Mosaici abbandonati tra vegetazione incolta e rifiuti, murature a rischio crolli, tasselli di mosaici e di murature portati via dai turisti, erba e acqua sui mosaici della “case decorate”, statue e sarcofagi dimenticati da anni in attesa di restauro, cartelloni esplicativi rotti o inesistenti. Non siamo a Pompei, siamo in un’altra area archeologica tra le più belle del mondo. Siamo a Ostia Antica, dove un patrimonio archeologico unico al mondo, senza nessun intervento, rischia di essere danneggiato per sempre.

Secondo una tradizione Ostia sarebbe stata fondata da Anco Marcio, quarto re di Roma vissuto nella seconda metà del VII secolo a.C. Sebbene questa tradizione non abbia ancora ricevuto conferma dalle evidenze archeologiche, è probabile che un abitato in età regia esistesse in prossimità della foce del Tevere per il controllo delle saline, che qui si trovavano. Nell’antichità il sale era un bene primario, indispensabile per l’alimentazione ma soprattutto per conservare i cibi. Un primo insediamento è sicuramente databile agli inizi del IV secolo a.C., mentre alla fine del secolo risale la costruzione di un castrum a cui fu dato il nome di Ostia, dal latino Ostium che significa foce del fiume. Era nata la prima colonia romana. L’accampamento, posto a 16 miglia da Roma e cinto da mura in tufo, aveva funzione strategico militare: doveva infatti controllare l’accesso al Tevere, il suo corso inferiore e i territori limitrofi. Si stima dovesse ospitare circa 300 famiglie. Da subito Ostia ebbe anche il ruolo di porto fluviale, destinato all’approvvigionamento delle merci destinate a Roma. In età repubblicana la città assunse una certa autonomia, tanto da avere un proprio governo in grado di emanare atti pubblici. Iniziò inoltre ad espandersi, a causa di un aumento della popolazione, tanto che fu necessario costruire una nuova cinta muraria, lunga 2 km e munita di tre porte, costruita forse per iniziativa di Cicerone verso la metà del I secolo Ostia 4a.C., anche se tradizionalmente attribuita all’epoca sillana. In questi stessi anni, anni in cui Roma aveva ormai il predominio su tutto il Mediterraneo, la funzione di scalo commerciale iniziò a diventare predominante per essere esclusiva sotto Augusto, quando l’imperatore spostò la flotta a Miseno e diede avvio alla costruzione di nuovi magazzini e granai. Sotto la dinastia Giulio-claudia la città viene monumentalizzata attraverso la costruzione del teatro e di templi in marmo. Con i Flavi, alla fine del I secolo d.C., avviene una radicale trasformazione attraverso un rialzamento dell’area abitata e la costruzione delle insulae d’affitto, ossia nuovi condomini costituiti da palazzi di tipo condominiale in grado di ospitare l’accresciuta popolazione. Sotto Adriano Ostia aveva ormai acquisito un aspetto fortemente urbano. Un preciso piano regolatore regolava la costruzione di interi quartieri, tra i quali merita di essere ricordato quello delle Case a Giardino. Ad Adriano va attribuita anche la costruzione dell’attuale Capitolium, simbolo della nuova monumentalità cittadina. Nella seconda metà del II secolo d.C. Ostia raggiunse la sua massima espansione, con una popolazione di circa 50.000 abitanti. Eppure solo un secolo dopo iniziò un lento ma inesorabile declino, per motivi storici ed economici, che portò all’abbandono di edifici e di intere parti della città. La chiesa episcopale costruita da Costantino, dedicata forse nel 330 d.C., è l’ultima costruzione di carattere monumentale eretta a Ostia. Nella tarda età imperiale gran parte dell’abitato era disabitato, venivano restaurate solo le zone di rappresentanza e le domus di proprietà di aristocratici romani o di imprenditori legati alle attività del porto di Traiano.


