlamento pulito promossa da Beppe Grillo. Anche questa “dimenticata” in un cassetto della Camera dal 2007 così come i “Princìpi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico“.

Come qualsiasi altra legge, l’iniziativa popolare può essere magari bocciata dal voto in aula o in commissione. Però non esiste garanzia di prosecuzione dell’iter, nonostante sia prevista dalla Costituzione all’articolo 71. Sembrano saperlo anche gli aquilani, il medesimo testo è infatti all’esame della commissione Ambiente della Camera da marzo e firmato da oltre 200 parlamentari di tutti gli schieramenti. Perché senza l’appoggio di un gruppo importante in aula anche la volontà del popolo sovrano (articolo 1 della Carta) deve piegare la testa. Secondo Barbera “basterebbe un regolamento parlamentare che stabilisca un termine temporale per l’esame, entro il quale una commissione debba decidere se una proposta deve essere o no presa in considerazione dal Parlamento”.

Il referendum propositivo
Già esiste in Svizzera, ma anche in Italia, in Valle d’Aosta e nella provincia autonoma di Trento. I cittadini raccolgono le firme a sostegno di una norma e poi attraverso una consultazione decidono se debba o no diventare legge. “Questa proposta era emersa già in commissione Bozzi di cui facevo parte (la bicamerale per la riforma della Costituzione nel 1983 e che non ebbe seguito ndr) – conclude Barbera – l’elettorato potrebbe così votare direttamente una legge promossa dal popolo che avrebbe subito validità, senza passare dalle Camere”.
Proposta di legge di iniziativa popolare per la ricostruzione dell’Aquila
Tabella su proposte di legge di iniziativa popolare

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *