A sinistra, sotto l'ombrello, Antonino Caponnetto al funerale di Giovanni Falcone

Dopo la morte del giudice istruttore Rocco Chinnici trucidato in un attentato mafioso con il portiere dello stabile della sua casa di Palermo e di due agenti della scorta il 29 luglio 1983 il Consiglio Superiore della Magistratura bandì un concorso per rimpiazzare il valoroso magistrato caduto.

Chinnici aveva costituito il pool palermitano con Paolo Borsellino e Giovanni Falcone e stava istruendo il maxiprocesso contro centinaia di capi mafia con l’intento di smantellare la cupola siciliana. Si presentò un alto magistrato che lavorava al Tribunale di Firenze con grandi capacità – così ricordava il suo collega e amico Pierluigi Vigna- che viveva in Toscana da tantissimi anni pur essendo nato in Sicilia a Caltanissetta. Aveva 63 anni moglie e figli. Fece tutto a loro insaputa sapendo di dove affrontare incomprensioni, un distacco e un isolamento che avrebbe comportato un sacrificio doloroso per evitare di esporli a gravi pericoli.

Antonino Caponnetto visse a Palermo in una caserma segregato e lontano dai suoi continuando caparbiamente il lavoro di Chinnici e rafforzando l’intelligence investigativa del pool palermitano arrivando così alle udienze dibattimentali del maxiprocesso nel 1988. Il tribunale di Palermo inflisse pene severissime a decine di capimafia. La sentenza decapitò gran parte dell’organizzazione militare di Cosa Nostra. Caponnetto, date le sue precarie condizioni di salute, dopo quasi sei anni lasciò l’Ufficio Istruzione rassicurato dai vertici giudiziari che Giovanni Falcone sarebbe diventato il suo erede.

Purtroppo non fu così Il Csm designo l’anziano Antonino Mele smantellando così un’esperienza che poteva portare alla definitiva sconfitta della mafia. La conferma in Cassazione della Sentenza del maxiprocesso del 1992 scatenò le orribili stragi di Capaci e Via D’Amelio sino all’epilogo degli attentati fiorentini ai Georgofili, romani di Piazza al Velabro e milanesi di Via Palestro con molti morti innocenti e la devastazione del patrimonio culturale de Paese.

La tregua secondo le ultime indagini giudiziarie ancora in corso sembra far capo a una presunta trattativa tra Stato e Cosa Nostra. Durante i processi per le stragi del 1992 vi furono depistaggi e falsi testimoni che accreditarono una visione riduttiva dei moventi e dei mandanti.

Antonino Caponnetto negli ultimi anni della sua vita si recava spesso nelle città d’Italia per incontrare soprattutto le ragazze e i ragazzi delle scuole. L’impatto con i cittadini, ma soprattutto con gli studenti era quasi sempre fraterno e travolgente. Nonostante la differenza d’età l’intesa con i giovanissimi era immediata e nel loro immaginario egli veniva considerato il nonno buono da ascoltare per chiedergli un consiglio o un suggerimento. Le aule magne erano sempre gremite e l’attenzione altissima. Caponnetto infaticabile divulgatore (in un giorno riusciva a parlare in tre diversi istituti scolastici) insegnava il mestiere di vivere, sapendo leggere dietro le cose.

L’undici novembre 1996 nel pomeriggio dopo l’incontro in un liceo di Saronno il magistrato si recò ad Appiano Gentile invitato da Giacinto Facchetti e Gian Mario Visconti. Ai calciatori dell’Inter in ritiro in vista della Coppa Italia confessò pudicamente di essere tifoso da quando aveva dieci anni e di conservare il fuoco della passione calcistica. Il giudice elogiò capitan Facchetti visibilmente commosso, quale esempio di lealtà e rispetto delle regole.

Qualche anno prima della sua morte avvenuta a Firenze il 6 dicembre 2002, Nino Caponnetto in una scuola tecnica lombarda dettò il suo testamento spirituale. “Cari giovani, voi sapete forse che negli ultimi anni ho incontrato decine di migliaia di studenti in ogni parte d’Italia. Abbiamo sempre parlato di legalità, di democrazia, di libertà, di quei principi e valori che devono sempre accompagnare il vostro cammino, la vostra crescita… Credo di conoscere i giovani di oggi, i loro pensieri e le loro speranze ed anche le loro delusioni, spesso provocate dalla incomprensione e dalla stoltezza degli adulti…Vorrei leggervi alcuni bellissimi versi di Bob Dylan che mio figlio mi consegnò quando partii da Firenze nel novembre del 1983, dopo la nomina di Capo dell’Ufficio istruzione di Palermo dove lavoravano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. <Essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando l’oceano è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro>. L’avvenire è nelle vostre mani. Ricordatevelo sempre!”.

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