Cosa ha dato ad un gruppetto di fedeli servitori la forza e il coraggio di ribellarsi al proprio capo quando sembrava impossibile fino a qualche giorno prima? Come è potuto avvenire che quanti avevano prontamente firmato le proprie dimissioni irrevocabili, poi ritirate (ma non erano “irrevocabili”?), poco dopo osavano pugnalare Cesare?
Per la rabbia? Forse sì. La rabbia per l’umiliazione delle “colombe” che vedevano sfiduciare il governo, a loro totale insaputa, come se non contassero nulla e avessero voce solo i “falchi”. C’è però da chiedersi perché allora il capo delle colombe, Alfano, qualche mese prima, abbia accettato supinamente uno schiaffo pubblico, quando si cercava il successore degno del capo e quest’ultimo sosteneva apertamente che “el ghè no, non c’è”.
Per le richieste del popolo della libertà? Troppe volte ci siamo abituati alla sua capacità di seguire sempre il proprio idolo, anche nelle sue più impensabili giravolte.
Un sussulto di interesse per il bene pubblico? Non scherziamo.
Ma allora cosa è stato a dare loro la forza? “Il coraggio uno non se lo può dare” ci insegna don Abbondio. Il motivo (o almeno uno dei principali) va cercato in una frase sfuggita al ministro Quagliariello: “Abbiamo dato ascolto ai nostri: agli imprenditori, agli artigiani , alla … CEI”. Molti laici rigorosi avranno fatto un salto sulla sedia a quell’ultima parolina. Che c’entra la Chiesa con una scelta per il governo della Repubblica? Eppure il ministro ha disvelato il mistero. La Conferenza Episcopale Italiana, ovviamente sotto la guida del nuovo papa, ha dato il suo benestare e forse un incoraggiamento; ha fatto una cosa che mai era stata azzardata prima anche se dovrebbe essere nelle corde di un normale cristianesimo che non può appoggiare chi con la vita e i comportamenti mostra il costante disprezzo dei più elementari principi religiosi.
Per capire come sono andate le cose basta vedere la composizione del nucleo duro che ha dato vita alla rivolta contro il padrone (a parte quelli guidati dalla necessità di salvare le aziende di cui erano a capo). E’ un nucleo formato da personaggi in gran parte legati al mondo cattolico. Dallo stesso Quagliariello a Lupi a Formigoni che si è mostrato uno dei più vivaci venendo improvvisamente fuori dall’anonimato parlamentare. Costoro hanno dato coraggio al vicepresidente del consiglio, per altro già sospinto in questa direzione dalle “forze” che lo appoggiano.
D’altronde il grande nemico, la sinistra comunista pronta ad introdurre le peggiori riforme legislative a danno dei principi cristiani, è stato esorcizzato. In gran parte ha provveduto papa Francesco disinnescando alcune delle questioni più spinose come aborto e divorzio. E lo ha fatto grazie alla notevole dose di umanità, comprensione e pietas cristiana che sta ponendo nel suo pontificato, come dai tempi di Giovanni XXIII non si vedeva più.
Aborto? Dobbiamo essere misericordiosi verso le donne che lo hanno praticato e ne sono profondamente addolorate. Divorzio? Dobbiamo essere comprensivi verso coloro che si sono risposati e anelano ai principi cristiani. Anticoncezionali? Non è il caso di dare troppa rilevanza a questo argomento. Omosessuali? Chi sono io per giudicare.
Certo su altri temi, come il matrimonio eterosessuale, è stato irremovibile. Ma Francesco sa bene che per questi e i restanti valori irrinunciabili, le sentinelle sulle quali può contare sono molte e attente. E si trovano sia nel PDL sia nel PD. Anzi in quest’ultimo, proprio grazie al successo di Letta, la componente cattolica si è fortemente rafforzata e dà ampie garanzie di tenuta.
Con ciò non si può dire che il governo delle larghe intese sia la panacea. Al contrario oltre che rassicurare i mercati internazionali, non sta facendo molto. Fare infatti vuol dire incidere sui tre problemi fondamentali dell’Italia: disoccupazione, produzione industriale, debito pubblico. E, come è sotto gli occhi di tutti, la disoccupazione aumenta e quella giovanile è drammatica. La produzione industriale continua a diminuire. Il debito pubblico raggiunge sempre nuovi record storici. Ma solo su questi tre criteri fondamentali si valuta seriamente l’operato di un governo e su questi stiamo perdendo altro tempo prezioso.