Incontro a Roma nella sua bella casa in Piazza Grazioli, Giovanni Russo uno dei maggiori giornalisti italiani.
Lo studio è pieno di libri e documenti ordinati per argomento, sembra si regga sulle colonne di carta accumulati in oltre cinquant’anni di lavoro.
Giovanni Russo è nato Salerno e ha passato la sua gioventù a Potenza. Folgorato sulla via di Eboli dalla lettura del celebre “Cristo” dell’amico Carlo Levi è tra i fondatori del Partito d’Azione in Lucania e collaboratore coevo al Nuovo Risorgimento, fondato a Bari da Vittorio Fiore. Ha esordito sul Mondo di Mario Pannunzio ed è stato per tanti anni inviato speciale al Corriere della Sera.
Egli ha raccontato con particolare attenzione i problemi sociali e civili della società meridionale. Autore di libri di inchiesta tra cui “Baroni è contadini” (Premio Viareggio), “L’Italia dei poveri”, Il futuro è a Catania”, “E’ tornato Garibaldi”, “Oh Flaiano”, “I cugini di New York”, “Le olive segrete”, “La terra inquieta” e “Carlo Levi segreto”. Giovanni Russo durante la sua lunghissima carriera ha intervistato capi di Stato e politici italiani e stranieri, intellettuali e scrittori. Si è occupato di inchieste al Sud e in particolare in Calabria. Ha fatto reportage sui meridionali immigrati a Torino, in Svizzera e in Germania. Giovanni Russo è un narratore, un testimone e un “militante” secondo Goffredo Fofi, “nel quadro di una storia politica complicata” che si è fatto un’opinione sua sui fatti e i rimedi possibili”.
Nel 1964 Russo ha scritto per il Corriere della Sera una lunga inchiesta, pubblicata in cinque puntate.
Cosa pensa della situazione politica ed economica in Calabria negli anni Sessanta?
Quegli anni hanno costituito un banco di prova per la classe dirigente di allora. La Calabria era paradossalmente la regione italiana più povera. Nel Dopoguerra l’Italia, soprattutto del Nord, ha vissuto una crescita economica eccezionale dopo la ricostruzione e il Piano Marshall. Un paradosso per la Calabria non crede? – Condivido la sua analisi –
Lo chiamavano in gergo “Boom economico” ma era un passaggio epocale dalla civiltà contadina a quella industriale avanzata. Un altro paradosso fu lo sviluppo urbanistico di Cosenza di quegli anni, secondo solo a Torino a discapito della provincia e delle comunità montane. La Calabria deteneva tre record negativi il numero degli emigrati, il peggior reddito procapite e il maggior numero di analfabeti, tutto ciò aggravato da una collocazione geografica infelice per gravi carenze di una rete ferroviaria e portuale che consentisse un sistema di interscambio con il resto del Paese. Il ritardo dello sviluppo dipese dal fallimento della riforma agraria dal punto di vista economico . L’esodo dei contadini ha intaccato alla base la piramide sociale.
Con le alluvioni del 1953 la Calabria era ancora quella definita da Giustino Fortunato: uno sfasciume idrogeologico perduto sul mare.
Cosa aveva fatto in quegli anni il governo Centrale?
Siamo negli anni dell’apertura al Psi. I governi Moro dal dicembre 1963 al giugno 1968 hanno traghettato il primo centrosinistra, dando impulso alla programmazione economica, anche se il precedenti governo Fanfani aveva aperto la strada. La Calabria era la più monitorata del Paese. Studi territoriali sul dissesto idrogeologico, programmazione per lo sviluppo industriale e delle infrastrutture. Sulla carta tanti progetti di opere pubbliche e di sviluppo economico, ma gravi erano i ritardi di realizzazione. Nel 1964 in Calabria mancavano i porti (Crotone e di Reggio erano inadeguati) degni di questo nome in una terra prevalentemente montuosa che poteva sfruttare la più economica via d’acqua. Le linee ferroviarie erano incomplete. L’autostrada non ancora in funzione aveva messo in cantiere un terzo della rete. Il governo centrale aveva stanziato 1600 miliardi, ma di questi solo 600 erano stati destinati formalmente al territorio. Le spese riguardavano lo studio e la programmazione. L’unica realizzazione seria fu il rimboschimento della montagne soprattutto della Sila.
Cosa facevano gli enti locali?
Litigavano fra di loro su tutto. Sul capoluogo dell’istituendo Ente regionale, sull’ubicazione di una futura università, sulla dislocazione di eventuali poli industriali. Tutto ciò aggravato dal sistema delle clientele e dei notabili denunciati negli anni precedenti da Gaetano Salvemini. Nella sterile lotta per la primazia campanilistica si parlò addirittura di costruire una nuova Brasilia, una città nuova da adibire a capoluogo di Regione nel territorio Lametino. Il re Ferdinando II di Borbone soleva dire che i cosentini sono pensanti, i catanzaresi operanti e i Reggini parlanti. In ogni modo i ritardi di realizzazione hanno costituito la causa maggiore dei mali attuali. In quegli anni ebbi infinite discussioni e polemiche con i compianti amici Giacomo Mancini e Francesco Compagna mitico direttore della Rivista Nord e Sud. Il mito dell’industria pesante non poteva essere attuato. I costi di realizzazione avrebbero assicurato poca occupazione e un impatto territoriale disastroso in una zona sismica e dissestata. Gli abbagli dei centri industriali e di altre cattedrali del deserto (progetto del Centro siderurgico di Gioia Tauro, La Sir di Rovelli ,la bistecca di petrolio e altre castronerie culminate con il dispendioso e mai realizzato progetto del Ponte sullo Stretto di Messina) fecero perdere di mira gli investimenti sul turismo, sull’agricoltura e silvicoltura e la relativa industria di trasformazione.
Come le sembra la situazione economica oggi in Calabria?
Molti passi avanti sono stati fatti soprattutto ad esempio nel campo dell’istruzione. Ma in questi anni si assiste a una nuova emigrazione di giovani laureati nell’Italia del Nord e all’estero. Il soldi per l’istruzione sono spesi bene in Calabria con scuole eccellenti soprattutto l’Università di Arcavacata, ma i cervelli volano via senza portare valore aggiunto al territorio. La piaga maggiore oggi è la ‘Ndrangheta, l’organizzazione criminale, sviluppatasi fuori dalla Calabria a Nord già negli anni Cinquanta e che oggi rappresenta una holding internazionale con diramazioni in Germania, Canada, Sudamerica e Australia. Un giornalista tedesco del Der Spiegel definisce la mafia calabrese “una miscela esplosiva di talento imprenditoriale, capacità manageriale e brutale violenza”. Non possiamo comprendere il fenomeno se non guardiamo con rigore alla storia di questi anni. Si diceva dell’esodo dei contadini e della piramide sociale. La criminalità si è inserita in un vuoto sociale con un ceto medio, per tornare a Salvemini, criminaloide e parassitario e una classe dirigente protesa ad un arricchimento selvaggio, paragonabile ai baroni medievali. La Calabria se vuol salvarsi deve guardare all’Europa e al Mediterraneo, due realtà ancora disomogenee. Il territorio può costituire un collegamento culturale tra le due realtà e tornare a fasti economici del XIV e XV secolo.
Torna spesso in Calabria?
Almeno due volte all’anno per motivi affettivi e culturali. Le figure di Vincenzo Padula, Bernardino Telesio, Tommaso Campanella, Gioacchino da Fiore e di altri geni calabri fanno sperare nel ritorno di un nuovo Rinascimento.