18 LUGLIO 2008 – Due prefetti, Alessandro Pansa e Corrado Catenacci, e altri 29 indagati si apprestano a trasferirsi dall’indagine Rompiballe a un processo Rompiballe: i pubblici ministeri della procura di Napoli hanno chiuso l’inchiesta (denominata Rompiballe a causa del “vizietto” degli indagati di realizzare solo per finta ecoballe di rifiuti che poi venivamo triturate, rotte, per essere smaltite da “spazzatura semplice”) sugli illeciti nella gestione dei rifiuti in Campania nel’ultimo biennio di emergenza.
L’avviso di conclusione delle indagini preliminari (un atto che annuncia l’intenzione dell’accusa di chiedere il rinvio a giudizio e dà agli accusati venti giorni di tempo per depositare eventuali memorie difensive) è stato notificato la scorsa settimana. I reati di traffico illecito di rifiuti, abuso d’ufficio e truffa ai danni dello Stato sono contestati, in modo diverso a seconda delle qualifiche professionali e istituzionali, a 31 indagati in totale.
Trentuno accusati contro i 25 che a maggio scorso finirono agli arresti domiciliari nel “giro di boa” dell’indagine condotta dai pm Paolo Sirleo e Giuseppe Noviello coordinati dal procuratore aggiunto Aldo De Chiara.
La principale new entry nella classifica degli indagati è l’ex commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania, anche lui prefetto, Corrado Catenacci.
Ma Pansa e Catenacci, i due prefetti ed ex supermen antispazzatura, sono accusati “per non aver impedito un evento che avevano l’obbligo giuridico di impedire”. Il codice penale italiano, infatti, prevede che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. In pratica, se il controllore non controlla e chi avrebbe dovuto essere controllato approfitta di uesta “distrazione” per commettere un reato, è come se lo avessero commesso tutti e due.
L’attuale prefetto Alessandro Pansa, in particolare, deve rispondere, secondo i pm, di abuso d’ufficio, falso e truffa ai danni dello Stato.
Gli altri indagati sono Marta Di Gennaro, responsabile del settore sanitario della Protezione civile, in passato vice di Guido Bertolaso all’epoca in cui era stato commissario straordinario per l’emergenza rifiuti, oggi nuovamente responsabile dell’emergenza come sottosegretario ad hoc; Lorenzo Miracle, direttore tecnico Ecolog, l’azienda che organizza il trasporto dei rifiuti in treno verso la Germania;
Roberto Cetera, amministratore delegato Ecolog; Massimo Malvagna, amministratore delegato Fibe spa (il consorzio di imprese costituito nel 1998 che ha come capofila la Fisia Italimpianti; Andrea Orazio Monaco, capo impianto Cdr, combustibile derivato da rifiuti, presso l’impianto di Caivano; Sergio Asprone, responsabile delle gestione degli impianti Fibe; Elpidio Angelino, capo impianto Cdr di Giugliano; Silvio Astronomo, capo impianto Cdr di Casalduni in provincia di Benevento; Pasquale Moschella, capo impianto Cdr di Santa Maria Capua a Vetere; Giuseppina Marra, funzionario della Provincia di Caserta; Alessandro Di Giacomo, capo impianto Cdr di Pianodardine in provincia di Avellino; Ernesto Picarone, responsabile ambiente ingegneria di Fibe e Fisia-Italimpianti; Domenico Ruggiero, capo impianto Cdr di Battipaglia; Giovanni De Laurentiis, responsabile operatore Fisia-Italimpianti; Angelo Pelliccia, dirigente Fibe e Fibe Campania; Leonello Serva, ex Commissariato per i rifiuti, oggi dipendente dell’Apat, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente; Filippo Rallo, responsabile per i Cdr Campania della Fisia; Massimo Cortese, responsabile gestione dei Cdr campani; Giuseppe Sorace, tecnico del commissariato ai rifiuti e responsabile unico del procedimento per il termovalorizzatore di Acerra; Michele Greco, dirigente della Regione Campania, già dipendente della Protezione civile; Dino Di Battista, responsabile discariche e siti stoccaggio Fibe; Giuseppe Iavazzo, funzionario dell’ “Ufficio flussi” del Commissariato per i rifiuti; Vito Fimiani, ex responsabile del Cdr di Giugliano; Fabio Mazzaglia, chimico; Rocco De Frenza, maresciallo dei carabinieri, distaccato presso la Protezione civile.
