Padre David Maria Turoldo morì e la poesia venne avvolta nel velo del dolore spandendosi nelle terre italiane nel terribile anno 1992.
Quando venti anni fa presi le redini del Portnoy café, mi sembrava di vivere un episodio del film “Un giorno all’Opera” dei fratelli Marx. In una cabina di una nave da un baule escono tre clandestini. Il quarto unico possessore del biglietto, chiama un gruppo di camerieri ordinando un numero sproposito di tramezzini e uova sode, senza contare estetiste e guardarobiere. Immaginatevi di stare in quaranta in pochi metri quadrati.
Benvenuti al Cafè Portnoy di Milano, esposti allo sferragliare dei tram e ai rumori della città.
Un osservatorio scomodo dove transitano tutti, ma si fermano in pochi a parlarsi in pena tempesta Tangentopoli e Mani Pulite . Premi Nobel, come il poeta egiziano Edmond Jabés, artisti noti e sfaccendati, poeti e letterati, impiegati del Catasto e tecnici della Società del gas.
Sembrano personaggi usciti dalla penna di Dino Buzzati dai vicoli segreti di questa città misteriosa. Donatella Bisutti mi invitò ad organizzare gli incontri culturali. Si trattava di mettere insieme autori e critici, giornalisti e letterati. Ed ecco spuntare dalle Cinque Vie il mio benefico amico galeotto Bruno Brancher morto nel dicembre del 2009 in una clinica di Vercelli.
Scrocca libri in cambio di penne stilografiche, ricevute in omaggio da Vanni Scheiwiller, editore-protettore di Alda Merini. La poetessa, compagna di Giorgio Manganelli per vezzo o necessità, inforca un paio di occhiali con una sola stanghetta. Una pausa per schiarirsi la voce con una caramella. A notte inoltrata Alda chiama al telefono Maria Corti, fondatrice con Umberto Eco e Nanni Balestrini della rivista Alfabeta. La poetessa dei Navigli chiede un aiuto economico per pagare l’affitto. Il caffè si sviluppa su due piani come una Babele di voci.
Mentre Mario Spinella e Francesco Leonetti, discutono della caduta del Muro di Berlino, il compositore Riccardo Malipiero accompagna al pianoforte la moglie che recita versi di Vittorio Sereni. Giuseppe Pontiggia racconta fatti di persone non illustri. Al piano di sotto Enrico Deaglio e Fabio Fazio, preparano ciascuno al proprio tavolo, le rispettive trasmissione tv.
Alessandro Quasimodo recita con voce baritonale i versi del padre, premio Nobel. Dino Boffo (quello del “trattamento”) presenta un libro di germanistica con Giampiero Neri. Nel pubblico le provocazioni di Tommaso Labranca e le sfide dell’esuberante Andrea Pincketts con un timido Carlo Feltrinelli che osserva spaesato. Mario Andreose, editor di Eco, chiede a Stefano Bartezzaghi di porre domande più puntuali a Bianca Garavelli. Enrico Baj propone una serata patafisica a Vincenzo Accame. Maria Corti rivela il segreto del romanzo arabo della Scala, tradotto da Brunetto Latini per il sommo Dante.
Il cameriere volante Nir Lagzir dal sorriso efebico alla Chagall, si arrampica sulla scala a chiocciola con un vassoio ricolmo di bevande. Alcune fotomodelle americane dell’ agenzia Why Not leggono Ezra Pound e Allen Ginsberg. Benedetta Barzini piange una sera di aprile sulle note di Bach eseguite dalla violoncellista Bianca Fervidi.
Come in un albergo di posta, il pubblico arriva anche da altre città. Il pilota Alitalia, Sergio Zuccaro, proveniente da Tokyo con l’abbigliamento alla Antoine de Saint Exupéry dopo un toscano, ha il tempo di litigare con il poeta Umberto Piersanti, arrivato da Urbino per l’occasione. Rino Genovese e Daniela Marcheschi da Firenze convocano Walter Lupi da Pisa, Elena Esposito da Bologna e Carla Benedetti da Pavia. Una lezione magistrale di estetica ad un impiegato comunale e ad un operaio della Alfa Romeo in cassa integrazione. Quirino Principe avvolge di miscele alchemiche le leggende wagneriane rievocando suoni di corno e versi teutonici. Come nasce un luogo così magico?
A metà degli anni Ottanta Sergio Israel, ex katanga del Movimento Studentesco ispirato dal poeta Antonio Porta, suo vicino di casa, individua un piccolo negozio dismesso vicino alla Colonne di San Lorenzo. Lo trasforma in un caffè e sceglie Il nome del locale ispirandosi ad un romanzo di Philip Roth, “Lamento di Portnoy”. Un ritorno al passato. I I fratelli Alessandro e Pietro Verri, Cesare Beccaria, Pietro Secchi, Sebastiano Franci, creano una rivista scientifica. Pietro Verri ha scelto il nome ispirandosi alla Bottega di Demetrio. “Il caffè rallegra l’animo, risveglia la mente, allontana il sonno ed è particolarmente utile alle persone che fanno poco moto e che coltivano le scienze” Anno di grazia 1764. L’esperienza del Portnoy termina a metà degli anni Novanta. Rimane l’insegna ma oggi è un normale bar. Mario Spinella prima di morire lo definisce il Caffè delle idee, lontano dai rotocalchi e dai salotti televisivi. Una forte passione di rinnovamento in un’epoca di declino morale.