Da un lato ci sono i mercati, che negli ultimi giorni lanciano un timido segnale di ripresa, lasciando calare gli spread sui titoli di debito dei paesi sotto pressione: rispetto al bund tedesco, il differenziale francese torna sotto quota 100 punti (86), mentre quello di Madrid si attesta intorno ai 370 punti, livello che rimane comunque preoccupante.
Continua a calare, anche se più lentamente del previsto, anche il differenziale italiano, che chiude a quota 450 punti, in attesa della nuova manovra che Monti ha annunciato per lunedì con la presentazione in Consiglio dei Ministri.
La revisione delle stime di crescita non rasserena di certo il clima: l’OCSE, nel consueto Autumn Economic Outlook, prevede nel 2012 una recessione per l’Italia, con il PIL a -0,5%, dato peraltro confermato anche dal ministro Passera, mentre solo sei mesi fa la previsione si attestava al +1,6%. Nel frattempo il Governatore della BCE, davanti all’Europarlamento, continua ad auspicare interventi coordinati da parte di paesi dell’area Euro, che “devono recuperare credibilità sia singolarmente che collettivamente”.
A testimonianza della sua partecipazione attiva al dibattito, Draghi arriva ad ipotizzare la modifica dei trattati, proponendo l’unificazione della “struttura di bilancio” e delle regole fiscali, oltre all’adozione di nuovi meccanismi finanziari (come il potenziamento del fondo salva-stati o gli Eurobond) che possano garantire la stabilità in caso di emergenza.
In questo momento, dunque, la parola d’ordine tra le strutture dell’Unione (BCE, Commissione, Parlamento) sembra essere “unità”, o meglio “nessuno si salva solo”, in contrasto con le posizioni autoreferenziali di molti capi di governo, in primis quello tedesco.
La fragilità del contesto finanziario richiederebbe evidentemente grande cautela nelle dichiarazioni che, come ormai abbiamo imparato, possono essere foriere di tensioni devastanti, ma in questo “gioco” scarsamente cooperativo ognuno vuole cautelarsi e proporre la propria ricetta.
In tal senso appaiono più che eloquenti le parole del governatore della Banca di Inghilterra, King, pronunciate giovedì: “(…) stiamo preparando dei piani di emergenza (…) Forse l’Eurozona non si dissolverà, o sopravviverà in varie forme, ma forse c’è anche la possibilità di un default”, aggiungendo inoltre che “qui nel Regno Unito dobbiamo trovare strumenti per rafforzare la resistenza del nostro sistema finanziario in vista di tempeste che potrebbero venire nella nostra direzione”.
In altre parole la Gran Bretagna, le cui banche sono già piene di mutui sub-prime che rischiano di diventare carta straccia, è la prima a non aver fiducia nelle istituzioni comunitarie, a cui partecipa nonostante il mantenimento della Sterlina.
Nemmeno il Presidente degli Stati Uniti sembra credere nelle misure messe in campo dall’Europa: durante l’incontro di lunedì scorso tra Obama e le alte cariche delle istituzioni europee a Washington, ha dichiarato semplicemente che “l’austerità non serve” e che bisogna permettere alla BCE di intervenire offrendo liquidità illimitata, per evitare “una bancarotta Lehman all’ennesima potenza”.
Da tale scenario emerge con chiarezza che non esistono al momento né una teoria economica certa né tantomeno una linea politica condivisa che siano in grado di fornire risposte adeguate alla crisi in atto. Resta da capire come si possa riuscire in tal modo a rassicurare i mercati, che per definizione dovrebbero operare in modo razionale, se non si capisce dove sia la ragione.
Dal canto suo il Governo Monti ha adottato, come era peraltro facilmente prevedibile, la linea europea integrale, secondo cui solamente l’austerità nel brevissimo periodo può spingere il Paese verso il recupero della fiducia, attraverso la riduzione del livello di debito, mentre le misure per la crescita dovrebbero arrivare in un secondo momento.
