1. Dio, quanto lo amava! Le piaceva tutto di lui, la sua pelle un po’ ruvida da uomo del sud, con quei lineamenti scolpiti più dall’aria che dal sole, il suo volto pungente di barba lunga o malfatta, la leggera trasandatezza del suo vestire.
E ogni tanto, quando era in vena di dolcezza o si sentiva innamorato, un sorriso gli illuminava gli occhi. Era nel complesso, quello che si dice un bell’uomo, e ancor di più doveva esserlo stato da giovane (adesso era sulla settantina) per via degli occhi e del sorriso. D’altronde lei ne aveva sessanta, un’età ragguardevole; però non li dimostrava: aveva il corpo di una ventenne
2. Gliel’aveva presentato un’amica di lei; nella zona era abbastanza conosciuto, perché si interessava di parecchie cose. Sul momento le riuscì del tutto indifferente. Anzi un pochino fastidioso. Ad esempio la irritavano i capelli bianchi, le sembravano finti, una specie di vezzo. D’altra parte anche lui mostrava indifferenza per lei, in particolare proprio per lei pareva, e questo era un ulteriore motivo di irritazione. Poi un giorno si trovarono soli, situazione non particolarmente piacevole: non avevano niente da dirsi. Ma lei non tollerava di buon grado il silenzio, per cui se ne uscì con un discorso “sicuro”, un argomento sul quale era sicura di sapere come lui la pensasse; non avrebbe sopportato una discussione con quell’uomo che, chissà poi perché, la metteva in soggezione. Non era un intellettuale; sembrava piuttosto un artigiano della cultura, fattosi da sé ed in continuo arricchimento, non certo grazie alla compagnia dei “salotti buoni” che sicuramente non aveva mai frequentato. Al limite era per lui più interessante, anche se all’apparenza un tantino snobistico, chiacchierare col barbiere, o col pescivendolo, insomma con gente che non avesse la parola pronta su qualunque argomento, finendo col profferire solo desolanti banalità.
3. “Quand’è che ti sei accorto di essere innamorato di me?” gli faceva spesso questa domanda, era una gioia per lei vedere i suoi occhi sorridere mentre ripensava a quei momenti e a quello che aveva provato. La risposta era più o meno sempre la stessa ma ogni volta lei risentiva lo stesso fremito che le attraversava il corpo, il desiderio d’amore. “Non so, possono essere tante le risposte” diceva lui, ben consapevole che queste erano le parole di cui ella voleva pascersi, parole che le procuravano un forte piacere fisico, come se lui con le sue mani potesse raggiungere e far vibrare l’intimità del suo corpo. Altre volte si stendeva languidamente sul letto, in atteggiamento provocatorio, svestita, le gambe lievemente divaricate ed un ginocchio ripiegato: in quei momenti qualsiasi parola dicesse, si trasformava in un richiamo per lui, che le si avvicinava e con tenerezza la accarezzava. “Da quando cominciai a trovarti carina ed interessante” rispondeva all’eterna domanda certe volte, “feci una scommessa con me stesso che sarei riuscito a sedurti, anche se brutto e vecchio; oh, sì che ci sarei riuscito”. “Ma all’inizio mi eri indifferente, anzi, un po’ antipatico” soggiungeva lei, per stimolarlo a ripensare insieme a lei come doveva essere stata strana la vita senza di lui, il suo desiderio, il suo amore. Prima di lui ella doveva ogni volta inventarsi qualcosa da aspettare. Da costruire giorno dopo giorno, senza la sicurezza che ci sarebbe riuscita anche all’indomani e l’altro domani ancora. Ma da quando, per lettera, lui le confessò di sentirsi attratto da lei, si sentì imbrigliata in qualcosa che, anziché toglierle la libertà, gliene regalava una nuova: amare in modo assoluto, senza limiti, dando uno schiaffo alle convenzioni. Sul momento non esternò nulla, rimase come esterrefatta (o almeno così voleva che sembrasse, in realtà sospettava già qualcosa di simile all’attrazione) e stette un paio di giorni senza rispondergli. Voleva giocare: l’elemento ludico sarebbe stato per loro una novità. Quando gli rispose si dimostrò titubante, scherzò un po’ con le parole; risero a lungo per mascherare il leggero imbarazzo. Dopo di allora si videro spesso, ma senza che gli incontri significassero, sembrava, alcunché: in realtà stavano costruendo