Una delle cose che più colpiscono della congestione comunicativa da main stream è la reazione spesso indifferente dei destinatari.
I social network hanno sopperito in parte a questa forma di anestesia collettiva introducendo l’ “azione” da parte del fruitore dell’informazione. Uscendo dalla condizione forzata di target di un messaggio, il lettore può riprendere il link dell’articolo o del video, deviarne l’aspirazione “formativa”, può commentarlo. Può confermarne il contenuto o smontare tutto in un attimo.
Ma è così vero che le denunce fatte proprio grazie ai social raggiungano l’effetto sperato e che siamo così liberi dal main stream?
Un caso da manuale, tra i tantissimi, è quello recente di un giovane scrittore di 25 anni che collabora sul Secolo XIX, un quotidiano per anziani conservatori, con un impatto sull’opinione pubblica pari allo zero. La riflessione del giovane-anziano scrittore, argomentata con una serie di esempi in un articolo on line, era che le donne se ne vanno in giro con certi shorts veramente corti, e come direbbe una sua amica: “ ti credo che le stuprano”. E così via osservando che le ragazze vanno in giro “vestite da sgualdrine” etc. E’ facile immaginare che un lettore del Secolo XIX condivida queste riflessioni qui. Si tratta infatti di un pensiero anni ’50 molto ipocrita e tragicamente rivolto alle donne, come se “stuprare” non fosse il problema maschile. E se si vuole è pure il pensiero in linea con la tradizione musulmana che prevede il velo per le donne per contenere appunto le voglie dell’uomo. Tuttavia quell’articolo aspirava ad essere “politicamente scorretto”, come tale anche portatore di libertà e di intelligenza.
I social network, nella loro reazione indignata di massa hanno solo dato dignità e legittimità a questi contenuti.
Per una settimana non c’è stata blogger, associazione di femministe, twitter, articolo che non ne abbia cantante quattro all’autore, inondato la redazione di mail, insulti e ragionamenti: “Come si permette”, “ti pare che il femminicidio lo spieghi così” insomma tutta una serie di utili evidenze che vale la pena ribadire, solo che il risultato è stato un altro: si è reso notissimo l’autore della fesseria e la fesseria stessa ha trovato un pensatore riconosciuto.
Chi non lo conosceva infatti si è andato a cercare chi è, cosa fa, cosa ha scritto.
Il Secolo on line ha centuplicato gli accessi, realizzato un video con interviste a ragazze in shorts e sono intervenuti in tantissimi, a indignarsi, compreso Simone Regazzoni che è un altro scrittore collaboratore del Secolo che basa il suo pensiero su un “contro corrente” di un’ovvietà disarmante, per cui alla fine sono tutti moralisti e Berlusconi non ha tutti i torti. Perfino lui, vistosi surclassato da un suo collega in fatto di “politicamente scorretto” (ma tragicamente ovvio), gli ha dato addosso.
L’interessato s’è difeso e si è creato un inutile dibattito. Ha vinto ovviamente l’interessato che ha avuto per una settimana intera l’attenzione di tutti.
Questa distorsione della comunicazione è anche perfettamente funzionale alla politica, crea mostri, e per cui andrebbe riconosciuta meglio di volta in volta quando si intende denunciare. E evidenzia anche il fatto che spesso i social network ricalcano ancora, malgrado la libertà che offrono, modelli di comunicazione tipici dei media tradizionali.
Proprio questo meccanismo di indignazione a casaccio contro persone che esprimono ovvietà retrograde come appunto dire che le donne si devono vestire più decenti, abbasso i neri e tutti gli immigrati, una coppia gay non si può sposare, e così via, non fa che introdurre con forza nel main stream l’argomento che si vorrebbe distruggere. A meno che non ci sia una diffusione capillare di questi argomenti come fa Radio padania appunto che imperversa senza disturbo, o a meno che non provengano da una sede istituzionale, insomma a meno che non si crei in qualche modo “cultura”.
Ci sono personaggi come Daniela Santanché, Carlo Giovanardi, Maurizio Gasparri che sono nati esattamente con questa logica. Chi, in caso di questioni che hanno a che fare con libertà degli individui non intervisterebbe Giovanardi esattamente perché nove volte su dieci dirà una scemenza gigantesca che fa indignare tutti? Chi non inviterebbe Daniela Santanché con quel volto sempre più inquietante così capace di concentrare rancore, ovvietà e difesa patetica del capo? E come dimenticare Gasparri e le urla senza senso in tv?
Dare il via libera a questi pensatori facendoli trionfare perché è sicuro che creano lo scompiglio in uno studio televisivo, non è senza conseguenze. Alla fine di questa modulazione della comunicazione c’è un altro meccanismo molto più perverso, che è quello della politica che pesca poco nelle competenze e molto nella quantità di apparizioni e di ascolti di una trasmissione basata sulle liti e sull’indignazione che sollevano i personaggi convocati. Santoro è Floris sono due grandi talent scout in questo senso. Per cui Giovanardi o Santanché che pure hanno avuto dei ruoli non indifferenti nella vita delle istituzioni sono il frutto della popolarità del disgusto che è poi anche quella che ha fatto grande Berlusconi e ha legittimato e dato spazio e lustro a qualsiasi espressione demenziale gli passasse per la testa.