Mentre sono in corso le consultazioni al Quirinale, nel complicato tentativo di dare un governo all’Italia, mai come in questo difficile 2013, l’incertezza e la confusione sembrano regnare incontrastate sotto il cielo della politica.
Ma il 2013, che da questo punto di vista sembra segnare la crisi più nera, è anche l’anno del Principe. Esattamente 500 anni fa, infatti, veniva scritta, nella Firenze del Rinascimento, un’opera importante e controversa, destinata ad essere letta e discussa nei secoli successivi, fino ai nostri giorni: “Il Principe” di Niccolò Machiavelli. Trattato politico scritto sulla scorta dell’esperienza personale dell’autore, immerso nella politica italiana del tempo,” Il Principe” parla dei principati e dei modi in cui essi si conquistano e si conservano. Lontano dalla fredda teoria il libro di Machiavelli è condito con continui esempi e richiami ai personaggi del suo tempo, che dipingono con immagini “vive” ed efficaci il pensiero dell’autore e ne lasciano trasparire tutta la passione politica. Ma cosa ha da dire un’opera scritta nel 1513 agli italiani del XXI secolo? Molto più di quanto potrebbe sembrare a prima vista.
Un libro che parla ad ogni epoca
Pur essendo un libro profondamente immerso nel suo tempo e nella mentalità dell’epoca, fattori profondamente cambiati nel corso dei 500 anni che ci separano da Machiavelli, “Il Principe” mantiene, come tutti i classici, un nucleo di profonda attualità capace di parlare agli uomini di tutte le generazioni. Come “La Divina Commedia”, “Il Canzoniere” di Petrarca e “I Promessi Sposi”, il capolavoro di Niccolò Macchiavelli fa parte del DNA culturale del nostro Paese e non solo. Non è un caso che ogni epoca si è, a suo modo, riconosciuta nel Principe per motivi sempre diversi: nell’Italia postnapoleonica veniva esaltato il realismo politico di Machiavelli, capace di indicare in una monarchia forte l’unica prospettiva di superamento delle lotte intestine. Durante il risorgimento alcuni videro in Machiavelli il profeta della riscossa nazionale. Nel XX secolo, Gramsci identificò il moderno principe non in una persona ma nel partito politico come “concretarsi di una volontà collettiva riconosciuta e affermatasi parzialmente nell’azione”, mentre Mussolini strumentalizzò l’opera dell’autore fiorentino, durante il ventennio, per giustificare la propria concezione di “Stato etico” . Anche oggi abbondano interpretazioni diverse e spesso controverse de “Il Principe” che continuano, in alcuni casi, ad alimentare la cattiva fama dell’opera e del suo autore.
Una cattiva reputazione
Sarà per le figure storiche prese ad esempio ne “Il Principe”: gente tanto ambiziosa quanto spietata come il Duca Valentino, o sarà forse per il realismo politico, fatto sta che una pessima fama caratterizza l’autore fiorentino, soprattutto fuori dai confini nazionali. Se gli inglesi lo identificano addirittura con il diavolo (chiamato the Old Nick, in riferimento proprio allo scrittore toscano), i luterani hanno visto in Machiavelli il teorico della tirannia e dell’immoralità attribuendogli la famosa affermazione secondo cui “il fine giustifica i mezzi”. Un fraintendimento nato probabilmente da un passo del capitolo 18 in cui si legge: “Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu se’; e quelli pochi non ardiscano opporsi alla opinione di molti che abbino la maestà dello stato che li difenda: e nelle azioni di tutti li uomini, e massime de’ principi, dove non è iudizio da reclamare, si guarda al fine. Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: è mezzi saranno sempre iudicati onorevoli, e da ciascuno laudati; perché el vulgo ne va preso con quello che pare e con lo evento della cosa; e nel mondo non è se non vulgo”. Come è chiaro però, il passo si riferisce alla massa e al suo modo, consueto, di pensare e non a ciò che il principe dovrebbe essere. Oggi come ieri dunque, la massa può essere sedotta da individui che guardano al proprio obiettivo finale e non ai princìpi. Anche se il principe deve tenere conto del modo di pensare della massa per mantenere il consenso non è autorizzato a fare ciò che vuole. Innanzitutto perché il fine ultimo del principe non è il suo personale tornaconto ma il bene dello Stato. Anzi Machiavelli sottolinea a più riprese l’importanza della prudenza e della virtù per saper sempre leggere i tempi presenti e per calcolare adeguatamente ciò che accadrà in futuro al fine di arginare l’impatto degli imprevisti della fortuna, ovvero della contingenza, del caso, dell’incertezza che caratterizza la vita umana e la politica in particolare.
