La situazione archeologica in Puglia è un unicum. La regione pullula di aree archeologiche uniche al mondo, inserite il più delle volte in contesti paesaggistici incantevoli. Contesti la cui memoria risale anche a più di 2000 anni fa. Per tutelarli basterebbe il vincolo archeologico e la sua applicazione. Eppure la Puglia sembra sia stata colpita da damnatio memoriae e ignori ogni codice dei beni culturali.
La Soprintendenza sembra abbia difficoltà a porre sotto vincolo aree e siti. La conseguenza è che a decidere gli interventi territoriali sono i Comuni e la Regione senza consultare gli esperti dei beni archeologici. Gli scempi si susseguono e sono poi spesso i cittadini, riuniti in associazioni e comitati, a tentare di difendere la propria terra, i propri tesori dall’avanzata del cemento, dalla bramosia di investimenti capaci di distruggere un patrimonio. Sono loro a chiedersi perché la Soprintendenza non vincoli zone archeologiche o aree ad altissimo potenziale artistico, concedendo invece nulla osta di edificabilità mentre l’Italia resta a guardare, quasi si trattasse di una mera questione locale.
Vediamo da vicino alcuni dei più interessanti siti pugliesi.
La Pompei del Salento
SOLETO (LE). È definita la Pompei del Salento. Antica città messapica, è nota in tutto il mondo per il ritrovamento del più antico documento di analisi geografica conosciuto in occidente: la mappa di Soleto. Il documento è un unicum perché ha fornito importanti informazioni, sia toponimiche che geografiche, sui siti del Salento meridionale permettendo così nuove interpretazioni sulla vita e sulle conoscenze della popolazione italica abitante la Messapia, l’odierna penisola salentina. Si tratta di un piccolo frammento di cratere attico a vernice nera del V secolo a.C. con la raffigurazione di dodici località del Salento meridionale, scritti usando l’alfabeto greco della colonia di Taranto. Scoperta il 21 agosto del 2003, è stata definita “una delle scoperte più importanti avvenute in Italia meridionale”, anche perché ha permesso di dare il giusto peso all’apporto culturale fornito dalle popolazioni indigene dell’Italia meridionale, troppo spesso sminuite dal confronto con greci e romani. Nel 2010 una notizia clamorosa. Durante lavori di scavo eseguiti in via Machiavelli sono state distrutte alcune tombe messapiche, ricche di preziosi corredi. Si scopre che i lavori sono frutto delle concessioni rilasciate dal Comune di Soleto per il passaggio sotterraneo del cavidotto per il trasporto dell’energia elettrica di uno dei tanti impianti fotovoltaici industriali costruiti nelle zone agricole. Peccato che l’area in questione sia zona archeologica. Peccato che le tombe distrutte facciano parte di un’antica necropoli che lì si estendeva. Come è possibile che il Comune, a conoscenza del valore archeologico del sito, abbia concesso lo scavo per centinaia di metri a ben 2 metri di profondità? Solo la denuncia di alcuni cittadini ha permesso l’intervento della Guardia di Finanza che è riuscita a recuperare i preziosi reperti, ma i lavori sono continuati. Oggi si aspetta ancora che la Soprintendenza ai Beni Archeologici censisca i danni compiuti al patrimonio e proceda al vincolo di tutta l’area dell’antica città e della sua necropoli. Sì, perché Soleto non ha un vincolo archeologico. In attesa, l’associazione Italia Nostra ha assegnato al sindaco Elio Serra il “Premio Attila – Flagello di Dio” per l’impresa.
