La lettura della lunga motivazione di questa sentenza suggerisce tre scarne considerazioni.
Il ricorrente ministero della Difesa sostiene che un marinaio militare in franchigia (e quindi non in licenza) non può essere ritenuto in servizio, e tutto ciò quindi che egli possa compiere andrebbe ascritto a sua attività privata nella quale nulla può trovarsi di addebitabile alla Amministrazione dalla quale dipende.
Alla Corte d’Assise di secondo grado e alla Corte di Cassazione sarebbe forse bastato ricordare la pronuncia del gennaio 2008 della Cassazione medesima, la numero 2089, la quale aveva affermato la responsabilità del ministero per il fatto illecito di un militare in libera uscita, cioè, secondo la terminologia marinara, in franchigia.
E inoltre: come può l’imputato ricorrente (condannato per aver ucciso un cittadino straniero mentre si trovava in quel Paese) sostenere l’esistenza della esimente di aver agito per legittima difesa avendo pugnalato alle spalle un tizio che stava fuggendo? E, d’altra parte, i giudici di secondo grado e la Cassazione avevano già ragionato in proposito, concludendo che il disconoscimento della esimente non contraddiceva la concessione dell’attenuante della provocazione, basandosi sulla provata esistenza di una precedente situazione di conflittualità ambientale tra l’equipaggio dell’incrociatore italiano e i giovani russi del posto e quindi argomentando in applicazione della giurisprudenza pacifica secondo la quale la acquiescenza ad una pluralità di fatti ingiusti non esclude la ravvisabilità della stato d’ira e quindi della provocazione se sia stato posto in essere un ulteriore fatto ingiusto.
E resta un’ultima riflessione: se il giudice non liquida i danni alla parte civile ma si limita solo a stabilire una “provvisionale” rimettendo le parti avanti ad altro giudice per la liquidazione finale, come si può ricorrere in Cassazione lamentando errori di diritto nella liquidazione del danno, che non c’è stata?