In riferimento alla posizione del prefetto Pansa, nell’avviso di chiusura delle indagini preliminari i pubblici ministeri precisano che “sovrintendeva la gestione senza impedire, anzi consentendo la violazione della normativa ambientale e delle ordinanze della presidenza del consiglio dei ministri autorizzative degli impianti, a valle della raccolta dei rifiuti”.
Nei confronti di 25 dei 31 indagati il 22 gennaio scorso la procura della Repubblica chiese al gip, Rossana Saraceno, un’ordinanza di custodia in carcere. Ma il giudice ha ritenuto che le esigenze cautelari potevano essere soddisfatte anche con gli arresti domiciliari. E dopo gli interrogatori il gip ha revocato anche questa ordinanza sostituendola con delle misure interdittive dall’esercizio delle rispettive professioni.
A questo proposito va sottolineato che, per i Pm, andava contestato anche il reato di associazione per delinquere. Ma per questa ipotesi il gip ha rifiutato le misure cautelari. Una scelta che dimostra, da parte del giudice, la conoscenza del codice penale più di quanto appaia noto ai Pm. Il reato di associazione per delinquere, infatti, prevede che più persone si associno “allo scopo” di commettere uno o più reati. In sostanza, è necessario che un determinato gruppo di persone prima di compiere reati decida di associarsi, o comunque di costituire un vincolo tra loro. E soltanto in un secondo momento questo vincolo associativo si trasforma in una sorta di strumento, in un mezzo per commettere reati. Ora, è chiaro che non si può sostenere che funzionari, imprenditori, chimici, responsabili di cantiere, impiegati regionali e perfino un carabiniere, abbiano prima costituito un’associazione per delinquere e poi, abbiano utilizzato questo “sodalizio” per compiere reati. Può essere invece verosimile, almeno stando alla ricostruzione dell’accusa, che una serie di persone, responsabili ciascuna di un settore di questa commedia dell’arte che è l’emergenza rifiuti in Campania da 15 anni a questa parte, abbia commesso illeciti di varia natura potendo contare su una “catena di irregolarità”. Insomma, è il classico caso del concorso nel reato, anche questo previsto dal codice penale. Un vecchio manuale di diritto penale, a questo proposito, faceva un esempio: se cinque persone si incontrano a cena e decidono di dedicarsi ai furti d’auto e in appartamento sistematicamente, suddividendo tra loro anche compiti e responsabilità, allora si è in presenza di un’associazione per delinquere finalizzata al furto. Se invece le stesse cinque persone s’incontrano per caso e decidono di andare a mangiare una pizza e strada facendo prima approfittano del buio per rubare un’auto e poi magari s’introducono in una casa vuota per rubare, allora si verifica un caso di concorso di cinque persone in furto aggravato.
All’origine dei “problemi” dei 31 indagati c’èuna circolare nella quale si diceva che il materiale prodotto negli impianti di combustibile da rifiuti della Campania non era da considerarsi Cdr, e quindi non era idoneo alla termovalorizzazione.
Una circolare che, ha spiegato un dirigente del commissariato ai pm in un interrogatorio, genera il problema della classificazione del materiale, “se era da classificarsi con la lettera D non era adatto alla spedizione in Germania, se invece poteva ricevere la lettera R era gradito alle autorità tedesche“.
Il “gioco” è proprio in queste due consonanti.
In nome dell’emergenza e dell’obiettivo prioritario di tentare di ripulire le strade di Napoli e della Campania i codici venivano cambiati e la Ecolog poteva trasportare in Germania rifiuti che sarebbero dovuti restare in Italia (nelle discariche, in teoria, ma visto che le discariche erano piene nei cosiddetti siti di stoccaggio, ossia intermniabili distese di terreno stracolme di “ecoballe” che di eco(logico) avevano poco o nulla.
In sostanza la Campania ha smaltito in Germania rifiuti in violazione delle norme comunitarie. Vagoni e vagoni di spazzatura che la Ecolog trasportava a suon di milioni di euro. Per questo il reato di riciclaggio di rifiuti (in realtà si tratta di una sorta di riciclaggio “documentale”) viene contestato ai vertici della Ecolog, l’amministratore Roberto Cetera e il direttore tecnico Lorenzo Miracle e a Marta Di Gennaro, responsabile della sanità del Dipartimento di Protezione civile.
ll traffico illecito di rifiuti, scrivono i pm, sarebbe consistito “nell’invio di frazione umida con codice Cer 190501 non veritiero; nell’effettuazione in Germania di un’operazione di smaltimento in luogo di attività falsamente rappresentate come recupero alle competenti autorità e come tali indicate nei documenti di accompagnamento delle singole spedizioni”.