La città fantasma

Le scorrerie dei pirati saraceni lungo la costa furono il colpo mortale per la città che nel IX secolo risultava completamente abbandonata. La popolazione rimasta si trasferì nel vicino abitato fortificato di Gregoriopoli, sorto presso l’ansa del Tevere e dove secoli dopo sarà costruito il castello di Giulio II. Ostia fu invasa dalla malaria, saccheggiata e spoliata per il recupero di materiale destinato alla costruzione di nuovi edifici a Roma, Pisa ed Amalfi. Fu in seguito depredata delle sue opere d’arte attraverso scavi con finalità commerciali e antiquari. Solo agli inizi del XX secolo furono compiuti scavi archeologici con la volontà di capire la storia dell’antica città e liberare le antiche strutture dall’oblio che le aveva sepolte. Si tenga presente che oggi i resti di Ostia si inseriscono in un contesto territoriale e geografico diverso da quello antico. In età romana infatti il Tevere costeggiava il lato settentrionale dell’abitato mentre oggi ne tocca una minima parte del settore occidentale a causa della terribile alluvione del 1557 che ne ha trascinato a valle il letto. Inoltre la linea di costa, un tempo vicina alla città, oggi dista da essa circa 4 km a causa dell’avanzamento della terraferma dovuto ai detriti lasciati dal fiume in questi ultimi duemila anni. Ostia quindi sorgeva sul mare e sul fiume, caratteristica questa alla base della sua importanza militare e commerciale.

Il Trionfo di Nettuno
Visitare Ostia è un’esperienza incredibile. Una città antica che si è conservata per più di duemila anni. Si ha ancora la possibilità di camminare sulla strada romana a basoli, scorgervi i segni lasciati dalle ruote dei carri, e ammirare le tombe costruite lungo la strada. In città, dopo aver attraversato i resti di quella che fu Porta Romana, ci si trova immersi tra templi, magazzini, terme, domus, taberne, mitrei e il foro. C’è anche una sinagoga. Si può salire la scalinata del Capitolium fino ad arrivare alla sommità dell’alto podio e godere di una vista unica al mondo: la vista di Ostia antica. Ci si può sedere sui gradoni del teatro e lasciarsi abbracciare dalla cavea miracolosamente conservata e da qui ammirare il piazzale delle corporazioni. Per non parlare delle domus, molte conservano ancora le scale che portavano ai piani superiori, se si alza lo sguardo si scorgono le mensole che sorreggevano le travi portanti i soffitti\pavimenti e le soglie mostrano i segni lasciati dal movimento delle porte. Molti di questi edifici conservano mosaici e affreschi unici al mondo. Un mosaico per tutti: il Trionfo di Nettuno, nell’omonimo complesso termale, che raffigura il dio del Mare alla guida di quattro ippocampi, circondato da mostri marini, nereidi e tritoni. E che dire del thermopolium, antica osteria di cui si è conservato anche il banco di vendita rivestito di lastre marmoree e provvisto di due vaschette, e una pittura in cui sono raffigurati i cibi a disposizione. L’interno è suddiviso in tre parti: la cucina, il locale dove si vendeva la merce e un vano reso più raffinato dalla decorazione pittorica parietale e da un mosaico, forse riservato a clienti di maggior riguardo. Insomma, un’esperienza unica, tra il sogno e il miracolo. 

 
Ostia 2Ostia, che affari!

Non mancano però gli incubi. Partiamo dalla biglietteria. Basta guardare il cartello esposto che elenca tutte le categorie escluse dal pagamento per scoprire che sono veramente in pochi a pagare il biglietto di 8.50 euro. Per un Paese che potrebbe, e forse in questo momento critico dovrebbe, vivere dei suoi Beni Culturali questo fa preoccupare. Prima di entrare è necessario munirsi di una pianta della città, così come si fa quando si va a visitare una città moderna. Senza c’è il rischio di perdersi. Peccato che alla biglietteria non se ne consigli l’acquisto, si eviterebbe di vedere in giro tra gli scavi tante facce spaesate o sentire frasi del tipo: “Ma qui non ci siamo già passati?”, oppure “Rimaniamo sulla strada principale che se andiamo sulle laterali ci perdiamo”, o ancora vedere turisti andare a chiedere informazioni ad altri muniti di mappa. Che poi una mappa la vendono proprio in biglietteria, al costo di 2 euro. Una volta entrati ci si accorge che i cartelloni esplicativi degli edifici sono solo su alcuni monumenti, sono vecchi e portano poche indicazioni. Quello inerente la Schola del Traiano si è staccato, sulla piastra di metallo sono visibili solo i segni lasciati dal collante.

