Convincere almeno 300 milioni di persone a non comprare più la benzina da due compagnie petrolifere, la Shell e la Esso, per indurle ad abbassare il prezzo e dimostrare che i cittadini, quando vogliono, possono imporre la propria volontà. E’ questa l’ultima, ignorante e demagogica crociata del blog di Beppe Grillo, che ha già trovato molti sostenitori i quali si stanno dando un gran da fare per spedire email a mezzo mondo con preghiera di rispedirle all’altra metà allo scopo di raggiungere l’obiettivo.
Questi sostenitori, probabilmente troppo occupati a spedire email, non hanno pensato a informarsi sulla genesi del prezzo della benzina.
Non saremo certo noi a sostenere che i petrolieri sono una comitiva di povera gente che vive di stenti e racimolando quel che può dalla vendita di petrolio e benzine, ma da qui a sostenere che una tribunizia dichiarazione di guerra alle compagnie petrolifere sia la soluzione per ridurre il prezzo della benzina, ce ne corre.
Come sempre la semplificazione eccessiva, o l’ignoranza, porta alla mistificazione e alla demagogia.
Tanto per cominciare, una crociata mondiale, per avere successo, dovrebbe far leva su identiche necessità ovunque. E qui è il primo errore: nei Paesi a forte fiscalità, come l’Italia, il prezzo della benzina è composto per oltre la metà da tasse. Ma in tutti gli altri non è così. Per giunta questi Paesi “altri”, sono quelli che oggi, vivendo una stagione di sviluppo industriale che nei “vecchi” Stati è già tramontata, fanno largo uso della benzina e rappresentano quindi una consistente fetta del mercato petrolifero.
In Russia, ad esempio, un litro di benzina costa 0,56 euro, in Ucraina 0,70, in Romania 0,99, in Bulgaria 1,01, in Estonia 1,02. Ma anche in Spagna supera di poco l’euro per litro. Negli Stati Uniti infine, di gran lunga il Paese tra i più forti consumatori di benzina, nonostante non rientri certo tra gli Stati in via di sviluppo e possegga invece un sistema fiscale molto strutturato, un litro costa circa 53 centesimi di euro.
E’ ovvio perciò che sarà tanto più difficile raccogliere adesioni alla crociata laddove il prezzo della benzina non è considerato, dai cittadini, troppo elevato.
Ma la questione fondamentale è un’altra: il prezzo della benzina, per il consumatore finale, dipende in minima parte dalle speculazioni, che pure non mancano, delle compagnie petrolifere.
Un barile di petrolio, oggi, costa 80 dollari. In un barile ci sono 159 litri di petrolio. Un litro di petrolio costa perciò 50 centesimi di dollaro e cioè, al cambio di oggi 24 giugno 2010, 40 centesimi di euro.
Il petrolio, per diventare benzina, deve essere trasportato, raffinato e ri-trasportato nei distributori al dettaglio. In alcuni Paesi i pedaggi autostradali non ci sono o sono bassi. In Italia e in altri Paesi, ci sono e sono abbastanza alti.
Questo è un primo costo che si “riversa” sulla benzina al consumatore finale.
Per ridurlo basterebbe che la politica nazionale, ci riferiamo all’Italia, (e non le compagnie petrolifere) introduca delle tariffe agevolate per questo tipo di trasporti.
Sempre per restare in Italia, è ormai noto quasi a tutti, tranne che al blog del grillo parlante (ma poco pensante), che il prezzo della benzina è composto da tre voci: costo del prodotto, accise e Iva (le “accise”, dal latino “accisio” = taglio, furono introdotte da Giustiniano ed erano dei tagli imposti al margine di guadagno dei produttori di beni che questi dovevano versare alle casse dell’Impero. Oggi sono invece delle aggiunte al costo che pesano sul consumatore).
