L’azione penale prevista dall’art. 570 c.p. punisce chiunque, abbandonando il domicilio domestico o osservando una condotta contraria all’ordine o alla morale della famiglia, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori o alla qualità di coniuge, con la reclusione fino ad un anno o con una multa fino ad € 1.032.

Questa pena si applica sia a chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore o al coniuge dal quale non sia legalmente separato.
La legge divorzile inoltre all’art. 12 sexies sanziona colui che si sottrae all’obbligo della corresponsione dell’assegno divorzile dovuto, con le pene previste dall’art. 570 c.p. e altrettanto prevede la legge n. 54/06 che ha introdotto l’affidamento condiviso, statuendo espressamente come, in caso di violazione degli obblighi di natura economica, si applichi l’art. 12 sexies della legge 1/12/1970 n. 898.
L’illecito viene punito a querela della persona offesa ovvero anche d’ufficio, allorché l’imputato faccia mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore.

IL FENOMENO DEL MARITO NULLATENENTE

Di coniugi poveri, privi apparentemente di qualsiasi reddito, ma possessori di fiammanti autovetture o di barche da crociera, o che comunque si sottraggono fraudolentemente, atteggiandosi a nullatenente, agli oneri di mantenimento dell’altro coniuge e dei figli, sono piene le aule di giustizia e non solo in Italia.
Basti dire che negli USA, tempo fa, il Presidente – ritenendo interesse sociale quello di garantire i mezzi di sostentamento ai figli e al coniuge economicamente più debole – istituì una forza pubblica di ispettori statali proprio allo scopo di stanare i genitori renitenti agli obblighi economici sottoponendoli alle conseguenti sanzioni penali ed al recupero forzato del credito a spese dello Stato.

LE MODIFICHE LEGISLATIVE NEL TEMPO

Va detto che inizialmente l’interpretazione della norma, prima delle riforma divorzile, era nel senso di sottoporre a sanzione penale solo quelle situazioni nelle quali sussisteva uno stato di bisogno e cioè nelle quali l’altro coniuge non fosse autonomamente in grado di provvedere al mantenimento proprio e dei figli, rimanendo in caso diverso soltanto azionabile l’illecito civilistico mediante gli ordinari mezzi di esecuzione forzata.
In seguito all’approvazione della legge sul divorzio e con l’introduzione dell’art. 12 sexies, nonché con l’art. 3 della legge n. 54/06, sembrava preclusa al giudice penale la valutazione dello stato di bisogno del beneficiario e quindi la condanna andava pronunciata anche allorché la moglie fosse in grado di provvedere autonomamente al mantenimento proprio e dei figli.
In tal senso in effetti la Cassazione fin dal 2001 con la sentenza n. 37419 del 17/10/2001 aveva precisato che l’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza al figlio minore ricorre anche quando vi provveda in tutto o in parte l’altro genitore con i proventi del proprio lavoro o con l’intervento di altri congiunti, atteso che tale sostituzione non elimina lo stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo, ma anzi ne costituisca la prova.
Dunque il reato si configurava per la semplice omissione della corresponsione dell’assegno nella misura statuita dal giudice della separazione, del divorzio o dal giudice minorile, indipendentemente dalla circostanza che tale omissione comportasse o meno un reale stato di bisogno per il beneficiario dell’assegno.
Anche un inadempimento parziale, (ex multis Cass. n. 7910/2000) era sufficiente ad integrare gli estremi del reato.
Mancando dunque la necessità di prova dello stato del bisogno del minore, o del figlio maggiorenne non autonomo, unica possibilità per ottenere il proscioglimento per l’inadempiente era quello di dimostrare in maniera rigida o comunque non equivoca l’impossibilità oggettiva di produrre reddito, per esempio per un sopravvenuto stato di malattia o per situazioni di simile gravità.