Inoltre, le irregolarità nello smaltimento dei rifiuti attraverso la falsa indicazione della loro tipologia non riguardavano solo l’invio in Germania, ma anche quello in discarica. Con questo trucco, ad esempio, è stata utilizzata per alcuni mesi la discarica già chiusa in località Parapoti a Montecorvino Rovella, nel salernitano.
La denominazione “rompiballe” trae spunto da un’intercettazione telefonica e fa riferimento all’improprio trattamento delle cosiddette ‘ecoballe’ di immondizia che, a quanto pare, per un determinato periodo di tempo, sarebbero state frantumate per essere smaltito nelle discariche.
L’inchiesta chiusa nei giorni scorsi costituisce un filone dell’indagine che ha già portato al processo nei confronti del presidente della Giunta regionale campana e di ex vertici dell’Impregilo.
Chiusa la seconda indagine sullo smaltimento dei rifiuti e sulla emergenza costruita nel corso degli anni, è il caso di ricordare che già nel 2005 e poi nel 2006 le commissioni parlamentari sul ciclo dei rifiuti puntavano il dito contro una lunga serie di “anomalie”.
Bisogna cominciare dal febbraio 1994, quando il governo nominò il prefetto di Napoli commissario straordinario per l’emergenza rifiuti. Il piano regionale dell’anno precedente non funzionava, la raccolta differenziata non partiva e tutti i rifiuti venivano convogliati nelle discariche che erano ormai sature. Le difficoltà della giunta regionale, la fragilità degli equilibri politici unite all’incapacità del consiglio di legiferare impediscono a qualsiasi piano di essere addirittura concepito. A questo punto viene creato un secondo commissario, il presidente della Regione (all’epoca Antonio Rastrelli a capo di una coalizione di centrodestra) che deve predisporre un piano definitivo per superare l’emergenza. Il piano ha un’impostazione ambiziosa: con l’intento di superare il modello delle discariche propone un ciclo integrato con la produzione di un combustibile da rifiuti (CDR) che avrebbe alimentato i termovalorizzatori per la produzione di elettricità. Parallelamente, avrebbe dovuto svilupparsi la raccolta differenziata a livelli elevati.
La gara viene indetta nel 1998 e si conclude nel 2000.
Intanto la presidenza della Regione passa a Antonio Bassolino che eredita anche la carica di commissario straordinario. E’ Bassolino a firmare la il contratto con l’impresa vincitrice della gara.
Il bando prevedeva che l’azienda realizzasse due termovalorizzatori e sette impianti di produzione di Cdr capaci di differenziare i rifiuti producendo da un lato combustibile e dall’altro una frazione organica (FOS, frazione organiza stabilizzata) che poteva essere usata nelle attività di bonifica ambientale.
La gara fu vinta dalla Fibe (sigla ottenuta dai nomi delle imprese Fisia, Impregilo, Babcock, Evo Oberrhausen) con capofila Fisia del gruppo Impregilo. Il valore tecnico del progetto Fide era stato giudicato in 4,2 punti, meno della metà del consorzio escluso che aveva ottenuto 8,6. Ma la Fibe si aggiudica lo stesso l’appalto perché offre un prezzo inferiore per lo smaltimento e una messa in esercizio più rapida.
In pratica, il termovalorizzatore proposto era tecnologicamente arretrato già nel 2000, non dava garanzie ambientali e nemmeno di qualità nell’energia prodotta. L’emergenza, sottolineano i parlamentari, fu interpretata solo nel senso di fare presto, ma non presto e bene.
La Fibe prometteva di consegnare il termovalorizzatore il 31 dicembre 2000. Il 2 gennaio del 2001 non solo non c’era il termovalorizzatore, ma le amministrazioni pubbliche non avevano nemmeno rilasciato le autorizzazioni edili necessarie ad aprire il cantiere.
Da quel momento in poi è stato un susseguirsi di trucchi per ripulire le strade e non per risolvere il problema.