Il primo provvedimento in questa direzione ha preso forma mercoledì, quando la Camera ha approvato all’unanimità (solamente 11 gli astenuti) il disegno di legge costituzionale per la modifica dell’art. 81, in materia di debito pubblico.
All’articolo 1 si legge che “lo Stato, nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea, assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio (…) L’equilibrio del bilancio è assicurato tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico, prevedendo verifiche, preventive e consuntive, nonché misure di correzione” (il testo del progetto di legge è leggibile in allegato).
In sostanza si tratta del pareggio di bilancio, regola per cui uno Stato non può spendere in un anno più di quanto incassa.
La norma è tuttavia ammorbidita dal secondo comma: tener conto del ciclo economico vuol dire che se si va in deficit per un periodo, nel periodo successivo bisognerà recuperare la perdita. La definizione degli “eventi eccezionali”, al verificarsi dei quali è consentito indebitarsi, viene rimandata ad una legge ordinaria, lasciando ampio spazio alla discrezionalità del parlamento. Si aggiunge inoltre che “il ricorso all’indebitamento, accompagnato dalla definizione di un percorso di rientro, è autorizzato con deliberazioni conformi delle due Camere, adottate a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti”.
L’imposizione di regole fiscali rigide pone una serie di problematiche di tipo economico, in merito sia alla tenuta che all’efficacia. Nel breve periodo potrebbero con molta probabilità dispiegarsi gli effetti desiderati, ovvero l’aumento della fiducia verso i nostri titoli ed il consequenziale abbassamento dei rendimenti, perché i mercati si convincono che il contenimento dei conti pubblici sia un interesse nazionale condiviso da tutte le forze politiche.
Le criticità potrebbero tuttavia affiorare nel medio-lungo periodo, nel momento in cui si verifichi un nuovo shock economico, ad esempio una forte recessione.
Come spiegava il prof. Pisauro (direttore della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze) in un articolo relativo alla precedente proposta di modifica alla costituzione, “si può immaginare cosa sarebbe successo alle economie avanzate se questa fosse stata la procedura richiesta nel 2008.
Tutto il Parlamento può essere d’accordo sulla dimensione dell’aggiustamento, ma è ben possibile che vi sia profondo disaccordo sulla composizione del pacchetto fiscale. Il rischio è la paralisi”. Il pericolo dunque è che il governo ed il paese diventino ostaggio di interessi particolari, o peggio di manovre politiche che esulano dalle necessità di intervento economico.
Obama ha dovuto affrontare una situazione simile, con il parlamento a maggioranza repubblicana che fino all’ultimo non voleva approvare l’aumento del deficit, con il rischio di una crisi di liquidità immediata.
Un altro rischio, sottolineato anche dal prof. Boeri (professore ordinario alla Bocconi), “è quello di legarsi le mani inutilmente impedendo politiche anti-cicliche”: un governo deve poter rispondere in modo adeguato ad un calo del reddito, attivando gli stabilizzatori che permettano di mantenere i livelli dei consumi e degli investimenti entro limiti ragionevoli, altrimenti un lieve scostamento ciclico può autoalimentarsi fino a diventare recessione. Secondo Boeri “la credibilità si ottiene con i fatti”, ovvero raggiungendo il pareggio attraverso misure restrittive della spesa, senza la necessità di adottare vincoli esterni, che pongono dubbi sull’effettiva realizzazione.
Il disegno di legge costituzionale, accompagnato dalle perplessità evidenziate, passerà ora al Senato.
Nel frattempo gli occhi dei cittadini saranno puntati sulle misure che saranno presentate lunedì, che potrebbero far scricchiolare il massiccio consenso dell’opinione pubblica nei confronti di questo governo.
L’8 ed il 9 dicembre, invece, sarà la volta dei capi di Stato europei, che dovranno confrontarsi nel vertice da molti ritenuto cruciale per il futuro della moneta unica, sperando che almeno stavolta si giunga a decisioni concrete.
disegno di legge costituzionale