L’esito della decisione ha sorpreso tutti. Molti si aspettavano un rinvio, altri credevano che la Consulta non si sarebbe assunta la responsabilità di deliberare su una materia così delicata. Invece mercoledì 4 dicembre, la Corte Costituzionale si è espressa sulla «questione di costituzionalità 144/2013», che altro non è se non il ricorso contro la legge elettorale in vigore fino a ieri, l’ormai celeberrimo Porcellum.
Una legge biasimata da tutti, partiti e leader politici, che nonostante le critiche dei costituzionalisti, gli improperi degli elettori e gli appelli del Quirinale, nessuno era ancora riuscito a cambiare dal lontano 2005. Anche i neoeletti deputati a 5 stelle, non appena si era trattato di scegliere fra le nuove modalità di voto e il vecchio Porcellum, avevano preferito tenersi stretta la vecchia legge elettorale e, soprattutto, la possibilità di nominare i parlamentari senza passare per il voto di preferenza degli elettori. Ma tutto questo appartiene ormai ai libri di storia: il Porcellum è, ufficialmente, incostituzionale. La nota diramata al termine della camera di consiglio dall’alta Corte non dà adito a dubbi: «La Corte – si legge nella nota – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione. La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali “bloccate”, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza». Un pronunciamento storico che segna un’inversione di rotta nel Paese: il primo vero cambiamento negli ultimi vent’anni della storia della Repubblica. Più di qualsiasi ribaltone o voto di fiducia, più di ogni rimpasto o decadenza di berlusconiana memoria, il verdetto della Consulta potrebbe stravolgere gli equilibri politici italiani. Un epilogo per molti versi sconcertante, che in pochi avevano previsto quando Aldo Bozzi, l’ottantenne avvocato e nipote dell’omonimo esponente del Partito Liberale, protagonista della Resistenza, presentò il suo ricorso. Invece lo scorso 17 maggio il tenace avvocato anti-Porcellum, si è visto dare ragione dalla prima sezione civile della Cassazione che ha rimandato alla Consulta l’ultima parola sulla costituzionalità della legge. Oggi è arrivato l’atteso verdetto della Corte Costituzionale.
A che serve il Parlamento?
Cosa accadrà adesso? Una domanda che molti si stanno ponendo ma alla quale, per ora, è impossibile dare una risposta, almeno finché non sarà pubblicata la sentenza e con essa le motivazioni del pronunciamento per le quali sarà necessario attendere le prossime settimane. Quel che è certo è che già in molti, da Grillo a Berlusconi, invocano il ritorno alle urne e considerano ormai delegittimato il Parlamento. Ma la sentenza getta un’ombra anche sulle due precedenti legislature e addirittura sull’elezione del Capo dello Stato: se la legge elettorale è “abusiva” lo sono anche tutti i Parlamenti eletti attraverso di essa e le decisioni che questi hanno preso. A tale proposito nella nota diffusa subito dopo la sentenza la Consulta precisa che «il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali». Tuttavia questa precisazione, più che rassicurare rende ancora più evidente ciò che, ormai, è sotto gli occhi di tutti: il totale fallimento della politica e la sostanziale inutilità del Parlamento.Il potere politico è oggi al punto zero: incapace di decidere e di riformarsi ha dimostrato di avere un continuo bisogno dell’azione supplente della magistratura. In principio fu la questione morale con la magistratura chiamata a selezionare a posteriori una classe dirigente indegna di occupare gli scranni parlamentari. Successivamente le toghe hanno dovuto anche agire direttamente al posto dei governi: l’ultimo caso è stato quello dell’Ilva di Taranto dove la magistratura ha bloccato le attività produttive per tutelare la salute dei cittadini. Oggi la stessa legge elettorale, materia politica per eccellenza, non è più di pertinenza del Parlamento, che sembra aver definitivamente abdicato al potere legislativo che gli è proprio. Dei magistrati, chiamati a controllare la costituzionalità di una legge parlamentare, ne hanno decretato l’annullamento attuando, de facto, una riforma