Resti dell’età messapica
A parte il danno archeologico, i pannelli fotovoltaici hanno deturpato il paesaggio tanto che molte strade sono oggi chiamate “vie dei lager”, espressione che sintetizza l’orrore nel vedere campi un tempo coltivati, recintati con filo spinato, desertici e disseminati di migliaia di pannelli. Eppure a Soleto esiste il Parco archeologico messapico. Anzi, dovrebbe esistere. In realtà il parco, finanziato nel 2009 dal Comune di Soleto su proposta dell’archeologo belga Thierry Van Compernolle che lì si occupa degli scavi da più di vent’anni, non è mai stato ultimato né aperto al pubblico. Dovrebbe comprendere anche le antiche mura interne ma queste ricadono in un terreno privato che il Comune dovrebbe comprare. Oggi l’area si può ammirare al di fuori di una recinzione metallica. È inaccessibile, ma allo sguardo è evidente soltanto il degrado. Erbacce, passamano ormai da sostituire, plance per cartelli informativi che non sono mai stati inseriti. Eppure la zona ha un interesse archeologico altissimo: vicino alle mura ci sono abitazioni (IV a.C.) e tombe collettive di età messapica, capanne arcaiche (VIII-VII a.C.). Un tempo si conservava anche l’originaria porta della città, oggi distrutta. Vicino la recinzione è stato scoperto un nuovo quartiere messapico, in zona Fontanelle, ma è probabile che venga ricoperto per proteggerlo da vandalismo e intemperie. Non disponendo di risorse economiche per valorizzare il territorio, gli enti locali avrebbero potuto almeno tutelarlo apponendo il vincolo archeologico. Il Comune di Soleto ha preferito lottizzare e vendere a privati i terreni intorno al Parco, trasformando l’area in edificabile. Per fare cassa. Da questi terreni, oggi segnati da strade, continuano ad affiorare preziosi ritrovamenti sebbene esista una carta archeologica della città. È stata redatta negli anni Novanta proprio dall’archeologo Thierry Van Compernolle. Nessuno la menziona né la utilizza nonostante le insistenti richieste delle associazioni, sempre inascoltate. Questo importante strumento di pianificazione a salvaguardia non è stato mai assunto quale strumento urbanistico del comune. I politici fanno finta di non sapere di cosa si tratti e agli uffici tecnici va benissimo che tutto rimanga asservito al Piano di Edificabilità del 1979 che prevede la gigantesca e scriteriata espansione di Soleto, paese che da 5.600 abitanti passerà ad ospitarne 15.000.
Il parco archeologico dei guerrieri
VASTE (LE). Aprile 2011, viene inaugurato il Parco archeologico dei guerrieri, importante testimonianza della civiltà messapica nota in tutto il mondo. Vi si trovano i resti dell’antica città di Veste, capanne, tombe intatte con i loro corredi; tra di esse la tomba di un guerriero. Lo scavo, iniziato nel 1981 e condotto dall’Università di Lecce e dall’École Française di Roma, ha portato alla luce un abitato risalente all’VIII-VII secolo a.C. a cui si è sovrapposto un impianto dell’età del Bronzo. L’area era difesa da un doppio strato di mura fortificate ed è circondata da un ampio parco che La Sovrintendenza ai beni archeologici e culturali non ha esitato a classificare edificabili concedendo il nulla osta per la lottizzazione. Eppure il potenziale archeologico è altissimo. Senza vincoli l’area viene classificata come categoria C, ossia di espansione edilizia. Il piano viene approvato dal Consiglio comunale di Poggiardo il 24 luglio 2002. Il sindaco Giuseppe Colafati assicura che la Soprintendenza prima di avallare l’iniziativa ha eseguito saggi per verificare la presenza di materiale e ha trasmesso al Comune e ai privati le prescrizioni alle quali attenersi, promettendo inoltre di monitorare sulle procedure. Senza considerare che le costruzioni deturpano il paesaggio archeologico.
Fango sugli scavi
CANOSA DI PUGLIA (BT). Settembre 2012, un violento nubifragio si abbatte sulla città di Canosa di Puglia. Ciò che è successo ha dell’incredibile. Tutta colpa della raccolta differenziata! La malaugurata pioggia è infatti coincisa con l’inizio della raccolta differenziata porta a porta. A causa della mancata consegna dei contenitori, i cittadini sono stati costretti a mettere le buste dei rifiuti per strada. Il fiume di pioggia ha trasportato le buste che sono andate ad otturare le griglie della fogna. Risultato? Il fiume d’acqua si è abbattuto sul Parco archeologico del Battistero di S. Giovanni facendo saltare le griglie della fogna. E questo perché la fogna attraversa il parco. Il risultato è stato l’allagamento delle Basiliche Paleocristiane di Santa Maria e del Salvatore, sui cui mosaici si è riversato tutto il fango. L’unica speranza è che i danni non siano estesi e irreversibili. Sabino Silvestri, responsabile della Fondazione Archeologica Canosina, auspica “l’immediata rimozione della fogna dal parco archeologico di cui costituisce una profonda cicatrice. Il Comune ha già ottenuto i finanziamenti per un progetto di rimozione che dovrebbe partire a breve”. La fogna è ancora al suo posto.
