A ciascun giorno basta il suo affanno…e di conseguenza la sua statistica. Perché tra il calo dei consumi e il progressivo slittamento della ripresa a data da destinarsi, c’è poco da stare allegri. Nonostante ciò, gli italiani sembrano mantenere un atteggiamento abbastanza positivo nei confronti dell’esistenza in generale e nei confronti della propria rete sociale.

Popolo di santi, poeti e ottimisti senza speranza? Forse, anche se tale indicazione viene fornita direttamente dal Cnel e dall’Istat, soggetti istituzionalmente autorizzati a “misurare” scientificamente i fenomeni socio-economici che investono il nostro Paese.

Per la prima volta infatti sul tavolo degli esperti dei due organismi sono comparse unità di misura aggiuntive rispetto a quelle tradizionalmente utilizzate per misurare la qualità di vita.

Finalmente svincolati dal diktat culturale che vede un Paese felice solo in misura direttamente proporzionale al suo PIL, l’Istat e il Cnel hanno reso noti i risultati del primo rapporto sul Benessere equo e sostenibile.

Dodici le aree sottoposte all’analisi: Salute, Sicurezza, Istruzione e formazione, Benessere soggettivo, Lavoro e conciliazione, tempi di vita, Paesaggio e patrimonio culturale, Benessere economico, Ambiente, Relazioni sociali, Ricerca e innovazione, Politica e istituzioni e Qualità dei servizi.

Ma al di là delle aree prese in esame, la ricerca si segnala come particolarmente innovativa per il metodo utilizzato: in pratica, finalmente, dopo una serie di tentativi già condotti in passato da altri enti e organismi soprattutto a livello regionale, si è giunti a una definizione di un insieme condiviso di indicatori utili a definire lo stato e il progresso del nostro Paese considerato nella sua globalità.

Per ottenere tale risultato è stato costituito un comitato insieme al mondo dell’associazionismo in generale e in particolare con il settore del movimento a tutela dei diritti delle donne, dell’ambiente e dei consumatori. In questo modo la misurazione del “Benessere Equo e Sostenibile” (Bes) ha potuto tener conto di tutta una serie di dimensioni tra cui le tendenze temporali e l’eterogeneità della distribuzione regionale di alcuni fenomeni. I 134 indicatori selezionati, di natura anche qualitativa e non più solo quantitativa come l’occupazione o la speranza di vita alla nascita, aspirano inoltre a divenire una sorta di “Costituzione statistica”, ovvero un riferimento costante e condiviso dalla società italiana in grado di segnare in modo puntuale la direzione del progresso.

Dal reddito procapite al “Benessere soggettivo”
Dalla prima edizione del Rapporto emergono conclusioni interessanti non solo circa lo stato occupazionale, il livello di reddito o di istruzione conseguito dalla popolazione, ma anche relative al “vissuto” degli italiani.
Nel complesso infatti emerge un bilancio prevalentemente positivo dell’esistenza, anche se le incertezze relative alla situazione economica e sociale iniziano a incidere sui comportamenti. Fino al 2011, infatti, quasi la metà della popolazione di 14 anni e più dichiarava elevati livelli di soddisfazione per la propria vita, indicando punteggi compresi tra 8 e 10 su una scala da 0 a 10. Nel 2012, però, i segnali di disagio, crisi e insicurezza, già registrati dagli indicatori economici classici ( disoccupazione e reddito procapite), hanno inciso significativamente anche sulla misura della soddisfazione complessiva. La quota di popolazione che indica alti livelli di soddisfazione per la vita nel complesso scende, infatti, dal 45,8% del 2011 al 35,2% del 2012.

Aumentano anche i divari territoriali e sociali nella diffusione del benessere soggettivo: la soddisfazione per la propria vita decresce in misura maggiore nel Sud, attestandosi al 29,5% (contro il 40,6% del Nord), e tra le persone con titolo di studio più basso e peggiori condizioni occupazionali.
Nonostante il contesto, nel 2012 un quarto della popolazione di 14 anni e confessa di avere una prospettiva di miglioramento per il futuro. Come era prevedibile, la soddisfazione riguardante la propria situazione economica registra invece un netto peggioramento: a fronte di una stabilità al 2,5% della quota di chi si dichiara molto soddisfatto, aumenta non solo quella di chi è poco soddisfatto (dal 36,1% al 38,9%), ma anche la quota di chi non è affatto soddisfatto della propria situazione economica (dal 13,4% al 16,8%), a scapito di quella di chi è abbastanza soddisfatto (dal 45,9% al 40,3%).

Reti familiari sovraccariche ma bassa fiducia negli altri
Se si passa ad analizzare il contesto sociale, emerge come nel nostro Paese per tradizione continuino ad essere forti le solidarietà “corte” e i legami “stretti”, in particolare quelli familiari. La famiglia, sia nei momenti critici sia nello svolgimento delle normali attività quotidiane, rappresenta una rete di sostegno fondamentale, un punto di riferimento ancora in grado di funzionare e soddisfare in misura rilevante gli italiani.
Nel 2012, il 36,8% degli italiani di 14 anni e più si dichiarano molto soddisfatti per le relazioni familiari; a questi si aggiunge un 54,2% che si dichiara abbastanza soddisfatto. Intorno alla famiglia si tende a costruire una rete di relazioni con parenti non conviventi e amici su cui poter contare al momento del bisogno. Nel 2009, quasi il 76% della popolazione ha dichiarato di avere parenti, amici o vicini su cui contare e il 30% ha dato aiuti gratuiti. L’associazionismo e il volontariato rappresentano una ricchezza per il nostro Paese, che non è però distribuita su tutto il territorio ed è meno presente nel Mezzogiorno dove invece i bisogni appaiono più gravi. In particolare, dichiara di svolgere attività di volontariato il 13,1% della popolazione di 14 anni e più residente nel Nord a fronte del 6% registrato nel Mezzogiorno e di una media nazionale pari al 9,7 per cento.

Al di là di queste reti “corte” ci sono “gli altri”, verso i quali emerge una profonda diffidenza da parte dei cittadini. Nel 2012, solo il 20% delle persone di 14 anni e più ritiene che gran parte della gente sia degna di fiducia, valore in calo rispetto al 2010 (21,7%); tale quota scende al 15,2% nelle regioni del Mezzogiorno. L’Italia è, inoltre, uno dei paesi Ocse con i più bassi livelli di fiducia verso gli altri inteso complessivamente come “la società”: le persone non si sentono sicure e tutelate al di fuori delle reti di relazioni familiari e amicali. In particolare, l’Italia mostra una fiducia di gran lunga inferiore rispetto a paesi come Danimarca e Finlandia, dove la quota di persone che esprime fiducia negli altri raggiunge il 60%.

Secondo il rapporto siamo in sostanza ancora lontani da valori elevati di “Benessere” e la “misurazione” di questi aspetti legati al tema della fiducia starebbe a dimostrarlo. Un Paese con un tessuto sociale debole non può costituire il terreno fertile per condizioni di vita pienamente soddisfacente.
Viviamo infatti una società in cui la presenza di reti sociali, familiari e di volontariato rappresentano di fatto ancora una coperta troppo corta per arrivare a coprire la maggior parte dei bisogni primari di protezione e sostegno della popolazione. Nel Sud e nelle Isole, in particolare, tutte le forme di reti sociali appaiono più deboli rispetto al resto del Paese e la fiducia negli altri raggiunge i livelli più bassi.

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