Su via dei Fori Imperiali “c’è un allarme della cultura nazionale e mondiale che non possiamo far cadere senza assumerci gravi responsabilità. Noi rischiamo di perdere in dieci, vent’anni quello che non si è riusciti a perdere per secoli”.
“Non possiamo essere indifferenti a questo appello di responsabilità; ma ancora e soprattutto c’è una domanda della città la quale, come in tutti i periodi di crisi, si interroga in modo nuovo sul passato, che è un modo per parlare del presente e del futuro, quando sono incerti; c’è la ricerca e la possibilità di conquista e di riconquista di una nuova identità cittadina e insieme l’espressione delle forme di vita associativa proprie di un processo quale è quello che noi abbiamo avviato, di unificazione della città intorno a nuovi valori…. vogliamo che non solo il tempo di percorrenza, ma il tempo mentale e il tempo culturale si accorci tra via dei Fori Imperiali e la periferia, tra la periferia e via dei Fori Imperiali”, denunciavaLuigi Petroselli, storico sindaco di Roma. Venerdì scorso l’Associazione Bianchi Bandinelli ha organizzato un interessante convegno su uno dei grandi nodi dell’archeologia di Roma: la realizzazione del Progetto Fori. Il progetto riguarda la sistemazione dell’area archeologica centrale di Roma e prevede la demolizione di via dei Fori Imperiali per ripristinare il tessuto archeologico sottostante, rendendolo “parte vissuta della città moderna” e non solo attrattiva turistica, e poter così creare un grande parco archeologico. A presiedere l’incontro è stato Adriano La Regina, oggi presidente dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte. Fu dalla sua richiesta di rimuovere via dei Fori Imperiali, avanzata negli anni Settanta quando era Soprintendente alle Antichità di Roma, che prese corpo il progetto di creare “un sublime spazio pubblico”, come lo definì Benevolo, che da piazza Venezia comprendesse i Fori, il Colosseo, il Palatino, il Circo Massimo e di lì verso l’Appia Antica, percorrendo la quale si giunge ai Castelli. L’iniziativa è stata occasione per Rita Paris, direttore della Soprintendenza Speciale per i beni Archeologici di Roma, di ricordare la difficile situazione dell’Appia Antica e riflettere sul rapporto fra archeologia e città contemporanea, da troppo tempo trascurato. Francesco Erbani, giornalista della Repubblica, ha fornito un’attenta ricostruzione della storia recente del progetto, mentre Giovanni Caudo, assessore alla Trasformazione urbanistica, ha esposto gli attuali idee e programmi del Comune di Roma. Anna Maria Bianchi, dell’Associazione Carte in Regola, ha invece ricordato l’importante rapporto tra città e cittadini per i quali il passato è fonte di orgoglio e bellezza. Ed è per questo legame che la tutela di un luogo storico è spesso essa stessa la “molla” che fa scattare l’impegno dei cittadini. Concludendo il convegno Vezio De Lucia, presidente dell’Associazione Bianchi Bandinelli, ha voluto ricordare un altro nodo molto dibattuto in questo periodo e strettamente collegato alla realizzazione del Progetto Fori: la costruzione della metro C. Romani rassegniamoci, la metro C va fatta! Secondo De Lucia infatti “è condizione per l’eliminazione di via dei Fori Imperiali perché garantisce lo spostamento tra piazza Venezia e il Colosseo, una delle obiezioni avanzate da chi non vuole saperne di eliminare la strada”. Vediamo ora più da vicino il Progetto Fori.
La spada del legionario
L’idea di un Progetto Fori risale all’epoca napoleonica, al quinquennio in cui Roma si trova a far parte dell’impero francese (1809 al 1814). Uno dei decreti emanati dal prefetto de Tournon riguarda un grande parco archeologico che comprenda il Foro, il Colosseo e il Palatino. Il fine è quello di creare un collegamento fra la grandezza della città antica e la città contemporanea. Sebbene ripreso alla fine dell’Ottocento, le cose sembrano andare diversamente in epoca fascista. Agli inizi degli anni Trenta Mussolini, volendo sottolineare la continuità tra l’impero romano e il suo regime, ordina lo spianamento della collina Velia e la costruzione di una strada “dritta come la spada di un legionario” adatta alle grandi parate militari. Il duce desiderava infatti che il Colosseo fosse visibile da Piazza Venezia. Per la realizzazione dell’asse viario fu necessario demolire un intero quartiere cinquecentesco e spostarne gli abitanti in periferia. La distruzione mise in luce i resti dei fori, subito ricoperti dalla nuova via dell’Impero (poi via dei Fori Imperiali). I lavori, iniziati nell’ottobre del 1931, si conclusero esattamente un anno dopo, nell’ottobre del 1932. “Da allora” ha spiegato Vezio De Lucia “il più importante complesso archeologico del mondo è spaccato in due da un incongruo nastro d’asfalto”. Negli anni la strada diventa causa di traffico, inquinamento e rumore.
