“È necessario, evidentemente, risvegliare l’amore per il nostro patrimonio culturale, imparare di nuovo ad indignarsi di fronte a eventi che non interessano più a nessuno, non fanno notizia!”. Anna Lia Paravati, presidente regionale Fai, il Fondo ambiente Italiano, non usa mezzi termini e aggiunge: “Non possiamo assistere senza reagire alla cosa peggiore che possa capitarci: sentirsi impotenti. Non noi. Non può essere una giustificazione quello che sentiamo dirci troppo spesso: mancano i soldi. I nostri siti archeologici stanno lì da millenni e hanno superato ben altro. Noi abbiamo il dovere di conservarli. Non possiamo dimenticarli”.

Il bilancio dei danni provocati dalle piogge torrenziali e dal maltempo dei giorni scorsi su alcuni siti archeologici è desolante e sconfortante, soprattutto per la certezza che intervenendo a dovere e per tempo simili criticità si sarebbero potute evitare.

L’antica Kaulon
Ha fatto il giro del mondo la notizia della mareggiata abbattutasi sull’antica città di Kaulon, a Monasterace in provincia di Reggio Calabria, sita a ridosso del mare all’interno del Parco archeologico Paolo Orsi. E pensare che due anni fa, nel 2012, il sito ero finito agli onori della cronaca per la scoperta, da parte dell’archeologo  Francesco Cuteri, di un mosaico di 30 metri quadrati considerato il più grande esempio ellenistico (fine IV- inizio III secolo a.C.) della Magna Grecia. Grazie ai lavori coordinati dallo stesso Cuteri, sotto la direzione scientifica di Maria Teresa Iannelli della Soprintendenza per i Beni archeologici della Calabria e con la partecipazione di diversi atenei italiani e dell’ateneo argentino di Bahìa Blanca, nel 2013 sono stati scoperti altri riquadri raffiguranti draghi e delfini. I danni causati da piogge e mareggiata sono stati gravissimi, soprattutto sul lato meridionale del parco archeologico. Oltre al progressivo sfarinamento della duna naturale che ha protetto finora il sito dalla parte del mare, le frane provocate dal maltempo stanno coinvolgendo le strutture antiche. Parte della muratura esterna del tempio dorico è crollata, la cosiddetta Area Sacra è stata inghiottita dal mare ed ora in pericolo è proprio il famoso mosaico. Quel mosaico per la cui valorizzazione 44 studenti di Vibo Valentia raccolsero 5 mila euro, mostrando, ma non insegnando purtroppo, alla politica italiana un principio fondamentale: la concretezza. Un gesto che valse a questi giovani la cittadinanza onoraria. Ora il maltempo rischia di vanificare il loro impegno e di cancellare tremila anni di storia. Eppure l’allarme sulla sicurezza dell’area era già stato dato a fine novembre, a seguito di un’altra violenta mareggiata che aveva “divorato” la duna, lasciando così esposta al mare pioggia Kaulonl’antica Kaulon, e “indebolito il terrazzamento sui cui si erge il basamento del tempio”. Emergenza all’epoca confermata dalla geologa Maria Pia Bernasconi che, dopo aver effettuato un sopralluogo su richiesta del funzionario della Soprintendenza Maria Teresa Iannelli, aveva  definito la situazione “grave” perché l’erosione aveva lasciato solo “un sottile diaframma di terreno tra i resti ed il mare”.  