Ostia 5Le indicazioni perdute, i rifiuti presenti
Di altri edifici non è dato sapere l’identificazione, su alcune domus c’è solo una targhetta in pietra con il nome. Nelle Domus a giardino non c’è nemmeno l’ombra di un cartello esplicativo, difficile capire cosa siano le strutture quadrangolari in muratura lì vicine. I turisti le guardano e iniziano a ipotizzare di cosa possa trattarsi, poi un inglese, ingegnere idraulico alla General Motors, ha un’intuizione: se quelli in basso fossero canali di scolo e quella sorta di pietrisco all’interno della struttura coprisse un mosaico, forse potrebbe trattarsi di una fontana? Si arriva alla Domus del Graffito: i turisti entrano e si dirigono verso gli affreschi alla ricerca del graffito che, pensano, avrà dato nome alla casa. Per le altre domus è stato così. Il graffito non c’è, o forse c’era e non si vede più, o forse sarebbe bastato un cartello che indicasse il punto dove guardare. O ancora peggio non c’è mai stato alcun graffito. Si va via delusi e con le scarpe bagnate. In questa zona infatti l’erba è un po’ alta e con l’umidità mattutina in inverno ci si può bagnare. Camminando e addentrandosi, ma neanche troppo, tra le strutture si vedono zone recintate per “scavi aperti”, ma basta affacciarsi per vedere al di là della recinzione solo erbacce e rovi. All’interno di alcuni edifici sono esposte statue e altri reperti, in uno c’è quello che rimane di un sarcofago: si vede chiaramente che il sarcofago è stato spaccato di recente, ci sono frammenti all’interno. Semplice incuria o vandalismo?
Alcune domus sono chiuse da cancelli in ferro e grate arrugginite attraverso le quali si intravedono all’interno bottigliette di plastica e cartacce. In molti casi la penombra tenta di celare mosaici pavimentali resi verdognoli da un’erbetta selvatica cresciuta tra le tessere. In una domus accessibile a tutti, all’interno di una stanza, appoggiato ad una parete, c’è un pannello su cui è stato incollato un affresco che forse in origine decorava la parete su cui è poggiato.

Ostia 6Le quattro domus affrescate
La domenica mattina è possibile, solo su prenotazione, visitare le domus decorate. Si tratta di quattro domus uniche per affreschi e mosaici pavimentali, fresche di restauro: Insula di Diana, Insula di Giove e Ganimede, Insula delle Muse e Insula delle Ierodule o Casa di Lucceia Primitiva. L’appuntamento è alle 10.30 al Museo sito all’interno degli scavi. Ora, d’inverno alle 10.30 è freddo, molto freddo. Ma non solo, il Museo dista dalla biglietteria circa 1 km, questo vuol dire che bisogna arrivare un po’ prima. Ad un’ora più tarda e quindi ad una temperatura più confortevole, la visita sarebbe sicuramente più piacevole. Ma proseguiamo. Il gruppo è formato da sette turisti. Arrivano tre custodi della Soprintendenza che si limitano ad accompagnare i turisti alle domus, si scopre in questo momento che la visita è accompagnata non guidata. Questo vuol dire che nessuno spiegherà le domus visitate. Ora capiamo come mai la visita era compresa nel prezzo del biglietto! Fa niente, leggeremo la descrizione di cosa stiamo visitando sui cartelloni esplicativi all’ingresso. Amara scoperta! Non ci sono cartelloni. L’unica insula con un misero quanto sintetico cartello esplicativo con una pianta in cui è indicata solo la funzione degli ambienti è l’Insula di Diana. I turisti vengono portati nelle diverse case nel più assoluto silenzio. Nell’Insula di Giove e Ganimede un cartellone c’è ma spiega unicamente il restauro eseguito sugli affreschi. La casa di Lucceia Primitiva è qualcosa di unico: figurine bianche eteree si muovono con leggiadria all’interno di riquadri colorati. Qui nessun cartello. Queste case sono un labirinto di colori: giallo, rosso, blu. Nell’Insula delle Muse il passaggio tra una stanza e l’altra è scandito da un tipo di mosaico, con la funzione di soglia, diverso da quelli che ritroviamo nelle stanze; le tessere, bianche e nere, disegnano svastiche, fiori e una moltitudine di figure geometriche. Ci muoviamo però tra gli ambienti senza sapere dove siamo, cosa stiamo vedendo. Eppure una cosa la capiamo anche senza spiegazione, che nonostante i recenti e lunghi restauri queste case mostrano già i segni del degrado e dell’incuria: erba tra le tessere dei mosaici pavimentali, macchie di muffa nei corridoi e escrementi di piccioni sui pavimenti. A guardar bene, i piccioni sembrano essere il tallone di Achille di tutto il sito. Queste insulae non sono completamente visitabili, alcune zone sono chiuse con tendoni verdi per “lavori in corso, ne stanno ultimando il restauro”. E’ strano vedere un qualcosa che si sta finendo di restaurare che già mostra segni di degrado nella parte appena restaurata.
 

