“Se sbaglio mi corriggerete!” Con questa frase Karol Wojtyla, appena eletto papa, conquistò la folla radunata in Piazza S. Pietro nell’ormai lontano 1978, ed una simile moltitudine, se non ancora maggiore, lo ha acclamato santo domenica 27 aprile 2014.
Si è parlato di questo evento come di una pietra miliare nella storia della Chiesa, non solo per la canonizzazione contemporanea di due papi, Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII, ma anche per la presenza a tale celebrazione di due pontefici viventi, l’emerito Benedetto XVI e Francesco e per il loro abbraccio fraterno all’inizio e alla fine dell’Eucaristia. Questa immagine ha fatto risaltare l’unità della chiesa e il suo senso di famiglia. Infatti credo che molti presenti si siano sentiti partecipi di questo clima fraterno e amorevole, di cui Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono stati, ognuno nel suo tempo, esempio ed artefici di un grande cambiamento ecclesiale. Entrambi di umili origini, disinteressati alla carriera, si sono ritrovati sul trono di S. Pietro e hanno cercato di dare il meglio di loro, sebbene di tale compito si sentissero indegni.
Papa Roncalli era il papa della gente, amava stare con le persone, e voleva che il linguaggio del pontefice fosse comprensibile a tutto il mondo. Come gli aveva insegnato il suo vescovo, Mons. Radini Tedeschi, il vescovo doveva stare vicino ai diocesani, e Roncalli pensava che il papa dovesse stare vicino al mondo. Wojtyla, seguendo tale esempio, ha introdotto nella Chiesa tradizioni nuove, come la Giornata Mondiale della Gioventù, un evento ormai famoso e condiviso da tutto il mondo. Inoltre egli era particolarmente attento agli ammalati e ai sofferenti, a cui voleva fossero riservati i primi posti nelle celebrazioni da lui presiedute, anche a costo di stravolgere il protocollo e di creare situazioni inedite. Per molti Wojtyla è stato il papa sportivo, il papa giovane, il papa sciatore, ma poi si è trasformato nel papa sofferente, nell’uomo fragile e debole che aveva sulle spalle la Chiesa di tutto il mondo. Questa trasformazione l’ha reso ancora più popolare e vicino a tutti, specialmente agli ammalati che in lui si identificavano e trovavano conforto, sostegno, affetto e preghiera.
I due nuovi santi sono entrambi innamorati di Colui che ha fatto sfociare in loro la vocazione sacerdotale e hanno cercato di trasmettere questo amore a tutti coloro che hanno incrociato sul loro cammino. Non bisogna dimenticare che prima di essere ciò che sono diventati, prima di tutto, erano uomini, esseri umani con le loro debolezze e le loro fragilità. Questo è stato un insegnamento esplicito di Giovanni Paolo II, quando si mostrava alla folla nella condizione di sofferente e affermava, a chi lo guardava con sorpresa e magari un misto di imbarazzo e timore, che il papa non era nè invincibile nè indistruttibile, ma umano come tutti, con le sue malattie, le sue limitazioni, che tuttavia non gli impedivano di esercitare il suo ministero nè tantomeno di amare meno la Chiesa.
Credo che in piazza S. Pietro domenica 24 aprile tutti questi insegnamenti fossero ben presenti e radicati in tutti. Un giornale ha titolato: “Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII santi: due papi che hanno cambiato la Chiesa e il mondo”. Amo pensare che il più grande cambiamento che hanno introdotto sia stato trasformare l’immagine che la gente aveva di Dio. Prima del concilio si aveva l’idea di un Dio distante, lontano, quasi seduto su di un trono, a cui si dava del “voi”. Dopo invece, è stato scoperto un Dio vicino, umile, che percorre la stessa strada degli esseri umani, con la sola differenza che Lui sa già cosa è giusto fare, e finalmente è diventato un Dio al quale si può dare del “tu”. Wojtyla ha rafforzato questa novità, dimostrando che il vicario di Cristo in terra stava vicino a chiunque: dai politici e ambasciatori, agli ammalati, orfani e vedove.
Sia Roncalli che Wojtyla si sono guadagnati il titolo di santi facendo della loro vita quotidiana un pellegrinaggio verso la santità, e lasciando che il loro amore per la chiesa travolgesse chiunque andasse loro vicino. Scoprire che la santità è alla portata di tutti, è sicuramente la cosa più importante per gli esseri umani, che vivono questa esperienza terrena schiacciati dalla consapevolezza di non fare abbastanza e di essere lontani dal modello ideale che tutti noi definiamo santo. Non serve fare gesti straordinari, ma occorre solo vivere la propria vita quotidiana con amore e fiducia incrollabile verso ciò in cui si crede. In questo modo la santità diventa alla portata di tutti ed è chiaro che non è necessario essere canonizzati dalla Chiesa, ma semplicemente vivere la propria vita con coerenza e coraggio in mezzo a tutte le sue difficoltà. Questo fa di chiunque un vero santo, infatti molto spesso i santi sono in mezzo a noi e noi non li riconosciamo; ma grazie a Giovanni Paolo II e a Giovanni XXIII, ora si ha la certezza che la santità può essere raggiunta da qualsiasi essere umano. Questo è stato il loro più grande insegnamento e per questo hanno meritato che i loro nomi fossero annoverati nel Libro della Vita per l’eternità.