Dopo la Nigeria, l’Asia. Con l’accusa di corruzione internazionale sono finite sotto inchiesta Eni e Saipem. Un comitato d’affari avrebbe richiesto mazzette a grosse aziende italiane in cambio di appalti in Iraq, Kuwait e Kazakistan.

 

Ministri e funzionari statali (con schiere di sodali e parenti) di Paesi ricchi di fonti energetiche disponibili ad avallare contratti dietro compenso, da una parte, e dall’altra un attivissimo comitato affaristico di manager del gruppo Eni capace di intessere una fitta rete per individuare e oleare quegli elementi grazie ai quali riuscire a far aggiudicare illegalmente affari milionari, sempre in cambio di lauti riconoscimenti, ad altre società italiane specializzate nell’ingegneristica e nelle costruzioni. In sostanza, si tratterebbe di tutti gli elementi di una catena di un giro di tangenti concepita in Italia che spazia dal Kuwait all’Iraq fino al Kazakistan su cui da sei mesi sta lavorando il secondo dipartimento anticorruzione della procura di Milano. L’inchiesta si va ad affiancare a quella sulla corruzione Eni per commesse in Nigeria portata avanti sempre dalla magistratura milanese che pochi mesi fa ha rinviato a giudizio cinque ex manager Snam progetti in una vicenda che vede coinvolto il consorzio internazionale TSKJ di cui fa parte anche l’azienda energetica italiana al 25% assieme alla francese Technip, alla statunitense Kellogg Brown and Root e la nipponica Japan Gasoline Corporation. Il processo riprenderà in ottobre. I fatti – riportati da Golem in due servizi sulla Nigeria pubblicati nell’aprile scorso – risalgono al decennio che va dal 1994 al 2004 e rappresentano l’ultima tappa giudiziaria internazionale dopo quelle aperte in Francia, negli Stati Uniti e nella stessa Nigeria. Due anni fa dinanzi alla giustizia americana la Kellogg Brown & Root e la Halliburton che la controllava, dichiarandosi colpevoli di corruzione di esponenti del governo nigeriano per la costruzione dell’impianto di liquefazione di gas naturale a Bonny Island nel Delta del Niger, avevano patteggiato pagando 579 milioni di dollari. Nel periodo interessato dall’indagine, la Halliburton controllava interamente la Kellogg, Brown & Root e alla sua guida c’era Dick Cheney, l’ex vice-presidente degli Stati Uniti. Anche l’Eni preferisce allinearsi e il 7 luglio dello scorso anno sottoscrive una transazione (in allegato il testo integrale) risolvendo la causa civile e penale mossa dal Dipartimento di Giustizia Usa a cui versa 240 milioni di dollari e dalla Securities and Exchange Commission (la Sec, l’equivalente della Consob italiana) a cui ne consegna altri 125 per violazione del Foreign Corrupt Pratices Act. Dall’Africa si passa all’Asia.

eni-dividendoLe maxicommesse. Sono tre le aree in cui avrebbero agito proficuamente gli affaristi: a Kashagan in Kazakistan dove il gruppo Eni d’intesa con le autorità statali del presidente Nursultan Nazarbayev coordina i raggruppamenti di imprese che dovranno realizzare un grosso impianto di estrazione di idrocarburi con 24 miliardi dollari di commesse già assegnate; a Zubayr, poco distante da Bassora, in Iraq dove sono stati fissati 20 miliardi di dollari di investimento nei prossimi 25 anni per lo sfruttamento dei pozzi petroliferi grazie a un accordo firmato il 22 gennaio 2010 tra le due società petrolifere statali irachene, South Oil Company e Missan Oli Company, e il consorzio internazionale costituito dall’Eni (32%), dalla compagnia statunitense Oxy – Occidental Petrolium Corporation (23%) e dalla Kogas – Korea Gas Corporation (18%) che entro due anni dovrà garantire l’estrazione di 700 mila barili al giorno da 68 pozzi; a Jurassic Field nel nord del Kuwait dove, infine, il giro di investimenti ammonta a 1,5 miliardi di dollari sanciti con un patto siglato il 16 dicembre 2010 tra la società locale Kharafi e la Saipem che sfrutteranno il giacimento per produrre 150 mila barili al giorno.eni_3