un rapporto affettivo a cui si aggiunse ben presto l’attrazione. All’antipatia iniziale si erano sostituite cordialità e confidenza. Un’amicizia, insomma, simile all’amore, ma non ancora amore. “ Un giorno che stavi venendo verso di me, mi scoprii a pensare: questa me la vorrei proprio fare!” “ Ma che volgarità! Non avevi qualche altra frase un po’ più romantica?” Lei “protestava” per stuzzicarlo: ”Ma quale romantico ! Vuoi che ti racconti cosa pensavo di fare con il tuo corpo?” E lei lo invitava a farlo, sì, era un gioco che le piaceva: “Per prima cosa ti accarezzerei le gambe” e lui fece seguire il gesto alle parole quasi per essere più credibile; e mentre con le mani saliva sempre più su fin quasi all’inguine (fermandosi poco prima del “punto critico” non era meno lascivo quando, con la sua voce un po’ roca e seduttiva le sussurrava parole un po’ spinte o “audaci” come le chiamavano loro. Ecco, questo tentare di sedurla, che significava che teneva a lei, che la apprezzava, che gli piaceva; questa ammirazione per il suo aspetto carino e simpatico furono gli elementi capaci di trasformare, poco alla volta l’amicizia in amore.
4. Nonostante l’attrazione che quasi subito li avvicinò l’uno all’altro e faceva sì che si cercassero quando non erano insieme, lei nei primi tempi, si chiedeva se era davvero innamorata. E, se non lo era, e se non lo era davvero neanche lui, che diavolo era quel qualcosa che li univa. Nella sua vita aveva avuto sempre colpi di fulmine, come se nell’amore cercasse l’irrazionalità che la mettesse al riparo dal controllo della ragione che, chi lo sa, avrebbe anche potuto insinuarle dei dubbi. Con l’amore “fulmineo” invece, lei non aveva nemmeno il tempo di porsi alcun perché, era catturata e basta. Invece qui i dubbi c’erano, e lei, con una sincerità che la sorprese, glielo disse. “Non ti preoccupare, “rispose lui “per adesso facciamo quel che dobbiamo fare, poi ci penseremo a dargli un nome”. Anche questa risposta un po’ volgare le piacque, le piacque la sincerità e la tranquillità che suggeriva.
5. Decisero, senza dirselo apertamente, ma comunicandoselo in qualche modo, di rimandare il sesso fino quando uno dei due, o entrambi, non ne sentisse un forte desiderio. Sarebbe stato un peccato sprecare malamente quel momento. “Sto bene anche così” diceva lui sorridendo per tranquillizzarla e subito sentiva il bisogno di toccarla frettolosamente nelle sue parti intime, giusto un “assaggio”, come se volesse smentire quello che le aveva appena fatto capire, per comunicarle che sì, lui poteva aspettare per farle piacere, ma che anche pronto all’esperienza.
5. Nel frattempo, ognuno ripensava alla stranezza della situazione. Dei due la più sorpresa era lei: freddina, inibita, scarsamente attratta dal sesso, era un po’ turbata da questa storia in cui evidentemente, ci sarebbe entrato anche il sesso, nonostante non ne avessero mai parlato esplicitamente. Ma come avrebbe potuto immaginare di desiderare con tale forza un uomo di settant’anni? Non era stata sempre dell’idea che, superata una certa età, era una vera indecenza pensare al sesso? Di che età si parlava nelle chiacchiere delle amiche di sua madre? Per le donne il conto era facile: con la menopausa, cioè sui cinquanta, ponevano fine all’attività sessuale. Non che fosse proibita: semplicemente non ne avevano più voglia. Era la natura che lo stabiliva. La natura aveva una risposta per tutto. 50 anni? STOP! Il problema era casomai quello degli uomini che non se ne stancavano mai: giusto verso i sessanta-settanta avevano qualche cedimento. Ma per esempio il suo ex marito a 64 anni era ancora vispo e saltellante. Certo, se fosse venuta a sapere di essere considerata una specie di depravata perché attratta da un uomo di quell’età…Ma non avrebbe potuto rinunciarci. le piaceva, le piaceva troppo, adorava il suo modo di toccarla nei punti “nevralgici” negli “anfratti più nascosti” e lei lo lasciava fare, appagata ogni momento di più. Non importava nient’altro, voleva stare sempre con lui, con le sue mani, i suoi baci, la sua bocca che le mordicchiava i seni e i capezzoli, il suo corpo che la stringeva forte a sé.
