A poco meno di due mesi dalle elezioni europee che eleggeranno il nuovo Parlamento dell’Unione, il dibattito elettorale sembra ormai destinato a non decollare, almeno in Italia. Fra improbabili referendum per l’uscita dall’euro ed eterni dibattiti sui vincoli economici da allentare, l’attenzione degli elettori, complici i soliti media, è ormai concentrata più sui bizzarri simboli elettorali di alcune liste candidate piuttosto che sui temi comunitari.
Eppure proprio in questi giorni, nel silenzio quasi totale dei mezzi di informazione, la Commissione europea sta negoziando un accordo bilaterale che potrebbe cambiare drasticamente il modo di vivere dei cittadini europei per gli anni a venire. Si tratta del TTIP, ovvero il Partenariato Trans-atlantico per il Commercio e gli Investimenti. Di cosa si tratta? Il TTIP è, in poche parole, un accordo per creare un mercato unico fra le due sponde dell’Atlantico: Europa e Stati Uniti d’America potranno commerciare senza barriere doganali uniformando i sistemi di controllo e di circolazione delle merci. Un unico grande mercato euro-atlantico capace di risvegliare l’economia della vecchia Europa, almeno secondo quanto si legge sul sito della Commissione europea ( http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/about-ttip/index_it.htm ): “Il TTIP è stato progettato per incoraggiare la crescita e la creazione di posti di lavoro [………]Ricerche indipendenti mostrano che il TTIP potrebbe far aumentare: l’economia europea di 120 miliardi di euro e, l’economia americana di 90 miliardi e l’economia del resto del mondo di 100 miliardi”. Tutto risolto dunque? La creazione del nuovo mercato unico occidentale salverà l’Europa dalla disoccupazione e il resto del mondo dalla fame? Difficile crederlo. Nonostante i termini del misterioso accordo, in discussione da luglio 2013, siano ancora sconosciuti ai mezzi di informazione e all’opinione pubblica, quel che è certo è che l’entrata in vigore del TTIP non influirà solo su dazi e dogane: il mercato dei servizi, gli investimenti, gli appalti pubblici, le norme relative all’ambiente, alla qualità del cibo e alla sicurezza degli autoveicoli sono tutti settori che verranno omologati per favorire gli scambi Usa-Eu.
Rivoluzione liberista
Se durante gli anni Novanta il mito della globalizzazione prometteva un roseo futuro di prosperità e benessere planetario, oggi questo nuovo passo in avanti verso l’unione commerciale del mondo sembra vagheggiare lo stesso sogno. Purtroppo le vicende economico-politiche degli ultimi vent’anni hanno contribuito a sfatare il mito del grande mercato iperliberista che si autoregola e il timore di un ulteriore impoverimento dei cittadini e degli Stati è più che mai fondato. Molte sono infatti le critiche che da più parti sono arrivate al nuovo accordo commerciale. Nonostante i negoziatori del trattato assicurino che “L’obiettivo è ridurre i costi non necessari e i ritardi per le aziende mantenendo al contempo un livello elevato di protezione della salute, di sicurezza e di tutela dei consumatori e dell’ambiente”, il rischio che gli standard di sicurezza europei subiscano un drastico abbassamento per “liberalizzare” il commercio con gli Usa è molto forte. Uno dei settori più a rischio è l’agroalimentare europeo che, caratterizzato da aziende di piccole o medie dimensioni, finirebbe per omologarsi al modello americano delle grandi Corporation del cibo e tutti i muri fin qui eretti per fermare il proliferare di OGM e pesticidi sulle nostre tavole finirebbe per crollare: addio alla filosofia dei ’”chilometri zero” e dell’agricoltura biologica. Inutile dire che nel settore dell’agroalimentare l’Italia è, fra i Paesi europei, quello che ha tutto da perdere e niente da guadagnare in caso di entrata in vigore del trattato transatlantico. Ma l’accordo non si limita alla libera circolazione delle merci e dei beni materiali ma si estende anche ai servizi: “Per concludere un accordo che sia veramente adeguato al ventunesimo secolo e tenga conto dell’interconnessione delle economie” – si legge sul sito della commissione- “entrambe le parti intendono procedere a modernizzazione e semplificazione, in relazione alle questioni commerciali, in ambiti quali le dogane e l’agevolazione degli scambi, la concorrenza e le imprese statali, le materie prime e l’energia, le PMI e la trasparenza”. In poche parole la scuola, la sanità e tutto ciò che è ancora