Le pietre dello scandalo
ROCCE SACRE (LE). Entroterra di Otranto, città Unesco. Si tratta di un importante geosito inserito nella lista dei più importanti della regione e per questo da sottoporre alla massima tutela paesaggistica in base alla legge Regionale n.33 del 2009. La Regione Puglia deve aver pensato che la costruzione di due mega impianti eolici industriali proprio su questa altura sia un intervento di valorizzazione. Perché è esattamente quello che ha fatto. Le rocce sacre sono state soprannominate le “pietre dello scandalo”. Siamo di fronte a formazioni geologiche considerate una meraviglia della natura, frutto della plurimillenaria erosione carsica. Macrolitiche e dalle forme suggestive tanto da aver attratto le genti che le venerarono come rocce sacre e su cui scavarono bacinelle forse usate per i riti che vi compivano. Queste rocce hanno un’intrinseca sacralità. C’è il Letto della vecchia, un grande masso dove si diceva dimorasse un’anziana strega; il Sacro Masso oscillante di Ercole, così denominato già da Aristotele (IV secolo a.C.) che lo credeva essere stato scagliato lì da Ercole contro i giganti ed essersi adagiato su un piedistallo di pietra tanto da poter oscillare se mosso anche con un solo dito. Ogni roccia è ammantata da una leggenda. Il sito si trova su una collina che il greco Nicandro (II sec. a.C.) aveva chiamato “Collina dei fanciulli e delle ninfe”. Questa collina è considerata “la summa del Salento”, secondo Edoardo Winspeare che qui ha girato alcune scene dei suoi film. Ovidio vi colloca il santuario delle Ninfe “tra le rocce sacre”, ma è anche il luogo dove i pastorelli messapici che avevano osato sfidare le ninfe nella danza furono da loro trasformati in alberi di ulivo. Qui si trovano la chiesetta rupestre bizantina di San Giovanni Battista, sede di antichi miracoli e guarigioni, il Santuario di Montevergine, voragini, grotte, ulivi secolari, sughere, boschetti. Qui sono stati rinvenuti insediamenti neolitici e protostorici. Una vera summa della natura, del paesaggio e della cultura. È un luogo sacro mitopoietico unico al mondo. Eppure su quella che è stata definita la Stonehange d’Italia incombono minacciose 20 torri eoliche di 125 metri di altezza. Il sito è protetto dalla legge regionale 33/2009. La contraddizione è evidente. L’irregolarità è gravissima. La Regione Puglia deve difendere questo sito e, in accordo con la Soprintendenza, deve imporre il massimo vincolo archeologico e paesaggistico (La legge 33\2009 riguarda la “tutela e valorizzazione del patrimonio geologico e speleologico”. Il vincolo archeologico è altro. In una sentenza del Consiglio di Stato leggibile in allegato – la n. 02756/2010 REG.DEC. del 10 maggio 2010 – si dice espressamente che la zona non presenta vincolo archeologico). Già nel 1871 Sigismondo Castromediano, patriota archeologo e deputato nel primo parlamento italiano, censì le Rocce Sacre come monumenti nazionali di primo grado. Oggi a 150 anni dall’Unità d’Italia nessun ente si è mosso per porli sotto tutela e salvaguardia. La diatriba sulla Collina dei fanciulli e delle ninfe è infinita e sconcertante. Il Consiglio di Stato nella sentenza riporta: «A prescindere dal fatto che tali miti e leggende non risultano essere stati individuati da un provvedimento legislativo, non si vede come l’impianto degli aerogeneratori possa interferire su tale patrimonio culturale». Il sospetto è che i giudici non si siano mai recati sulla collina, perché se solo avessero camminato all’ombra degli ulivi secolari, se avessero ammirato e percepito il fascino di questo paradiso bucolico, oggi non ne permetterebbero lo scempio. Un tempo sarebbe bastata la sacralità del luogo a tutelarlo. “Intere colline sono state tappezzate di pannelli fotovoltaici” spiega Marcello Seclì, presidente della sezione salentina di Italia Nostra “sono stati abbattuti migliaia di ulivi. È uno scempio”.
