Da giugno a metà settembre, anno dopo anno, frotte di visitatori invadono ogni hotel, b&b, residence Salento, esplorano, consumano, si divertono, postano su Facebook la loro posizione e vanno via. Pochi, pochissimi di loro sanno davvero che significhi Salento, ne colgono l’essenza.
Il Salento sa amare se stesso, sa farlo amare agli altri e sa anche accettare di essere un territorio di prossimità, circoscritto alla stagione estiva. Forse è anche meglio così: tre mesi di consumi usa e getta, in cui la propria terra è anche la terra di tutti, e i nove mesi successivi a vivere una realtà completamente differente. Non potete dire di conoscere il Salento se non avete visitato Lecce a Natale, quando l’odore di umidità si mescola a quello delle tipicità gastronomiche e il centro storico pare un presepe scolpito nella pietra carsica.

Non potete dire di conoscere il Salento se non avete assaporato i ritmi cadenzati e sonnacchiosi dei suoi borghi, che a volte sembra siano così da sempre e così per sempre resteranno. Non conoscete il Salento se pensate che Gallipoli sia solo vita notturna, ignorandone l’arte, la storia, le tradizioni.

La pizzica in inverno ha tutto un altro sapore, tutto un altro significato. In Salento, durante l’inverno, ci sono pochi visitatori e le strade risuonano del dialetto dei passanti, senza che nessuno si ponga il dubbio che possano non essere compresi da qualcuno. Nel profondo Sud della Puglia, a volte si ha la percezione di essere all’interno di uno scrigno magico, trincerato in se stesso per poi svelarsi solo al momento giusto, addobbato col vestito buono e il trucco più di classe. Ma quel trucco tolto via a settembre, quel vestito da grande occasione lasciato sgualcire a festa conclusa, non rendono nulla più bello; forse più desiderabile, certo, più finto; migliore, quello proprio no.

Di Golem

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