Erano stati in molti a chiedere interventi concreti; tra questi lo stesso Cuteri che aveva inoltre ricordato l’esistenza di possibili finanziamenti dal momento che “La Soprintendenza archeologica calabrese, insieme al Comune di Monasterace, ha da tempo predisposto un progetto per un milione e mezzo circa di euro di finanziamenti per l’intero Parco ma sembra che tale proposta si trovi molto indietro nella relativa graduatoria. Anche la Provincia di Reggio Calabria parla di un altro finanziamento, molto più corposo, che è all’incirca di 2 milioni e mezzo di euro, specifico per creare barriere a mare per frenare le onde d’urto e tenerle lontane dai luoghi da salvaguardare. E poi ci sarebbero altri soldi per il museo dell’antica Kaulon, 300 mila euro della Soprintendenza e uguale somma del Comune, per l’ampliamento e la completa fruizione del sito culturale. Naturalmente bisogna seguire le procedure stabilite dalla legge, la parte burocratica. Ma Nettuno o come lo si voglia chiamare è imprevedibile. Un’altra ondata uguale a quella delle settimane addietro creerebbe ulteriori pregiudizi quantomeno al tempio”. Due mesi dopo l’imprevedibile Nettuno è tornato in azione. “La nuova ondata ha danneggiato gravemente la muratura del tempio” ha spiegato Simonetta Bonomi, Soprintendente ai beni archeologici della Calabria “cercheremo di recuperare i blocchi di pietra trascinati via dal mare per risistemarli al loro posto, ma è necessario creare una protezione a tutta l’area. La barriera in pietra allestita dalla Provincia di Reggio Calabria sulla spiaggia sarà rinforzata non appena le acque del mare si calmeranno”. Intanto il ministro per i beni culturali Massimo Bray ha subito stanziato 300 mila euro per i primi interventi di protezione dell’area, soldi che per Cuteri “rappresentano un buon segnale ma non bastano. Sono sufficienti per fare i primi interventi di ripristino, ma servono altri fondi per proteggere l’intero sito altrimenti alla prossima mareggiata ci ritroveremo nuovamente nella stessa situazione”. Per l’archeologo questa è una vera fase di emergenza dal momento che il rischio è quello di perdere per sempre “un pezzo della nostra storia”. Le istituzioni devono quindi intervenire subito e con incisività.Sembrerebbe che almeno questa volta la speranza di concretezza si sia realizzata. E’ di giovedì 6 febbraio infatti la notizia che i lavori per la messa in sicurezza dell’area cominceranno lunedì 10. Il progetto, redatto dai tecnici provinciali, prevede la realizzazione di una barriera lunga duecentocinquanta metri posta a protezione dell’area del tempio e dell’edificio termale contenente il mosaico. Responsabilità e affidamento del procedimento fanno capo alla Soprintendenza per i Beni archeologici della Calabria. I lavori, per un importo pari a 360 mila euro, saranno sostenuti con i 300 mila euro stanziati dal Mibact e con il contributo di ulteriori 60 mila euro da parte della Provincia.