Chi è il Principe?
Una virtù civile quella auspicata da Machiavelli, da mettere in pratica nella realtà fattuale del mondo come è, e non come dovrebbe essere. Da questo punto di vista Machiavelli è il primo a mettere la politica a contatto con la dura realtà quotidiana e a rivendicarne l’autonomia sia dalla religione che dalla morale. Non che prima si agisse diversamente ma Machiavelli fu il primo a teorizzare la politica come una scienza con dei principi propri. Ciò non equivale, però, a porre la politica al di sopra dell’etica. Anzi ci dovrebbe essere un’etica della politica (come sosteneva Bobbio). Un crinale sottile. Come distinguere il vero principe dall’uomo privo di morale? Il nostro panorama politico ci ha abituato, in questi anni, a vedere uomini politici, privi di morale politica, porsi al di sopra delle leggi, per perseguire i propri fini personali piuttosto che il bene comune. Chi invece fosse andato al cinema, in questi mesi, a vedere il film Lincoln, avrebbe visto il presidente americano adoperarsi, con ogni mezzo, per recuperare i voti necessari all’approvazione del famoso emendamento che abolì la schiavitù, riuscendo infine ad ottenere un successo storico per l’umanità. L’idea che Macchiavelli aveva della questione doveva essere più o meno questa, al netto di tutte le differenze di tempi e di luoghi. Per Machiavelli, il principe, la cui persona è lo Stato (cosa oggi improponibile), deve essere insieme volpe e leone per difendersi dall’indomabile fortuna ma sempre per raggiungere quella riscossa civile e morale dell’Italia tanto agognata dallo scrittore fiorentino. E proprio nel desiderio di un riscatto dell’Italia sta forse il significato più attuale de “Il Principe”.
Attualità de “Il Principe”
Scritto agli albori dell’età moderna “Il Principe” descrive un Paese, il nostro, alle prese con uno snodo decisivo della sua storia: mentre in Europa nascono e si affermano le monarchie nazionali, l’Italia si trova frazionata e divisa in tanti Stati regionali, preda del caos e delle ingerenze straniere. Smarrito l’equilibrio tenuto in piedi da Lorenzo il Magnifico, “l’ago della bilancia politica italiana”, i principali potentati italiani vedono seriamente minacciata la propria indipendenza. In questo contesto difficile e caotico, Machiavelli scrive “Il Principe” con la speranza di vedere emergere dalle “nebbie” un principe “virtuoso”, capace cioè di dar vita ad uno Stato forte, in grado di proteggere l’Italia dalle scorribande straniere. Un quadro di incertezza, dunque, quello in cui Machiavelli concepisce il suo capolavoro: un tempo in cui si è persa ogni bussola politica e morale. Da questo punto di vista anche Machiavelli viveva in un’epoca di profonda crisi della politica. Ma la politica è per Machiavelli sì la fonte dei mali dello Stato, ma anche l’unico rimedio possibile alla crisi. La lezione che ci arriva dall’autore de “Il Principe” è la centralità della politica come sintesi dei disparati interessi della società, e come punto di convergenza di qualsiasi comunità che in essa trova l’unico strumento per decidere del suo futuro. In tempi di antipolitica e di qualunquismo questa lezione risulta più che mai attuale. Mentre molti sono tentati dal “gettare il bambino assieme all’acqua sporca”, Machiavelli ci ricorda la complessità della politica, sempre esposta da un lato ai capricci della sorte e del caso e dall’altro soggetta alla virtù per arginare l’impatto degli imprevisti. Una via stretta lungo la quale la ruina è la compagna di viaggio costante di chi la percorre. Un perenne conflitto, dunque, fra il tentativo di indirizzare razionalmente la realtà e la percezione di un momento storico buio che concatena una serie di eventi che sfuggono ad ogni accorta previsione. Oggi, come ieri, non si vede all’orizzonte nessun “Principe”, capace di risollevare l’Italia dal pantano, tuttavia, e questa è la lezione attuale di Machiavelli, non è possibile rinunciare alla politica come strumento di risoluzione dei problemi della società.