elettorale al posto delle Camere, incapaci di decidere. Sia che si torni al voto con il mattarellum, sia che il governo delle intese, ormai sempre più strette, riesca a varare in extremis una nuova legge elettorale, la classe politica italiana esce da questa vicenda completamente screditata. Lo stesso presidente del Senato, Piero Grasso, aveva dichiarato poco prima del giudizio della Corte: «I gruppi parlamentari non riescono a trovare un accordo politico, dimostrando di non sentire la marea montante di una rabbia che si riverserà, più forte di prima, contro tutti i partiti».Parole che a rileggerle oggi sembrano quasi profetiche. Del resto che il Parlamento avesse perso ogni forma di credibilità era evidente da tempo : l’ormai decaduto Porcellum, nell’ultima tornata elettorale, aveva attribuito il 54% dei seggi ad una coalizione che rappresentava solo il 29.5% e per altro solo in un ramo del Parlamento. Ad oggi la nostra assemblea legislativa è, dunque, la meno rappresentativa al mondo se si pensa che con l’eliminazione delle preferenze, tutti i parlamentari sono stati nominati dagli apparati di partito e che, invece, i leader che hanno ancora un consenso elettorale (Renzi, Grillo e Berlusconi) attualmente sono tutti fuori dal Parlamento. Un vero paradosso. Ma come siamo arrivati a questo punto? Dove si è smarrita l’autorevolezza dell’organo che dovrebbe rappresentare la volontà popolare?
Una Repubblica al bivio
In realtà i problemi non sono cominciati oggi. Fin dagli anni ’70 si parla della “crisi del Parlamento”perché, fondamentalmente, il nostro sistema istituzionale è sempre stato affetto da un’ambiguità di fondo. Quello italiano è infatti un sistema parlamentare in cui però le Camere hanno pochissimi poteri e si limitano, ormai, a ratificare decisioni prese altrove. Camera e Senato sono stati lentamente, ma inesorabilmente, svuotati del loro potere legislativo a favore del Governo. Voti di fiducia e decreti d’urgenza hanno gradualmente sostituito l’iter legislativo parlamentare fino a che il Governo ha, di fatto, sostituito il Parlamento nell’azione legislativa. Si pensi alla legge finanziaria, oggi nota con il nome di legge di stabilità: l’azione dei parlamentari si limita alla possibilità di qualche emendamento per modificare qualche dettaglio, mentre la politica economica è, interamente, nelle mani del Governo. Per questo l’Italia non è mai stata fino in fondo una repubblica parlamentare e con l’introduzione del sistema di voto maggioritario, le liste bloccate e l’indicazione del premier direttamente sulla scheda elettorale si sono fatti dei passi verso una forma di governo di tipo presidenzialista senza però cambiare l’assetto costituzionale. Per questo oggi il nostro sistema non è “né carne né pesce” tant’è vero che le forze politiche possono evocare, a seconda della convenienza del momento,la sovranità del Parlamento salvo poi gridare al “golpe di palazzo” quando si formano maggioranze di governo alternative (come nel caso del governo Monti). Ma il cambio delle maggioranze è una caratteristica del sistema parlamentare, così come l’elezione del Presidente della Repubblica da parte delle Camere (e anche del Presidente del Consiglio). Ormai la confusione è tanta che la maggior parte dell’opinione pubblica crede che il nostro funzioni come un sistema presidenziale e vive ogni episodio che contraddice questa sensazione, come un tradimento. Per questo prima di rinnovare, finalmente, la legge elettorale è indispensabile una rapida riforma istituzionale: o si abolisce una camera e si rende quella che resta veramente rappresentativa del volere popolare per riequilibrare il potere di fare le leggi in direzione del Parlamento, oppure si passa definitivamente ad una forma di presidenzialismo effettivo potenziando il ruolo del Governo e del Presidente del Consiglio. Insomma bisogna decidere, una volta per tutte, in che direzione andare per superare definitivamente un’ambiguità che frena l’azione delle Istituzioni da ormai troppi anni. La sentenza della Corte Costituzionale segnala che il tempo è ormai scaduto. Tuttavia è sempre meglio tardi che mai.