Sybaris e i volontari del fango

Eppure simili tragedie “che si sarebbero potute prevedere e quindi evitare” in Calabria si sono già verificate. Esattamente un anno fa, per la precisione il 18 gennaio 2013, il maltempo si abbatteva su un altro sito archeologico, quello dell’antica città di Sybaris. A seguito di una “tragica alluvione” il fiume Crati inondava l’intero parco archeologico, uno dei più importanti della Magna Grecia. La grande importanza dei siti magno greci, disseminati su tutto il territorio calabrese, è legata al fatto che hanno permesso di capire e comprendere principi organizzativi della società greca altrimenti oscuri. Sono un’eredità importante, purtroppo sottovalutata. E quanto successo ne è la dimostrazione. Il sito fu infatti sommerso da acqua e fango. Immediato l’intervento di Vigili del Fuoco e del Consorzio di Bonifica per liberare il sito dall’acqua. Il problema fu però il fango, che avvolse tutte le strutture antiche. Il sindaco di Cassano allo Ionio, Giovanni Papasso, chiese subito un aiuto concreto a Regione e Governo per ripulire il sito. A otto giorni dal disastro era tornato a chiedere “maggiore attenzione” dal momento che “l’acqua defluendo rende visibili gli ingenti danni a tutte le strutture. Abbiamo bisogno di aiuto. Ogni giorno lancio appelli ma nessuno interviene. E’ sconcertante che ancora non si sia visto il Commissario Straordinario per il Rischio Idrogeologico della Calabria, per valutare l’argine, verificare la sicurezza dei residenti, per dirci come mettere in sicurezza il Crati e con quali risorse. Da più parti arrivano disponibilità di gruppi di giovani pronti a ripulire i resti dalla fanghiglia, persone straordinarie che io chiamo gli angeli del fango. Per svolgere questo delicato lavoro i volontari hanno però bisogno di risorse e mezzi adeguati. Ed è esattamente quello che io chiedo”. pioggia SybarisPer Papasso la causa del disastro era da rintracciare nella realizzazione di agrumeti sul letto del fiume che avrebbero impedito il normale deflusso della acque. Eppure, a quanto dice il sindaco, della presenza di questi agrumeti ci si era resi conto già a seguito dell’alluvione del 2008, ma non solo non furono tolti, ne furono addirittura costruiti nuovi. Perché? A questa domanda dovranno ora rispondere le 40 persone a cui la Procura della Repubblica di Castrovillari ha inviato un avviso di garanzia il 23 novembre scorso, quasi a un anno dal disastro. Si tratta di politici, dipendenti pubblici e privati cittadini. Tra loro, il sindaco Papasso, i suoi predecessori Gianluca Gallo e Domenico Lione, il Commissario straordinario per l’emergenza idrogeologica della Calabria Domenico Percolla e i proprietari dei terreni che avrebbero disposto gli agrumeti modificando l’assetto idrogeologico del territorio. Le accuse sono varie: danneggiamento colposo, danneggiamento di beni culturali, invasione di terreni, realizzazione di opere senza autorizzazione, omissione di atti d’ufficio. I dipendenti pubblici coinvolti dagli avvisi hanno parlato di “atto dovuto” e si sono detti “fiduciosi nel lavoro dei magistrati”. Altro dato allarmante emerso da questa tragedia è il fatto che  all’epoca l’evento fu accompagnato dal silenzio delle tv e dei giornali tanto che Anna Lia Paravati, Presidente Regionale FAI, scrisse una lettera al Vicepresidente esecutivo Fai, Marco Magnifico, in cui parlò di “silenzio, indifferenza riguardo le disastrose conseguenze dell’alluvione” e fece un accorato appello affinché Sibari fosse salvata. Magnifico girò la lettera alla Direzione Generale per le Antichità del Mibact e alla Regione Calabria chiedendo che fosse fatto di più affinché i mezzi di comunicazione e la gente venisse a conoscenza della tragedia dal momento che “l’impressione è un po’ quella che, se a uno ‘starnuto’ di Pompei tutta la stampa del mondo reagisce con sconcerto, la broncopolmonite di Sibari non abbia assolutamente colpito il cuore degli italiani”. Ebbene pochi giorni fa l’assessore alla cultura Marco Caligiuri, la Sovrintendente Simonetta Bonomi e il direttore generale dei Beni Culturali e Paesaggistici della Calabria Francesco Prosperetti hanno annunciato che la Regione Calabria ha previsto quattro azioni di intervento per rilanciare il parco archeologico di Sibari: il finanziamento del progetto di rimozione del fango, l’espletamento delle gare d’appalto per riqualificazione e valorizzazione del parco con i fondi messi a disposizione dalla Regione, interventi compensativi dell’Anas e messa in sicurezza degli argini del Crati. “Se il 2013 è stato l’anno della riapertura della casa dei Bronzi di Riace, il 2014 sarà l’anno del rilancio di Sibari”. Staremo a vedere. Intanto Sibari continua ad essere sepolta silenziosamente dal fango.