Autostrade e superstrade
La Puglia ha un nuovo nemico. L’autostrada. Ebbene sì. C’è chi trova troppo faticoso “nel feroce sole estivo” arrivare fino all’estrema punta del tacco d’Italia percorrendo le strade a disposizione. Raffaele Fitto, ex ministro degli Affari Regionali del governo Berlusconi, ha proposto una brillante soluzione al problema: l’ammodernamento della statale 275 Maglie – Leuca che sarà trasformata in una superstrada, con 4 corsie, una larghezza di 40 metri. L’arteria viaria sarà realizzata quasi completamente su un terrapieno, con conseguente ed inevitabile cesura della viabilità rurale del territorio, che insiste in buona parte su antichi tracciati medievali. La superstrada, inoltre, andrà inesorabilmente a cancellare la tipicità naturale di questo tratto di paesaggio salentino, ricco di particolari specie autoctone, sia vegetali che animali. Il territorio si caratterizza anche per la presenza di strutture rurali in pietra a secco e di antichi edifici rustici. Costo dell’opera: 288 milioni di euro. Giorgio De Giuseppe, della Provincia di Lecce, si schiera a fianco degli ambientalisti e chiede un ripensamento radicale dell’opera: “Non si può permettere di deturpare un territorio bello e storico, ricco di ulivi secolari molti dei quali censiti come monumentali”. Altra minaccia viene dalla Statale 16 Maglie – Otranto. I lavori sono già iniziati. Tra il km 985 ed il km 999, stanno costruendo un’autostrada a due carreggiate con 4 corsie, 4 svincoli a livelli sfalsati, 2 sottovia, un sovrappasso e 4 rondò. Costo dell’opera 70 milioni di euro. Sebbene il progetto preliminare dell’Anas, consegnato agli atti nel luglio del 2000, sia stato approvato nel 2005 in via definitiva, ci son voluti 6 anni per assegnare i lavori: l’appalto è stato ottenuto dalla ditta Leadri, il 22 dicembre del 2011. Percorrendo in auto la Maglie-Otranto, la prima impressione è che su questa strada non ci sia bisogno di grossi interventi di “ammodernamento”. Ci sono tratti sui quali, sì, sarebbe utile una messa in sicurezza, ma nulla in confronto al mega-progetto previsto. La statale 16 passa lungo alcuni dei monumenti più belli della regione, messi a serio rischio proprio dalla striscia d’asfalto, dalla quale potrebbero restare sommersi o accerchiati. Ad inizio percorso si trova la splendida torre colombaia, poi la cripta bizantina di San Basilio. E poi ancora vasche, vecchie cisterne, pajari e furneddhri. E altro ancora, fino ad Otranto. Al km 999 il percorso si arresta. Ancora nessun cavalcavia si pone tra lo sguardo e l’orizzonte. E l’azzurro del mare si scorge in lontananza, per il momento. Forse ancora per poco.
La Collina dei fanciulli
Ma la battaglia più difficile la Puglia la sta combattendo contro il fotovoltaico. Una battaglia segnata da sconfitte sconcertanti, dovute a sentenze spesso contraddittorie: nel caso della Collina dei fanciulli e delle ninfe, il Consiglio di Stato, ribaltando il precedente giudizio del Tar, ha concesso alla società tedesca Schuco International di costruire un impianto enorme costituito da pannelli fotovoltaici per un totale di una quindicina di megawatt. Nel 2009 si è registrato un aumento del fotovoltaico del 418%. Con gli incentivi per gli impianti di energia rinnovabile è iniziata la corsa ai terreni. La Puglia attualmente è la regione che produce più energia fotovoltaica (295 megawatt), pari al 20% di tutta l’energia solare italiana con 2250 ettari di pannelli. E se i terreni interessati non sono solo quelli agricoli, ma custodiscono beni archeologici?
(5/ Continua. Le precedenti puntate leggibili in allegato sono state dedicate
al Molise, alla Toscana, alla Campania e alla Puglia)
Consiglio di Stato Decisione n 02756 del 10 maggio 2010