tutelato, in tutto o in parte, dalla mano pubblica potrebbe essere preso d’assalto dalle multinazionali a stelle e strisce e l’Europa sarebbe costretta a dire addio a ciò che le resta di quello “Stato sociale” di cui un tempo andava fiera. Anche tutto il recente lavoro sui “beni comuni”, da tenere al riparo dagli appetiti dei privati, andrebbe perduto e potrebbe trattarsi del definitivo colpo di grazia a tutte le politiche pubbliche che, nonostante i margini di manovra sempre più ristretti dai vincoli di bilancio europei, ancora si applicano nella vecchia Europa. Ma l’avvento del Trattato Transatlantico avrebbe anche la conseguenza, quasi scontata, di subordinare senza possibilità di manovra la politica estera di Bruxelles a quella degli alleati americani. Lo stesso presidente Obama, nella sua recente visita in Europa, ha chiarito che l’accelerazione sulla ratifica del TTIP consentirebbe a Washington di aprire i rubinetti del gas americano per rifornire l’Europa e staccarla dalla dipendenza della Russia. Una manovra da guerra fredda per isolare il nemico Putin che però limiterà fortemente la capacità di azione geopolitica di quei Paesi, Italia in testa, che storicamente hanno conservato buone relazioni, economiche e non solo, con quelle aree al di fuori dell’orbita della Nato come la Russia, la Cina e le altre potenze regionali emergenti.
Trattative segrete
Si tratta dunque di cambiamenti strutturali nelle politiche interne ed esterne dell’Unione Europea e i negoziati dovrebbero senza dubbio avvenire pubblicamente; tuttavia, sul sito della Commissione Europea dedicato all’argomento, si legge che : “Il mandato del negoziato per un partenariato transatlantico su commercio e investimenti è un documento riservato: ciò si impone per tutelare gli interessi dell’UE e per non pregiudicare le possibilità di un esito positivo. All’inizio di un gioco non si comincia la partita rivelando agli altri fin dai primi momenti la propria strategia; tale ragionamento è valido anche per la situazione attuale dell’UE”. Se è vero che la strategia di gioco non dovrebbe essere rivelata ai propri avversari, dovrebbe certamente essere a conoscenza dei giocatori in campo a meno che, come al solito, la Commissione europea non consideri i cittadini dell’unione alla stregua di meri spettatori di una partita che ha come protagonisti giocatori più importanti. In effetti fino ad oggi, gli unici ad essere ammessi al tavolo della trattativa fra il delegato al Commercio U.S.A. e i membri della Commissione, sono stati i lobbisti e i rappresenti di alcune multinazionali europee. Un velo fatto di silenzio e trattative segrete è dunque calato sull’ accordo che entrerà in vigore entro l’anno. L’unico Paese che in Europa sta cercando di puntare i piedi sulla questione è la Francia dove il tema è entrato a pieno titolo nel dibattito elettorale per le prossime europee. In Italia invece il consenso sul Trattato Transatlantico sembra unanime all’interno dell’arco istituzionale: dal Presidente della Repubblica ai rappresentanti dei vari governi, tutti hanno sempre manifestato la loro impazienza per la firma dell’accordo. Un accordo che, c’è da scommetterci, è stato uno dei temi caldi affrontati da Obama ( e successivamente da Elisabetta d’Inghilterra) con vertici istituzionali italiani nella sua recente visita a Roma. Tutto tace invece per quel che riguarda il dibattito pubblico: tranne alcune rare eccezioni nessun organo di informazione ha mai approfondito le questioni relative al TTIP e nel confronto elettorale in vista delle prossime elezioni europee non c’è traccia dell’argomento. Perfino quelle forze politiche che si definiscono più alternative o che hanno sempre ostentato un atteggiamento critico verso l’Ue e verso le politiche Atlantiche sembrano disinteressarsi al Trattato Atlantico e alle sue conseguenze. Si preferisce discutere di un referendum sull’euro che, probabilmente, non ci sarà mai o piuttosto degli F35 mentre il futuro di milioni di italiani e di europei viene lasciato ai negoziati segreti fra le commissioni euro-atlantiche e le multinazionali. Certo molti cittadini sono preoccupati dalla spesa per i famosi 90 aerei che dovremo comprare dagli Usa e molti altri ancora sognano di poter tornare alla lira ma, questo è poco ma sicuro, la totalità della popolazione europea è molto più preoccupata di quello che finisce sulla sua tavola o del futuro del welfare europeo.