Il crollo di Volterra
“Se nel 1944 i volterrani hanno saputo difendere questo tesoro dai nazisti, lo Stato italiano ha il dovere di tutelarlo. Per questo faremo di tutto e in tempi brevi”. Queste le parole del ministro Massimo Bray durante il sopralluogo effettuato per valutare il crollo verificatosi nei giorni scorsi nel centro storico della cittadina toscana, uno dei centri della bellezza italiana. A venir giù questa volta è stato un tratto di circa 30 metri delle mura medievali (foto in alto). È crollata anche la strada, tanto che sono state evacuate undici abitazioni. L’area è stata messa subito in sicurezza da tecnici e operai del Comune. La causa anche qui è stata la forte pioggia. A chiedere aiuto al Presidente del Consiglio Enrico Letta e al ministro Bray era stato nei giorni scorsi Marco Buselli, sindaco di Volterra, affinché “non fosse lasciato solo dal momento che nessun Comune potrebbe sostenere le spese per riparare simili danni”. Ebbene due giorni fa è arrivata la notizia che un primo consolidamento sarà effettuato entro la fine della settimana, mentre il 10 febbraio sarà definito un piano di monitoraggio e le successive fasi di lavoro. Il Comune ha già avviato le procedure di avvio dei lavori per i quali la Regione Toscana anticiperà circa un milione di euro. “E’ ormai evidente” ha dichiarato Bray “che serve un piano di tutela che non pensi più solo all’urgenza”. Tutela. Bisognerebbe capire cosa intenda il ministro Bray per tutela del patrimonio archeologico, dal momento che è stato lui stesso ad elaborare un testo di riforma del Mibact in cui ha proposto la soppressione della Direzione Generale per le Antichità, che oggi  coordina le attività di tutela e gestione del patrimonio archeologico italiano, per creare una nuova superdirezione (la Direzione generale per il paesaggio e il patrimonio storico artistico) che racchiude tutto il patrimonio storico-artistico ma nella cui titolatura non compare la parola archeologia. A dir la verità, la parola archeologia non è neanche citata nel testo di riforma. Riforma che verrà esaminata a breve dal Consiglio dei ministri, suscitando le veementi proteste delle associazioni di categoria come Assotecnici, Ana, Cia e altre ancora.
“Si elimina la Direzione per costruire un nuovo ufficio, facendo tornare alla memoria la fantomatica espressione Belle Arti con cui i cementificatori del nostro territorio si rivolgono agli archeologi” si legge nel comunicato emesso questa mattina dalla Confederazione Italiana Archeologi “a discapito della Direzione per le Antichità, si mantiene un ufficio centrale per la valorizzazione: come se già non bastasse aver sposato la scellerata idea di scorporare la tutela dalla valorizzazione, decidere di mantenere solo la seconda delle direzioni sembra quasi creare una scala di valori tra le due e pensare che si possa valorizzare il patrimonio indebolendo le strutture che esercitano la tutela”. Per la CIA questa Riforma, affiancata ad alcuni provvedimenti adottati dal ministro Bray, “è un ulteriore colpo inferto al settore archeologico del Mibact, nel solco di un processo di mortificazione dell’archeologia e degli archeologi italiani che non sembra avere fine. Il Ministro Bray e l’alta Dirigenza del Mibact sembrano aver deciso di delineare un Ministero a proprio personale ed esclusivo piacimento, ignorando qualunque forma di democratico confronto e recepimento di suggerimenti provenienti da chi quotidianamente per mestiere, e non per incarico politico, svolge la professione di archeologo, dentro o fuori del Collegio Romano”. La CIA chiede al ministro Bray di ritirare il testo presentato e modificarlo accogliendo le proposte sull’archeologia e sugli archeologi avanzate in più sedi dai rappresentanti di categoria. In Italia siamo forse arrivati al capolinea, a dover tutelare il nostro patrimonio archeologico da chi questo patrimonio è deputato a tutelarlo.

Il comunicato emesso dalla Confederazione Italiana Archeologi si può leggere all’indirizzo:
https://www.facebook.com/notes/confederazione-italiana-archeologi/riforma-mibact-sparisce-larcheologia-e-si-torna-alle-belle-arti/694538833919588

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