L’hanno chiamata Artemide, l’operazione che ha messo al setaccio gran parte del Mezzogiorno d’Italia alla ricerca di reperti archeologici trafugati. Il 4 febbraio i carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale (TPC), con l’ausilio dell’Arma territoriale e mobile e con il supporto del 7° Elinucleo di Pontecagnano (SA), hanno eseguito 142 decreti di perquisizione emessi dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.
Si tratta di un’operazione senza precedenti per numero di obiettivi e forze impiegate. Le perquisizioni hanno riguardato numerose province del Meridione, come Agrigento, Avellino, Bari, Benevento, Caltanisetta, Caserta, Catania, Cosenza, Enna, Foggia, Napoli, Taranto, Teramo e Salerno, ma anche del resto d’Italia, come Arezzo Brescia, Latina, Milano, Pordenone, Roma e Viterbo. L’operazione, peraltro ancora in corso, ha permesso in un solo giorno il recupero di oltre 2000 beni archeologici, tra cui frammenti architettonici, monete italiche, vasellame apulo-canosino a figure rosse, metal detector e altri utensili finalizzati a ricerche e scavi clandestini. E’ stata inoltre sequestrata un’abitazione adibita a museo, al cui interno sono stati rinvenuti ben 550 reperti archeologici. A dare inizio alle indagini è stato il furto di una porzione di affresco dalla Casa di Nettuno a Pompei. Da qui i carabinieri sono risaliti ad un gruppo strutturato, operante nell’intera Italia Meridionale soprattutto in Campania e Puglia, dedito a scavi clandestini, ricettazione e illecita commercializzazione di beni culturali. Agli importanti recuperi del 4 febbraio vanno aggiunti gli 874 reperti archeologici rinvenuti nelle fasi preliminari di questa operazione quando, in collaborazione col Gruppo Patrimonio Historico della Guardia Civil, furono arrestati tre indagati.
Un lavoro meticoloso e incessante quello dei carabinieri del TPC che solo pochi giorni fa, a fine gennaio, hanno restituito al patrimonio culturale italiano ben 5361 reperti archeologici dal valore di circa 50 milioni di euro, provenienti da scavi clandestini effettuati in diverse regioni d’Italia: Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Sicilia e Sardegna. Si tratta di oggetti di assoluta rarità, quali anfore, crateri, corazze in bronzo, statuette votive, affreschi, kantharos, risalenti a un arco temporale compreso tra il VIII secolo a.C. e il III d.C. “Il più grande quantitativo di reperti archeologici mai recuperati in un’unica operazione”, così lo ha definito il Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. Il materiale era collocato in cinque depositi a Basilea e apparteneva a Gianfranco Becchina mercante d’arte di Castelvetrano. Il Generale Mariano Mossa, comandante dei carabinieri del TPC, ha spiegato che questo importante recupero è frutto di una complessa indagine internazionale denominata “Teseo”, coordinata dal procuratore aggiunto della Repubblica Giancarlo Capaldo, che ha fatto luce su un gigantesco giro d’affari che dalla Svizzera si diramava a Stati Uniti, Giappone, Inghilterra e Australia. Regista di questo traffico internazionale era proprio Becchina che aveva messo in piedi una “filiera” composta da tombaroli, collezionisti insospettabili, esperti d’arte e addirittura istituzioni museali. Becchina figurava già in un organigramma criminale sequestrato a Pasquale Crimea, altro noto trafficante di opere d’arte, nel corso di precedenti indagini che avevano svelato l’esistenza di società create al fine di eludere i controlli doganali e degli uffici di esportazione che non erano riconducibili solo a Crimea. Furono allora individuati i depositi di proprietà di Becchina e la moglie. Qui è stato scoperto un enorme archivio, denominato dalle forze dell’ordine Becchina dossier, costituito da 140 raccoglitori contenenti 13 mila fascicoli al cui interno sono state rinvenute fatture, foto e lettere a collezionisti. Una documentazione importantissima che, oltre ad aver permesso di ricostruire alcuni controversi passaggi di opere d’arte, mostra che i beni registrati e fotografati nell’archivio sono più numerosi di quelli ritrovati e che quindi, quasi certamente, esistono altri depositi in cui sono nascosti i reperti archiviati ancora non rinvenuti. Le indagini quindi continuano.
E’ probabile che sia organizzata una mostra per far conoscere al pubblico le migliaia di reperti recuperati. Concluso l’evento però l’idea di Franceschini è quella di restituire i reperti alle regioni cui sono stati sottratti dal momento che “l’Italia è un enorme museo diffuso, le opere non possono essere concentrate dentro un unico luogo che le conservi ma è importante valorizzare il patrimonio nel territorio di provenienza”. Il Ministro ha rassicurato i presenti garantendo che si sta lavorando per stabilire pene più severe per scoraggiare il traffico di opere d’arte e migliorare l’opera di controllo per evitare il ripetersi di simili azioni. Intanto Becchina, nonostante il Gup del Tribunale di Roma abbia emesso nel 2011 un provvedimento di confisca per i suoi magazzini e le opere in essi contenute perché “provenienti da scavi clandestini, furto e ricettazione”, vive serenamente a Castelvetrano senza aver scontato un solo giorno di galera, dato che il suo reato è caduto in prescrizione.