Ostia 1“Io custode sono”….
Se si cerca di chiedere informazioni ai custodi ci sentiamo rispondere: “Noi siamo solo i custodi, non è nostro compito né siamo autorizzati a dare informazioni sulle case”. Eppure nel concorso uscito qualche anno fa proprio per custode di beni culturali, la prima prova era costituita da domande a risposta multipla di cultura generale: c’erano domande di storia, archeologia e materie affini. Forse un custode dovrebbe sapere cosa sta custodendo. Anche perché la qualità della custodia potrebbe solo migliorare dalla conoscenza del valore del bene per la cui tutela si riceve uno stipendio alla fine di ogni mese. Non capire cosa si sta vedendo è triste, soprattutto quando si ha la certezza di guardare qualcosa di meraviglioso e unico al mondo che per questo una spiegazione la meriterebbe. Così come la meriterebbero gli impavidi turisti che alle 10.30 di una glaciale domenica di dicembre hanno deciso di rendere omaggio a una delle testimonianze più belle del nostro passato. I custodi ci spiegano che le visite guidate sono state date in appalto ad un’associazione. Scopriamo che esiste quindi la possibilità di una visita guidata a pagamento. Se solo qualcuno ce lo avesse detto. Eppure sul sito della soprintendenza si legge: “A decorrere dal 7 aprile 2013, la domenica mattina alle ore 10.30, sarà possibile visitare –  unitamente al complesso delle Case Decorate – anche la Casa di Giove e Ganimede e la Casa di Diana. È indispensabile la prenotazione al n. 06.56358044”. Non si parla di visita accompagnata né della possibilità di fare a pagamento una visita guidata. Pochi giorni fa Andrea Costanzo, presidente di Fiavet (associazione delle imprese di viaggi e turismo), ha parlato di “mosaici abbandonati tra vegetazione incolta e rifiuti, murature a rischio crolli, tasselli di mosaici e di murature portati via dai turisti, statue dimenticate da anni in attesa di restauro”.  Insomma “la situazione a Ostia Antica negli ultimi anni è diventata grave. Quest’area archeologica è certamente tra le più belle del mondo. Purtroppo la vicinanza con la Città eterna fa sì che le istituzioni non prestino la giusta attenzione al sito che ha potenzialità di sviluppo turistico enormi, ma necessita di misure di tutela e conservazione ormai non più rinviabili. C’è un patrimonio archeologico che oggi, senza nessun intervento, rischia di essere danneggiato per sempre». Le imprese del turismo chiedono per questo al ministro dei Beni Culturali Massimo Bray e al sindaco capitolino Ignazio Marino di operarsi affinché Ostia antica, così come è stato fatto per Pompei, abbia risorse adeguate per la sua conservazione e valorizzazione. Chiedono inoltre un loro impegno affinché Ostia antica venga riconosciuta come sito Patrimonio dell’Umanità. Ebbene sì, facciamo un’altra triste scoperta: Ostia antica non fa parte della World Heritage List.


(23./Continua. Gli altri articoli sono leggibili nella sezione Archeologia abbandonata)

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