E’ appena uscito il docufilm “Al Qaeda Al Qaeda” di Giuseppe Scutellà sulla creazione mediatica di mostri. Scritto assieme a Walter Baroni e Luca Bauccio, avvocato specializzato in diffamazione a mezzo stampa (e per questo gestisce anche un sito www.Primonondiffamare.it), nasce dall’esigenza di riportare le testimonianze di vittime di diffamazione sentite come pericoloso disturbo all’ eco dei media e quindi della politica.
Così è il caso di Giuliano Pisapia, di Beppino Englaro ma anche di Youssef Nada, il banchiere svizzero di origine egiziana accusato di essere uno dei finanziatori di Al Quaeda. C’è anche Rassmea Salah, mediatrice culturale, presidente di seggio a Bresso (Milano) durante le elezioni provinciali del 2009 che divenne, grazie alle incomparabili campagne pro Lega Nord ad opera di Mediaset, “la donna coperta” (indossa solo l’hijab, fazzoletto che lascia i volto scoperto) con una pasticciona confusione burqa/ niqab/ hijab e tutti i possibili significati racchiusi nel velo islamico.
Il documentario (che merita però un’analisi a parte), mette a fuoco un dettaglio importante che, nel caso dei musulmani, si inserisce nella grande creazione di un racconto collettivo anti Islam sempre più globale, la cui trama si avvale di copertine di magazine oltre che di programmi tv in una serie di pericolose banalizzazioni di realtà complesse.
In Italia siamo drammaticamente indietro rispetto alla lettura di questi fenomeni, con una responsabilità della comunicazione che va dall’ignorare sistematicamente quanto avviene sulle sponde del Mediterraneo alla strumentalizzazione antimmigrato di basso profilo nella televisione pubblica per non parlare in quella commerciale in cui si affidano dibattiti complicati a personaggi senza competenze. Il tutto per banali questioni di ascolto: si vendono meglio mozzarelle o pacchi di pasta se il politico dice scempiaggini. Così indimenticabile (e giustamente citato nel documentario “Al Qaeda Al Qaeda”) l’intervento di Daniela Santanché nel salotto tv di Barbara D’Urso in cui l’ex sottosegretaria gridava che Maometto era poligamo e anche pedofilo e che quelli erano “valori” in contrasto con un paese come il nostro, dove, dichiarerà sempre Daniela Santanché (a Tetris), a Natale, lei “vuole mangiare il panettone” e “ fare il presepe”.
E’ di questa settimana l’ennesima copertina anti Islam del magazine di centro destra Le Point che fa discutere in Francia. Il titolo sparato è : “Cet Islam sans gêne” (questo Islam sfacciato) che va a ingrossare le fila del genere. Lo precedono infatti “Le spectre islamsite” (lo spettro islamista), “La chasse au chrétiens” (la caccia ai cristiani) ai quali fanno da contraltare quelli del magazine nazionalpopolare di centro sinistra, l‘Express “La peur de l’Islam” (la paura dell’Islam); L’Occident face à l’Islam (l’Occidente di fronte all’Islam), L’Islam, les verités qui dérangent (L’Islam le verità che disturbano). Per non parlare delle copertine del settimanale belga Le Vif dedicate in quantità imbarazzante all’argomento.
Il ripiegamento in sé e nella tradizione che vengono rimproverati ai musulmani e che si è instaurato soprattutto nelle periferie di Parigi, come risultato di una progressiva emarginazione, è chiamato “comunitarismo” (che è ben altro rispetto a quello scaturito dalla retorica leghista). Si tratta di una necessaria e naturale chiusura delle minoranze derivata dal fallimento delle politiche di integrazione. Si è determinata quindi una sorta di inversione di tendenza: il processo di chiusura non viene visto come conseguenza della continua stigmatizzazione, della discriminazione e del confinamento spaziale, ma è considerato la causa di tutti i problemi. Queste modalità non sono affatto nuove. Lo stesso tipo di rimprovero fu rivolto agli ebrei, all’inizio del XX secolo in nome del vivere insieme e dell’universalismo. Confusioni pericolose che determinarono Sartre a scrivere il saggio sulla questione ebraica, nel 1946.
Così il settimanale Le Point sotto al titolo di copertina, fa un richiamo al dossier all’interno, in cui appunto questo “Islam sfacciato” eserciterebbe il suo potere, cioè “negli ospedali, le mense, le piscine, i programmi sociali, per le gonne (nessuno ha capito cosa significasse però “ gonne”)…
La strumentalizzazione è fin troppo evidente. Del resto ogni titolo di questo tipo è spesso accompagnato da richiami sulla crisi economica. Inoltre, in copertina la fotografia non è di una donna effettivamente ritratta in uno dei luoghi menzionati, ma è il dettaglio di una foto. Si tratta, come ha rivelato in un twitt il giornalista de Le Monde Samuel Laurent, di una manifestazione a Lille il giorno della proiezione “The Innocence of Muslims”. Un gruppo sparuto di donne in niqab (una decina) si era riunito per protestare malgrado il divieto della prefettura. La foto quindi è di un paio di splendidi occhi azzurri (con il retro significato quindi della colonizzazione dell’Islam) incorniciati da un velo nero totale. La donna discute con una poliziotta ripresa di spalle.
Non sono ovviamente mancate risposte dalla rete che hanno ironizzato su chi specula in nome di un universalismo o di una laicità strumentali.
Il quadro d’insieme è anche più grave se si pensa alle reazioni alla rivista Charlie Hebdo in tutto il mondo arabo. L’impressione infatti è che più aumenta l’antislamismo occidentale più si radicalizza quello del mondo arabo, impedendo così i reali processi di democratizzazione in corso. Basta affacciarsi sul Mediterraneo per vedere che artisti, intellettuali, società civile stanno combattendo per dei principi di libertà che sono davvero universali e che potrebbero anche invertire le tendenze migratorie se venissero raccolti e aiutati, ma vengono, esattamente grazie alla creazione di questi mostri, costantemente messi in pericolo e resi sempre più fragili. Così Seif Soudani, professore universitario e giornalista tunisino commenta le copertine francesi “ non mi infastidisce di essere aiutati dall’Occidente in nome di ideali comuni universali, solo che l’impressione è che a volte la destra e anche un po’ il centro, area di appartenenza di Le Point, facciano un’ “indignazione selettiva” tradendosi così molto spesso proprio perché non parlano mai degli altri fondamentalismi religiosi, ma trattano sempre la questione solo dal punto di vista dell’immigrazione”.