Indipendenza e responsabilità. Due termini che hanno trovato voce più volte nel seminario di studi sul “ruolo dei corpi tecnico-giuridici nell’evoluzione politico–istituzionale italiana” promosso dall’Associazione funzionari del Senato e dall’Associazione consiglieri parlamentari lo scorso 24 gennaio.
A partire dalle parole del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Antonio Catricalà, che ha aperto i lavori con una riflessione sulla tecnocrazia e sulla sua altalenante considerazione presso l’opinione pubblica, in un rapporto biunivoco in cui controparte è l’autorevolezza della politica.
Tanti gli interventi, molteplici i punti di vista e i modi di esporre e raccontare come, in che misura, da quando, i tecnici con distinte peculiarità sono stati di sostegno all’azione di governo pur non potendo – e dovendo – esercitare funzioni politiche.
Non sono mancate neanche le critiche al sistema: il rischio dell’autoreferenzialità, per esempio, citato da Catricalà in un più ampio discorso partito dalla unitarietà di alcune istituzioni per l’opinione pubblica, come la magistratura, e passato dalla sottolineatura di una perdita nel tempo della capacità di insegnare oralmente le prassi e le modalità di comportamento, oltre che le procedure. «Il tema del trattamento del funzionario non è economico, ma giuridico». La conseguenza del non aver affrontato alcune questioni inerenti le relazioni tra politica e corpi tecnici «è che i migliori se ne vanno», chiosa il Sottosegretario chiedendo ai dirigenti di «alzare la testa» e iniziare a dire dei no dettati dalla responsabilità verso il buon andamento dello Stato e dalla profonda conoscenza della materia.
I professionisti esterni – «La libera professione, soprattutto se specializzata, è un buon complemento per valorizzare le competenze interne, che ci sono», apre il suo intervento l’avvocato Damiano Lipani: «i corpi tecnici non arrivano a permeare l’attuale contesto pubblico allargato, settore che ha oggi la necessità di una guida sui problemi di carattere prevalentemente legale» a causa, per esempio, di una normativa poco coordinata e di una bassa coerenza nel tempo. Un lavoro per «scelte strategiche» su «terre di confine» quello del professionista legale a supporto dell’amministrazione secondo il legale romano, con l’obbligo di rispettare le regole etiche e deontologiche e mantenere l’indipendenza dalla politica.
Il problema non è l’interscambiabilità tra pubblico e privato quanto il fatto che il flusso è solo in uscita, verso la libera professione, riflette Lipani che in ogni caso indica come positiva e promettente la sinergia della gestione della “cosa pubblica” e della migliore pratica legale.
I nodi nella magistratura – Tutti d’accordo sulla posizione fondamentale e strategica dei tecnici anche sul versante della magistratura. Anche se la questione dei giudici fuori ruolo è stato spesso un argomento dei detrattori del terzo potere dello Stato. Ad avviare una riflessione critica è Luca Palamara, già presidente dell’Anm. «Certo è che dobbiamo porci dei problemi rispetto ad alcuni punti», riassunti sinteticamente in cinque questioni cardine. Intanto la questione dell’accesso, della massima trasparenza della chiamata e delle limitazioni, oggettive e soggettive. La durata dell’incarico è un altro nodo della questione: ora è fissata in dieci anni ma per Palamara si potrebbe dividere il decennio con una formula 5+5, rendendo più flessibile l’interscambio. Anche per l’ex presidente dell’Anm il requisito fondamentale da tutelare è quello dell’indipendenza visto che «nell’ultimo periodo della storia parlamentare ci sono stati spesso momenti di sofferenza». Come valutare la professionalità di questi magistrati e ricollocarli in ruolo sono gli ultimi due punti posti all’attenzione dei presenti, per evitare che l’incarico esterno sia considerato una «funzione oscura» e che si formino «carriere parallele a detrimento del magistrato stesso».
«Il magistrato è necessario per l’efficienza statale – ha affermato Palamara – ma nell’Italia che verrà ci si soffermi su aspetti in passato trascurati e oggi necessari per mettere a disposizione persone idonee a fornire un valido contributo tanto nelle amministrazioni che in magistratura».
«Ancora di più oggi, con la politica che si riprende il suo spazio, la complessità economico-finanziaria richiede siano valorizzate le figure tecniche nel rispetto dei relativi ruoli, soprattutto per i magistrati», concorda Tommaso Miele della Corte dei conti. Purché rimangano corpi tecnici e non si arrivi alla tecnocrazia; purché siano in grado di mantenere autorevolezza e conseguentemente indipendenza «nell’interesse delle istituzioni e del buon andamento dello Stato».
I no che servono – Il richiamo alla responsabilità si scontra con alcuni fattori interni al nostro stesso sistema gestionale e ha introdotto l’altro tema trasversale di tutto il seminario: la separazione tra politica e amministrazione, tra attività di indirizzo politico e quella di gestione. Ne ha parlato Francesco Verbaro dell’associazione classi dirigenti delle Pubbliche amministrazioni; ha affrontato nello specifico la questione il professore Gennaro Terracciano, ordinario della Seconda Università di Napoli. «In fondo, una funzione di supporto e consiglio si perde nella notte dei tempi: l’antecedente giuridico “moderno” è il Regio decreto 110 del 1924» ha esordito con verve il professore partenopeo ricordando quanto ammonito dal dispositivo del ’24: chi collabora con il vertice politico non deve amministrare. La complessità dell’amministrazione, il proliferare degli uffici di diretta collaborazione e la parallela regolamentazione degli stessi (non solo nello Stato) apre a profonde riflessioni sul loro ruolo: la sentenza della Corte costituzionale n. 304 del 2010 affida loro il compito di attività strutturale rispetto a quella svolta dal ministro e per tanto ammette il ruolo fiduciario. Il sistema è in tilt, quindi. Perché vale anche la parola del 1924. Sembrerebbe che questi uffici vadano collocati nell’area politica ma non si assumano una responsabilità politica vera e propria in quanto la scelta, alla fine della giostra, resta sempre del politico. Però non hanno neanche responsabilità amministrativa-gestionale. «Non è che si sono resi irresponsabili?» scherza Terracciano: «C’è un’area da chiarire, per correttezza» e per una certezza del diritto che semplifica le prassi e aumenta la consapevolezza delle possibilità di ciascuno di contribuire al buon andamento dello Stato.
Il ruolo del professionista legale quale fisiologico complemento dell’attività dei corpi tecnico-giuridici – Intervento dell’avvocato Damiano Lipani, Roma, 24 gennaio 2013