Con un po’ di pazienza, nei documenti ufficiali è possibile trovare le proporzioni delle tre voci: si scopre così che soltanto il 31,33 per cento del prezzo della benzina si riferisce, per l’appunto, alla benzina. Il 16,67 per cento è Iva (non arriva al 20 perché si calcola in modo diverso sulle varie accise) mentre addirittura il 52 per cento del costo di un litro di benzina, in Italia, è rappresentato da accise. Ossia da tasse di vario genere, da quelle doganali a quelle “al consumo”. Tra queste possiamo trovare tasse per:
- la guerra in Abissinia del 1935 (1,90 lire);
- la crisi di Suez del 1956 (14 lire);
- il disastro del Vajont del 1963 (10 lire);
- l’alluvione di Firenze del 1966 (10 lire);
- il terremoto del Belice del 1968 (10 lire);
- il terremoto del Friuli del 1976 (99 lire);
- il terremoto in Irpinia del 1980 (75 lire);
- la missione in Libano del 1983 (205 lire);
- la missione in Bosnia del 1996 (22 lire);
- il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004 (39 lire).
Ce ne sono molte altre ma abbiamo citato solo quelle relative a “giustificazioni” ormai ampiamente superate. Basti ricordare che ogni Regione ne introduce qualcuna limitatamente al proprio territorio (in Liguria ce n’è una per compensare il “buco” nella Sanità).
Dunque per ridurre significativamente il prezzo della benzina basterebbe che la politica nazionale, ci riferiamo all’Italia, (e non le compagnie petrolifere) eliminasse le accise non più attuali e riducesse le altre. E le amministrazioni regionali cominciassero a ridurre gli sprechi così da non essere costrette a compensare aumentando il prezzo della benzina.
Oggi invece se paghiamo un litro di benzina 1,44 euro significa che stiamo pagando 60 centesimi di accise, 26 centesimi di Iva e 58 centesimi di benzina.
Se la politica nazionale (e non le compagnie petrolifere) dimezzasse (senza abolirle) le accise, e dimezzasse (senza abolirla) l’Iva – ad esempio già sull’energia e su molti altri combustibili l’Iva è al 10 per cento e non al 20 e perfino sui contratti Mediaset Premium l’Iva è al 10 per cento e per questo costano meno di Sky – un litro di benzina costerebbe, già oggi, 1 euro e 1 centesimo.
Se anche le amministrazioni regionali facessero la loro parte, addirittura scenderemmo sotto l’euro per litro.
Peccato però che dalle accise sulla benzina lo Stato incassi, ogni anno, oltre 30 milioni di euro. E che le Regioni, specie in una stagione di tagli come questa, si guardano bene dal ridurre le accise regionali.
Tuttavia gli esperti di economia ci insegnano che ridurre di un terzo il costo dei carburanti significa ridurre moltissimi altri costi, dalle materie prime ai servizi. E questo incide positivamente sull’economia complessiva di uno Stato.
Si tratta quindi, come è facile accorgersi, di una questione di scelte politiche e di strategia economica.
Non saremo certo noi a voler dire quale scelta sia giusta e quale sbagliata, ma basterebbe questa riflessione per capire che puntare come primo obiettivo alla riduzione del prezzo della benzina vera e propria, significa puntare a ridurre quei 58 centesimi di costo relativi al carburante.
E quanto, secondo il beppe nazionale, le compagnie petrolifere sarebbero disposte a ridurre quei 58 centesimi? Che, non dimentichiamolo, sono la risultante di costi come il trasporto e le tasse doganali che nemmeno dipendono da loro? Immaginiamo che, in seguito all’ignorante crociata, i petrolieri riducano quei 58 centesimi del 20 per cento. Sarebbe un ottimo risultato, in astratto: ottenere il 20 per cento di sconto, in qualunque settore, è un successo! Bene: questo successo abbasserebbe i 58 centesimi a 46,4. Rifacendo i conti, un litro di benzina costerebbe, alla fine, 1 euro e 32 invece di 1 euro e 44.
Mentre, come abbiamo visto, se si modificasse la strategia politico-fiscale, da 1 euro e 44 passeremmo in un sol colpo a 1 euro (e non dimentichiamo che se vivessimo a New York, che non è proprio il Burundi, già oggi staremmo pagando la benzina 53 centesimi).
La verità è che è molto più suggestivo fingere di combattere contro la Spectre, come James Bond, piuttosto che lavorare pazientemente alla ricostruzione di difficili equilibri.
Invece di (o prima di) ingaggiare inutili lotte contro multinazionali straniere, pensiamo agli imbecilli italiani.