“Quai d’Orsay, cronache diplomatiche” è una straordinaria satira della diplomazia francese, sul potere e sulla vita lavorativa nel gabinetto del ministro degli Affari Esteri.
Edito da Dargaud, “le cronache diplomatiche” questo è il sottotitolo, ha come magnifico e retorico scenario il Quai d’Orsay, appunto la Farnesina d’Oltralpe. Si tratta di un fumetto- reportage concepito in due tomi, e terminato nel gennaio 2010.
Coronato da un successo incredibile (800mila copie vendute subito), Bertrand Tavernier ne ha acquistato i diritti e diventerà presto un film, seguendo anche una nuova tendenza francese a fare film che rappresentano il potere (Pater di Alain Cavalier, L’exercise de l’Etat di Pierre Schoeller e La conquête de Xavier Durringer).
Il primo tomo è stato tradotto in Italia per la Coconino, mentre il secondo uscirà a settembre.
L’argomento è soltanto apparentemente tutto francese, non solo abbraccia il tema universale dell’ottusità e del grottesco del potere, ma nello specifico di uno dei protagonisti, Arthur, abbraccia tutti i ruoli di (onesti) consiglieri nei ministeri e di chi, con una preparazione ferratissima e ottima volontà, lavora come tecnico.
Il disegnatore è Christophe Blain. Già noto per due fumetti, un western, “Gus”, e un altro di avventura, “Isaac il Pirata”, si è dedicato ancora all’avventura in una metaforica giungla, dopo il suo incontro con lo sceneggiatore noto con lo pseudonimo Abel Lanzac. Come dice lo stesso Blain al magazine Les Inrockuptibles “E’ venuta fuori l’idea della collaborazione e di farne un fumetto dopo mesi di descrizioni esilaranti dell’esperienza diretta avuta da Abel al ministero, e che lui mi mimava come a teatro. Mentre lui parlava io facevo schizzi, prendevo appunti..”. Sono così venuti alla luce personaggi terribilmente realistici nella sintesi grafica, e esilaranti nella loro assurdità da alzare un sipario sul mondo della diplomazia per lo più sconosciuto ma che si intuisce falso, ridondante, poco congruo rispetto ai tempi e spesso privo di lucidità.
Abel Lanzac sceneggiatore di Quai d’Orsay, è dunque Arthur Vlamnick reclutato al ministero degli Affari Esteri con l’incarico del “language” che in gergo ministeriale significa appunto “scrivere i discorsi al ministro”. E se i lettori seguono la storia attraverso le pene di Arthur, il protagonista assoluto della vicenda è però il ministro Taillard de Worms. In verità trattasi dell’ex ministro degli Esteri francese Dominque de Villepin all’epoca del suo mandato e della sua presa di posizione contro la guerra in Iraq che nel fumetto si trasforma in un luogo remoto, Lousdem.
Taillard de Worms è altissimo. Una figura ingombrante e anche funzionale all’immensa scrivania che occupa per intero. E’ quasi alato come un corvo, tanto le spalle sono puntute e gigantesche. Ha un naso falloide, occhi come fessure – perché in realtà non ha sguardo – e capelli bianchi fluenti proprio come quelli di de Villepin, ma che nei tratti di Blain sono sintetizzati in una sorta di cresta di gallo.
Non sono solo i tratti che lo definiscono ma i tic caratteriali che rimandano soprattutto a un’idea universale di potere come attualmente si configura: vacuo, cialtrone, ossessionato dalla comunicazione al punto da trasformare un ministro molto più in un uomo di marketing che in uno stratega e saggio amministratore della cosa pubblica. De Worms risulta così un personaggio sempre in tensione, affetto da iper vitalità, mai un attimo di cedimento, sempre pronto a combattere, ma che immancabilmente sfocia nel ridicolo e nel grottesco. Il risultato è un turbinio di contraddizioni che affliggono prima il povero Arthur e poi tutto l’entourage che risponde diversamente a misura delle qualità umane di ciascuno. C’è chi lo vede come lungimirante, come genio, chi non lo sopporta chi lo adula. Impareggiabili sono le figure di intellettuali che gli girano intorno, privi di spessore, fonti inesauribili di banalità e di ego smisurati e incredibilmente ascoltati dal ministro.
In questo contesto allora il discorso che deve sempre scrivere Arthur e che gli viene puntualmente rimandato indietro, e su cui ognuno dell’entourage si sente in diritto di dire la sua, diventa allora il Discorso, e il dispositivo narrativo principale. Una sorta di recipiente catalizzatore dell’insipienza di questa umanità protagonista di pezzi di storia e amministratrice di bene pubblici. Il Discorso per de Worms, verrà fatto alla sede dell’Onu, zeppo di citazioni inutili, e neppure per intero perché gli viene implacabilmente spento il microfono una volta esaurito il tempo di parola a disposizione. Ma è appunto nella sua concezione e formazione, che poi diventa un modello- infatti ne seguiranno altri – e si delinea la metafora del linguaggio del potere e della sua comunicazione: interminabile, ridondante, inutile, rimaneggiato, e in parte addirittura rubato (da un giornalista a seguito di una stampante che si inceppa).
Il risultato dei due tomi di Quai d’Orsay che fanno pensare molto più a Molière che a altri parenti fumetti, è un divertimento intelligentissimo e un ritmo eccezionale determinato anche dalla gestualità di de Worms, che si profonde in “ tac, tac tac” sottolineati dalle grandi mani per dire quanto ritmo ci deve essere in un discorso alla gente, che non si deve annoiare, o dall’ importanza dell’uso degli evidenziatori stabilo nella concezione dei discorsi. Fino a punte eccezionali in cui esorta Arthur afflitto dalla redazione del “language” a pensare a Tin Tin come modello: “ Con Tin Tin ci sono sempre sfide enormi: la luna, l’oro nero, l’America…. Tin Tin è ritmo, anzi Tin Tin è la musica, è una sinfonia ritmo. Tac, tac , tac.. la gente vola alto, ascolta…la gente si ritrova di fronte al mondo”.
Presente, ma solo come cameo, manco a dirlo, Berlusconi, immobilizzato in un sorrisone fisso, che ci prova con tutte le ragazze che passano.