Le indagini. Sotto inchiesta per l’ipotesi di corruzione internazionale sono finite Eni e Saipem indagate come persone giuridiche in base alla legge 231 del 2001secondo la quale aziende e enti possono essere chiamati a rispondere in sede penale per taluni reati commessi nel proprio interesse o vantaggio da amministratori o dipendenti. Secondo gli inquirenti, al reato di corruzione internazionale sarebbe finalizzata l’associazione a delinquere contestata al vicepresidente di Saipem, Nerio Capanna, al responsabile Eni del progetto Zubayr, Diego Brachi, e a tre ex manager del settore che avrebbero agito come intermediari, Stefano Borghi, Enrico Pondini e Massimo Guidotti. E poi ci sono le società che avrebbe pagato il comitato di affari per assicurarsi una fetta della torta delle maxicommesse. Gli accertamenti riguardano Ansaldo, il gruppo Bonatti, Renco, Elettra Energia ed Elettra Progetti. L’Eni, che in questa inchiesta si ritiene parte lesa, ha fatto sapere di aver già avviato provvedimenti disciplinari e cautelari nei confronti dei dipendenti coinvolti. L’indagine del pm di Milano Fabio De Pasquale è nata dalle dichiarazioni di Mario Reale, ex responsabile dell’Eni della sede di Mosca, uscito dall’azienda nel 2005. Sarebbe stato lui a riferire di un sistema di corruzione sviluppato in particolare nell’ambito del giacimento in Kazakistan, un modello che, dagli elementi finora raccolti dalla Procura, sembra essere stato subito esportato.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti i cinque professionisti si sarebbero avvalsi degli uffici operativi di G.M. Oil & Gas srl e Bemberg srl a San Donato Milanese, di società di comodo costituite all’estero tramite la fiduciaria Talenture di Lugano, di conti bancari in Svizzera e nel Regno Unito e avrebbero usato “contatti preesistenti con funzionari pubblici stranieri e canali interni al gruppo Eni” e operato per “influire illecitamente nell’aggiudicazione di gare all’estero in cui sono coinvolte, come stazione appaltante, società del gruppo energetico”. Gare a cui erano interessate le aziende italiane ingegneristiche e di costruzioni che dall’anno scorso pur di partecipare ai lavori avrebbero versato mazzette estero su estero ai “dipendenti” Eni, come tengono a precisare dalla società del cane a sei zampe.eni_2

 Il comitato d’affari. “L’indagato Stefano Braghi ha un ruolo cruciale nell’assegnazione degli appalti di Eni Zubayr”. Intercettato il 17 gennaio scorso, il manager dice al suo interlocutore: “hai visto cosa gli ho scritto io? Gli ho detto: nonostante fossi il più caro abbiamo fatto il possibile per fartelo prendere” anche “boicottando – riportano gli inquirenti – alcuni partecipanti alle gare”. Il 24 marzo scorso sempre Braghi afferma: “Se posso non li faccio vincere, se posso non li faccio vincere, giusto per il gusto di non farli vincere… preferisco perdere… cioè… ho più gusto… come si chiama… a non prendere niente”. Per gli inquirenti Braghi, con cadenza pressoché quotidiana “mette in circolazione tra gli altri associati a delinquere notizie, informazioni, schede di valutazioni eccetera, relative alle gare indette nell’ambito del progetto Zubayr”.

Utilizzando schede sim lituane e soprannomi come Maradona, Panatta, lo zio, zio Tom, il mentone, per non farsi identificare nel corso delle conversazioni telefoniche oppure scambiandosi informazioni riservate attraverso chiavi usb da distruggere dopo l’uso, i “dirigenti infedeli del gruppo Eni e i faccendieri” avrebbero costituito “due società gemelle” con lo scopo di distribuire “tangenti originare dagli appalti”. Nel decreto che nei giorni scorsi ha portato gli agenti della guardia di Finanza a una serie di perquisizioni in Italia e all’estero – dalla Gran Bretagna a Israele –­ è riportato che le due società sono la Elliwan LLP, riconducibile a Diego Braghi, Stefano Borghi e Enrico Pondini, e la Bewan LLP (con sede dichiarata a Londra) che Nerio Capanna “ha costituito” insieme a Borghi e a Roberto Benigna, un alto dirigente della Kharafi National, anch’egli finito sotto inchiesta.

Sono solo i primi tasselli di un grande puzzle che ruota intorno al più grande affare mondiale: l’energia.

Decreto legislativo 231 dell’8 giugno 2001
Transazione Usa – Eni 7.7.2010

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