La vittoria è dietro l’angolo se lo sport si fonde con l’impegno sociale. Ne è testimonianza una buona storia, cresciuta sui campi di calcio bolognesi.
Passione e dedizione sono spesso belle parole. Se poi ci si mette accanto qualche vocabolo come integrazione e coesione sociale si innalza il livello senza per questo aggiungere valore.
La differenza la fa la pratica.
La capacità di trasformare in azione quella che nelle parole è un’idea, un “tendere verso”. Come da anni sta facendo il Phcalcio Asd, una società che in campo schiera ragazzi di nove nazionalità e quattro religioni diverse, lavorando sulle prestazioni sportive e sulla creazione di una rete fatta di lavoro regolare e relazioni in modo da far sentire a casa anche chi ha lasciato il Paese d’origine.
“Siamo una vera famiglia”, racconta il mister Claudio Piccioni.
“Come in famiglia”, fa eco Antonio De Santis, giocatore appassionato del progetto. Un ragazzo italiano, ventinove anni, che racconta della sua esperienza in campo con l’entusiasmo di ogni calciatore: occhi brillanti, parole che si sovrappongono perché han fretta di diventare suono, ricordi di assist, di premiazioni arrivate dopo tanti weekend passati sul campo dopo una settimana di lavoro. Poi però il ritmo cambia, il tono della voce è più lieve: “il bello è che c’è di più – racconta Antonio – perché il mister aiuta i ragazzi stranieri anche a trovare lavoro regolare, pure per mantenere il permesso di soggiorno che permette loro di partecipare al campionato”. Antonio è un poliziotto, spesso lavora al Cie, ma appena può si allena. Con la sua squadra, il Phcalcio, nella quale incontra altri colleghi poliziotti.
In campo ci sono i giocatori, non le etnie, anche se il capitano della squadra, Giancarlo Loduca, precisa che l’appartenenza al Phcalcio permette di vivere diverse culture, cambia il modo di vedere la globalizzazione: “vivo l’integrazione vera”. Lui, studente di ingegneria che dalla Calabria è arrivato a Bologna e guarda oltre i confini nazionali per il suo futuro, gioca in squadra dal 2006, quando ancora non era multietnica. Racconta che inizialmente il lavoro era solo sul campo: “vivevamo solo la squadra insieme. Poi, da tre o quattro anni abbiamo iniziato a incontrarci anche fuori. È simpatico perché organizziamo delle partitelle e poi usciamo insieme, facendo attenzione alle esigenze di tutti. Una volta ho organizzato da me per il mio compleanno e ho dovuto fare menù diversi visto che, per esempio, i marocchini non possono mangiare carne di maiale..”
“Il nostro rapporto nello spogliatoio è bellissimo”, conferma Steven Renato Gomez Correia, in squadra da due anni e in Italia dal 2008 dopo un volo diretto dall’Isola di Capo Verde: “Il nostro punto di forza è proprio che siamo tanti stranieri”, come nella Juve. Steven è un treno in corsa, con i sogni stampati nella voce e l’impeto che un attaccante deve avere. Ha 23 anni e racconta di aver conosciuto la Phcalcio attraverso un amico con cui era andato a ballare; a quel tempo giocava per la Uisp nella squadra di Capo Verde e l’esperienza di vincere il campionato (primi classificati nella coppa “Predieri” per il 2013 con il passaggio in II categoria) ha rafforzato la voglia di non mollare nonostante le ovvie difficoltà nel mantenersi senza occupazione. “Ho chiesto al mister di aiutarmi a trovare lavoro…”
Già, il mister. Questi ragazzi gli vogliono un gran bene e si sente. Da parte sua Claudio Piccioni mette molta dedizione e passione, anche se la pressione non sempre è semplice da gestire: “Abbiamo gli occhi puntati addosso (dopo la vittoria di coppa, ndr). Abbiamo creato sorpresa nel calcio bolognese e ci è stato riconosciuto anche sul campo”. La coppa è stato il coronamento di un sogno, possibile anche per la capacità di sfruttare le situazioni della vita comune a favore dello sport. Un sogno nato da Vittorio Bacchetti, non vedente, all’epoca presidente dell’Associazione progetto Handicap che, insieme al mister, decise di formare un’associazione sportive con modalità di partecipazione e aggregazione nell’ambito sportivo – calcistico diverse da quelle ordinarie, dopo aver partecipato a tre tornei di calcio a “ 7 “ vincendone due. Nel 2006 muore Bacchetti e si cambia registro ma non stile: non più handicap ma integrazione, fino ad arrivare a una squadra composta per l’80 % di giovani extracomunitari.
“Il sogno si è realizzato a discapito di coloro che in questi anni hanno creduto che un gruppo come questo non ce l’avrebbe mai fatta”, ha scritto il presidente Antonino Salvatore Di Stefano – In questa squadra si parla portoghese, francese, inglese, spagnolo, italiano (campano, pugliese, siciliano) a prova del fatto che lo sport praticato in maniera giusta e valori umani forti e profondi è vittoria sicura”.