Era diventato amore, per entrambi.
6. Un giorno, (la storia durava da un paio di settimane) decisero di fare un giro in auto. Il tempo era brutto, ma non c’entrava con loro, Dopo un percorso di mezz’ora, lui prese l’iniziativa, anche se alla lontana. Lei aveva le mani in grembo e sembrava persa nei suoi pensieri. In realtà stava pensando che quel giro in macchina doveva significare qualcosa. “Tutto bene?” chiese lui. “Benissimo. Speriamo che non venga a piovere” .“E anche se fosse? Non siamo riparati? Noi due soli?” “Ah, sì, si sta molto bene qui.” Adesso era sicura: aveva percepito qualcosa di nuovo nella sua voce, di insinuante, di intimo. Aveva solo paura di essersi sbagliata e che tutto finisse là. Per farglielo capire si rigirò sul fianco voltandosi verso di lui, che stava guidando. Il movimento le fece scoprire le ginocchia, e lui, tranquillamente, le infilò una mano tra le cosce e le scostò lo slip. Lei a questo gesto si sentì quasi mancare, ma si riprese subito aprendo di più lo spiraglio tra le gambe per “lasciarlo entrare”. Non aveva più il timore di essere sfrontata, sentiva che era giunto il momento per qualcosa di più, o per meglio dire di totale, mentre lui continuava ad accarezzarle l’inguine. Per non lasciar fare tutto a lui, con le mani armeggiò nella apertura dei pantaloni e senza provare il minimo imbarazzo per il suo gesto disinibito, ma anzi tutta tesa a procurargli il massimo del piacere, prese ad accarezzargli i genitali. Stava facendo tutto quello che desiderava, si sentiva libera e felice.
7. Si misero a cercare un albergo o una camera a ore: con l’eccitazione che dà il fare qualcosa di proibito; ne avevano bisogno perché volevano fare l’amore. Le piaceva questa frase, avrebbe voluto ripeterla e ripeterla. Il loro desiderio era imperioso, nulla poteva soffocarlo Trovarono una catapecchia che li ospitò per poche ore e per pochi soldi, ma era come il discorso della pioggia: che gliene importava? A loro importava soltanto tenersi, guardarsi, toccarsi, scoprirsi e offrire il proprio corpo all’altro, appartenersi. Si baciarono con passione.
Erano le 7 passate ed era già buio. Si erano assopiti dopo l’amore, e lui dormiva ancora, coperto appena dal lenzuolo. Guardando il suo corpo asciutto lei ne notò le rughe diffuse. Guardò le lunghe mani che l’avevano “massaggiata” in varie parti ed in vari modi, il ventre teso. Si vedeva che era un settantenne, ma la cosa non la disturbava affatto, non era quello che contava. In lui c’era una forza insospettabile. Si mise a ripensare ai momenti dell’amplesso, quando lui, con una delicatezza acquisita con l’istinto e con l’esperienza, seppe dosare alla perfezione la forza necessaria per penetrarla e farla godere e il timore di essere violento, di farle del male. Ma non le faceva del male, tutt’altro. Era questo ciò che lei percepiva nel suo amore diciamo così senile: il suo uomo che giaceva sul letto appagato dopo aver lottato per averla, quell’uomo che a 70 anni aveva ancora un desiderio prepotente (ed il coraggio di manifestarlo), a cui poco prima aveva sentito di appartenere, era per lei quanto di più prezioso potesse esserci. Si sarebbero amati senza dare importanza alla differenza di età, senza sopraffazione. Senza egoismo, senza disprezzo per l’altro, senza menzogne. Ma regalando all’altro la propria tenerezza e la propria fantasia.
La vita, prima di salutarti definitivamente, ti concede un’ultima scelta: o la tieni con te per un altro po’, oppure te ne sbarazzi subito per paura di soffrire. Ma se te la tieni riceverai un regalo indimenticabile: una storia d’amore con una persona scelta da te. Dovrai viverla con saggezza, vale a dire in modo pazzo e disordinato, che è l’unico modo per vivere le storie. Se ci riuscirai ne vincerai un’altra e poi un’altra ancora.
Finché vorrai.