Le ipotesi degli anni Settanta
Il primo a mettere in discussione via dei Fori Imperiali è Leonardo Benevolo che, in un suo libro del 1971, propone per il centro storico di conservare gli edifici antichi e demolire quelli costruiti dopo l’Unità, e di sostituire alcune strade post unitarie con spazi verdi. Alla fine dello stesso decennio è l’allora Soprintendente Adriano La Regina a denunciare il drammatico “sfarinamento” da inquinamento di alcuni dei monumenti marmorei simbolo della città e a riproporre l’eliminazione di via dei Fori Imperiali. “Fu una scelta di emergenza” ha detto La Regina “l’inquinamento, dovuto ad un aumento del traffico e agli impianti di riscaldamento, stava intaccando le superfici marmoree che, trasformate in gesso, si staccavano. I danni furono spaventosi. Era necessario cambiare uso della città per evitare simili forme di danneggiamento”. Prende corpo il Progetto Fori: ripristinare l’area archeologica nascosta dalla via, per farne una parte vissuta della città moderna, e creare un parco archeologico dai Fori sino all’Appia antica. Un parco archeologico unico al mondo. E’ chiara l’importanza data alla connessione tra area archeologica e assetto urbanistico. Il progetto trova l’appoggio del sindaco Giulio Carlo Argan e di tanti autorevoli studiosi sia italiani che stranieri, come Antonio Cederna e Italo Insolera. Cederna, uno dei grandi propagandisti del progetto di cui contribuì alla definizione urbanistica, sostiene che “la conservazione dell’antico è la condizione per costruire la città moderna”. Propone che il Progetto Fori, oltre a diventare il vertice del parco dell’Appia Antica (dal Campidoglio ai Castelli), comporti lo spostamento delle funzioni amministrative (ministeri) nel Sistema Direzionale Orientale (Sdo), ossia in periferia. Ma è il neo sindaco Luigi Petroselli, succeduto nel 1979 ad Argan, a fare del Progetto Fori il suo grande obiettivo politico. Il sindaco vuole che tutto il popolo romano si appropri della storia di Roma antica, un modo questo per riavvicinare le periferie al centro. Dietro il recupero dei Fori c’è quindi il rinnovamento della capitale. Il consenso è vastissimo, il popolo di Roma appoggia il nuovo progetto e di conseguenza il nuovo sindaco. Petroselli esordisce ricostituendo l’unità Colosseo-Foro Romano-Campidoglio attraverso l’eliminazione di via della Consolazione e del Piazzale esistente tra Colosseo e Arco di Costantino. All’inizio del 1981 inaugura le domeniche pedonali. In primavera viene approvata dal Parlamento la legge speciale per Roma (180 miliardi di lire in cinque anni) che prevede interventi di restauro, esplorazioni archeologiche e anche espropri lungo l’Appia Antica. Le cose sembrano andare per il verso giusto quando, a ottobre dello stesso anno, Petroselli muore improvvisamente. Con la sua morte scompare anche il Progetto Fori che, osteggiato ora da un folto numero di autorevoli studiosi, viene dimenticato per motivi di cautela, opportunismo e opposizione politica. Ugo Vetere e i sindaci successivi non ne vogliono sapere. Sul finire degli anni Ottanta Benevolo, insieme a Vittorio Gregotti e ad altri collaboratori, ci riprova e presenta un progetto per l’area dei fori. Il risultato è deludente perché, come disse lo stesso Benevolo, “trovammo di fronte a noi uno sbarramento di tipo culturale. Qualcuno sosteneva che in quell’area tutto fosse storico, comprese le strade novecentesche, compresa la via dei Fori Imperiali voluta dal fascismo. C’è il Colosseo, dicevano, e ci sono le sistemazioni di Antonio Muñoz. Tutte le epoche hanno la loro dignità. Tutto è uguale, tutto va ugualmente tutelato… È molto più facile governare senza grandi progetti e invece sminuzzando i fatti…il nostro progetto era troppo bello”. Cederna non desiste e nel 1989 presenta alla Camera una legge per la riqualificazione di Roma capitale della Repubblica, in cui è riproposto il legame fra il Progetto Fori e la realizzazione dello Sdo. Quello che propone è un assetto all’altezza di una moderna capitale europea. La legge, nonostante si stata approvata, resta senza motivo inapplicata sia per il Progetto Fori che per lo Sdo. Francesco Rutelli (sindaco dal 1993 al 2001) si dichiara contrario all’eliminazione della via. Nel 2001 viene addirittura imposto un decreto di vincolo monumentale sull’area compresa tra via dei Fori Imperiali e le terme di Caracalla. La via non si può toccare perché “immagine storicamente determinata che rappresenta il volto della capitale laica”. Tra il 2004 e il 2006, sotto il sindaco Valter Veltroni (2001-2008) vengono costituite due Commissioni per lavorare alla sistemazione dell’area ma entrambe concludono con la sopravvivenza della strada “mussoliniana”.
