Mentre in Italia si parla di una legge per istituire nelle scuole un’ora di lezione dedicata all’amore, forse ai sentimenti, forse alle emozioni ma anche alla parità di genere e perfino al linguaggio culturale stereotipato e quindi pure all’educazione sessuale – ma sì, infiliamoci tutto che forse qualcosa da queste ore di lezione uscirà fuori – dobbiamo prepararci a celebrare la Pasqua!
Non possiamo sottrarci, dobbiamo farcene una ragione. Tutti celebreremo la festività in “famiglia”, che sia colazione pasquale o pranzo, ci ritroveremo tutti intorno ad un tavolo con i nostri cari ad ingurgitare calorie che serviranno a vendere più copie dell’ultima rivista, femminile o maschile, quella che ci suggerirà come smaltire le uova di Pasqua e la pizza di formaggio prima della prova costume.
Tutti? No, in verità non tutti. Perché intorno alle tavole festose degli italiani, ad ogni ricorrenza, Natale ed Epifania incluse, si consuma spesso anche un tragedia degli affetti che dovrebbe far insorgere bambini e adolescenti tutti, al grido di: “E ce lo volete insegnare “voi” l’amore, i sentimenti, le emozioni e il rispetto dell’altro da sé?” Ma anche: “perché non ci andate voi a farvi insegnare cosa significa l’amore, il rispetto, cosa sono le emozioni, gli affetti e la sessualità, che poi magari sarete anche capaci di spiegarlo a noi?”
I mariti separati da anni dalle proprie consorti sentono il dovere di “non profanare” la tradizione familiare, quindi presenziano ma in solitudine, parcheggiano dove possono le loro nuove compagne di vita e si prestano alla farsa del pranzo di famiglia, per amore dei figli. Talvolta sono le ex-mogli a fare altrettanto, per uno strano senso del dovere affettivo nei confronti dei figli, anche se le mogli tendono, generalmente, a farlo anche nei giorni feriali.
Figli che peraltro crescono e si abituano al fatto ineludibile che i propri genitori sono separati e che magari esistono altri compagni che loro conoscono e frequentano nei week-end o nelle vacanze: mai a Natale, mai Pasqua, mai soprattutto se c’è anche la mamma e la famiglia è riunita intorno al focolare. Poco importa se tutti sanno che non è vero, che non c’è più quel focolare, almeno non solo quello.
E’ così che i figli apprendono che “fare finta” è meglio di “esprimere”, “non definirsi” è meglio che affrontare il “conflitto”, la famiglia è “una farsa” in cui il silenzio è d’oro, l’amore è una “pagliacciata” ma anche che è meglio così, nessuno avrà il muso in un giorno di festa, né mamma né papà.
E così nel chiuso di una stanzetta di psicoterapia ti spiegano le loro ragioni: “ma non è giusto che io non possa godermi i miei figli in un giorno di festa”, “se mio marito ha un’altra compagna è una faccenda sua privata, non c’entra con la famiglia”, peggio: “mmmh…è una tradizione di famiglia!”
Ma quale famiglia? Quella in cui i genitori sono separati da 10, 15 20 anni?
In Italia ogni giorno si scontrano in tribunale donne e uomini che un tempo si amavano ma che declinati al presente sono pronti ad usare perfino i figli contro l’uno o l’altra. Donne e uomini che faticano maledettamente a distinguere il loro ruolo di partner di una coppia e di genitori, che non capiscono che la fine della coppia è una cosa e la loro funzione genitoriale un’altra. Donne che uomini che una volta separati trascinano per secoli la richiesta di divorzio per non traumatizzare i “bambini” che ormai avranno raggiunto i 20 anni e magari pure i 30.
Madri che non abdicano al loro ruolo coniugale e pretendono di non conoscere nemmeno la donna che vive con il proprio ex-marito, anche dopo anni. Donne che si sentono in dovere di considerare un tradimento se i propri figli frequentano il padre e la di lui nuova compagna. Uomini che non riescono a trovare una modalità “sana” per gestire le proprie relazioni né con l’ex-moglie, né con la nuova partner. Accettano la “tradizione” per non innescare conflitti, supplicano le nuove compagne di comprendere che è solo per amore dei figli, non per mancanza di rispetto e affetto verso di loro e le abbandonano per le sante, santissime feste. E, incredibile in un paese in cui ci stiamo preoccupando di insegnare ai bambini emozioni, affetti e sentimenti, queste povere donne, adulte, queste nuove compagne, accettano il “delirio” dei propri compagni che si consegnano a testa bassa alla buffonata di famiglia che non è più una famiglia. E lo fanno per “amore” sia gli uni che le altre. Ma che idea di “amore” abbiamo noi adulti?
E infatti, se fosse chiaro agli adulti cosa vuol dire amore: rispetto, emozioni, affettività, sessualità non ci sarebbe bisogno di educare i bambini a scuola. Lì potremo occuparci di insegnare senso civico, socialità, diritti, linguaggio e parità di genere. E’ questo il problema.
E’ Pasqua, andiamo! E’ tempo di insegnare agli adulti italiani, prima che ai loro figli, l’ora d’amore e non di ipocrisia, l’ora dei sentimenti e non della falsità, l’ora del rispetto reciproco e non della ripicca, l’ora dell’autenticità e non dell’ambiguità. Che l’amore, prima di tutto, è rispetto per se stessi: se non ti ami, non puoi, non sai amare nessuno.