La rinascita del progetto
E’ l’attuale sindaco Ignazio Marino a riproporre un piano che riprende molte idee dal Progetto Fori degli anni Settanta. A Marino si devono le limitazioni di traffico nell’area in esame entrate in vigore lo scorso settembre. Giovanni Caudo ha spiegato che il Progetto è previsto dall’articolo 33 delle Norme tecniche del piano regolatore approvato nel 2008. L’idea è quella di smantellare via dei Fori nel tratto che va da Piazza Venezia a largo Corrado Ricci. Questo permetterà di riportare alla luce il Foro della Pace che giace proprio sotto largo Ricci. Da quì fino al Colosseo la via sarà invece mantenuta ma pedonalizzata, dal momento che in quella zona, dove un tempo sorgeva la collina Velia, è stato valutato che non ci siano strati archeologi. “Quando mi sono insediato” ha spiegato l’assessore “ho trovato gli studi delle due commissioni che fra il 2004 e il 2006 lavorarono alla sistemazione dell’area. Le conclusioni, che conducevano alla sopravvivenza della strada d’epoca fascista, secondo me erano in contrasto con tutte le analisi condotte dalle stesse commissioni, che invece portavano a ritenere superflua, anche dal punto di vista della mobilità, la via dei Fori imperiali, almeno nel tratto fino all’imbocco di via Cavour. E allora perché conservarla? Non vorrei che la sua permanenza fosse il frutto di un’ostinazione ideologica. Il problema traffico potrebbe essere risolto rendendo a doppio senso via Nazionale”. Entro agosto Caudo e Marino vogliono ripristinare uno degli assi trasversali che originariamente scendevano da Monti e permettevano l’accesso ai Fori. Si tratterà di un “un percorso pedonale che parte da via Baccina, nella Suburra, e collega via Alessandrina, attraversa i Fori imperiali, via della Consolazione, arrivando in via San Teodoro e via del Velabro. Il tracciato, già previsto dalla commissione del 2006, offre una prospettiva diversa da quella attuale che inquadra il Colosseo da piazza Venezia”. L’iter di approvazione del progetto è lungo. Innanzitutto è necessario che il neo ministro Dario Franceschini istituisca le due Commissioni, che già l’ex ministro Bray si era impegnato a costituire: una per rimuovere il vincolo imposto sulla strada nel 2001, un’altra per studiare l’assetto della zona. Bisogna inoltre avere l’approvazione delle Sovrintendenze (comunale e statale), in quanto una volta tolta la strada si dovrà eseguire lo scavo di quanto riemerso. Saranno costruite delle passerelle rimovibili alla quota archeologica per permettere di ammirare le strutture antiche. Prossime importanti tappe del programma saranno l’introduzione della ztl a Monti (entro giugno), il senso unico ai soli mezzi pubblici lungo via dei Cerchi (entro agosto) e la chiusura di questa via (entro agosto 2015) per permettere la riunificazione tra Palatino e Circo Massimo.
Il fronte del No
Ma anche oggi non tutti sono favorevoli alla demolizione di via dei Fori Imperiali. Tra questi c’è Umberto Croppi, assessore alla cultura della giunta di Giovanni Alemanno (2008-2013). Prendendo la parola al convegno ha voluto precisare che tutti gli interventi dei relatori fanno leva su due elementi: che sia stato il fascismo a volere via dei Fori e che la nuova via tagliò in due l’area archeologica. Croppi sostiene che tutti gli interventi eseguiti in quegli anni erano già contenuti nel piano regolatore del 1873, ripresi poi in quello del 1911. I primi sventramenti nell’area furono compiuti per realizzare il Vittoriano e piazza Venezia alla fine dell’Ottocento. Gli scavi per la realizzazione della via iniziarono nel 1924, molto prima quindi della marcia su Roma. Il Piano regolatore del 1931 riprende la precedente indicazione di un asse di collegamento tra piazza Venezia e San Giovanni. Per quanto riguarda il secondo elemento, Croppi sostiene che la strada nasce insieme all’area archeologica: l’area è messa in luce grazie alla distruzione del quartiere cinquecentesco fatta per costruire la via. Demolizioni operate da Corrado Ricci e poi in maniera organica dall’allora Soprintendente ai monumenti del Lazio Antonio Muñoz. Fu lui ad attuare il primo vero disegno urbanistico di Roma e a creare l’area archeologica Colosseo-Fori-Palatino-Campidoglio. Fu lui ad individuare i monumenti da scavare ed è lui a stabilire un sistema viario di fruizione degli stessi. Quindi per Croppi si tratta di “di un paesaggio letteralmente inventato, che non è mai esistito in questa forma prima degli interventi novecenteschi, di cui il sistema viario è parte integrante, forse addirittura essenziale. Lo stesso limite dell’area archeologica fissato da Cederna e dai suoi seguaci a piazza Venezia è quello altrettanto arbitrariamente assunto dai creatori di via dei Fori Imperiali: se vogliamo essere consequenziali Roma intera è un parco archeologico”. Per Croppi è questo il motivo per cui le commissioni hanno dato parere negativo sulla demolizione di via dei Fori, considerata “principale platea di osservazione”. Per l’ex assessore “prima di prendere qualsiasi decisione bisognerebbe imporre un percorso di accurato, competente e libero studio, perché ogni intervento è destinato a produrre effetti irreversibili su un sistema particolarmente delicato e complesso”.