LO STATO DI BISOGNO

Attualmente si è tornati ad una valutazione più blanda della norma, (è da ritenersi anche per porre un freno alle innumerevoli denunce che vengono giornalmente proposte contro i mariti inadempienti).
Se si esaminano le sentenze anche della Corte Suprema si vede che la violazione di cui all’art. 570 c.p. (sottrazione agli obblighi di assistenza inerenti alla qualità di genitore o di coniuge) si configura purché venga dimostrato non soltanto il mancato pagamento delle somme, ma anche lo stato di bisogno per il beneficiario dell’assegno stesso, ritornandosi alla posizione pregressa.
In sostanza la Cassazione ha chiarito che, sul tema degli obblighi di assistenza familiare, non vi è interdipendenza fra lo stato di bisogno di cui all’art. 570 2° comma n. 2 c.p. e l’assegno liquidato dal giudice civile o comunque il provvedimento del giudice civile.
L’illecito in questione è rapportato unicamente alla sussistenza dello stato di bisogno dell’avente diritto alla somministrazione dei mezzi indispensabili per vivere ed al mancato apprestamento di tali mezzi da parte di chi vi è per legge obbligato.
Dunque oggi, affinché possa sussistere la violazione di cui all’art. 570 c.p. e quindi la condanna dell’obbligato, non basta dimostrare che il marito inadempiente non abbia provveduto al pagamento di quanto previsto dal giudice civile, ma è anche necessario dimostrare lo stato di bisogno del beneficiario.
Quindi, ove per esempio la moglie sia in grado comunque di mantenere i figli e se stessa indipendentemente dal versamento dell’assegno, e quindi manchi lo stato di bisogno, non si configura il reato.
In tale ipotesi ritiene il giudice penale che si tratti di una mera obbligazione civile che deve essere adempiuta mediante i normali mezzi di esecuzione forzata (pignoramento, condanna del terzo datore di lavoro ecc.).
In effetti la maggior parte delle archiviazioni delle querele proposte dal coniuge inadempiente ex art. 570 c.p. derivava proprio dalla mancata dimostrazione dello stato di bisogno, conseguente all’inadempimento del soggetto obbligato.
Va tuttavia detto che non tutte le decisioni sono conformi in tal senso e si annoverano talvolta orientamenti di merito e di legittimità diversi, (per es. Cass. n° 38125/2008 che statuisce come ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 570 comma II n° 2 c.p. l’obbligo di fornire mezzi di sussistenza ai figli minori ricorre anche quando vi provveda in tutto o in parte l’altro genitore con i proventi del proprio lavoro).

L’IMPOSSIBILITA’ DI PROVVEDERE

È invece confermato da una giurisprudenza costante come non risponda del reato il marito o il genitore il quale dimostri che la mancata corresponsione delle somme dovute, sia da attribuire al proprio stato di indigenza assoluta.
In questo caso infatti la indisponibilità di mezzi, se accertata e verificata in concreto, e prodottasi incolpevolmente, esclude il reato in parola, valendo come esimente.
Tuttavia va detto che pur essendo tale esimente eccepita frequentemente dalla difesa dal soggetto responsabile, ben difficilmente i tribunali, se non in presenza di una prova rigorosa in tal senso, aderiscono alla richiesta di proscioglimento.
Ciò anche in considerazione, almeno nei grandi centri, che un lavoro è pur sempre rinvenibile, salve le situazioni di compromissione grave della salute o sussistendo altre ragioni che impediscano l’attività lavorativa.
La Cassazione per di più ha anche chiarito che la condizione di impossibilità economica dell’obbligato vale come scriminante soltanto se si estende a tutto il periodo di tempo nel quale si sono reiterate le inadempienze, e cioè ove si rilevino situazioni incolpevoli di indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita degli aventi diritto.
In mancanza di tale rigorosa prova la condanna arriva puntuale.
Dunque l’imputato ai fini dell’esclusione della propria responsabilità è tenuto ad allegare idonei e convincenti elementi indicativi della completa impossibilità di far fronte ai propri obblighi.
Si noti sotto questo profilo che non basta sostenere di essere disoccupato e, anche di recente, la Corte di Cassazione Penale (n° 35612 del 22/09/2011) ha chiarito che, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la condizione di impossibilità economica dell’obbligato deve consistere in una situazione del tutto incolpevole e di assoluta indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita degli aventi diritto .
La prova di tale impossibilità incombe all’obbligato e non può ritenersi soddisfatta con la semplice e mera documentazione dello stato formale di disoccupato.

NON PAGO PERCHE’ NON E’ FIGLIO MIO

Talvolta il responsabile, per sottrarsi alla condanna, contesta il rapporto genetico e genitoriale con il figlio che dovrebbe beneficiare del provvedimento economico.
Tuttavia la Corte di Cassazione ha confermato l’obbligo, penalmente sanzionato, di corrispondere egualmente i mezzi vitali finché lo stato dell’avente diritto non muti a seguito di sentenza passata in giudicato.
Quindi non è sufficiente aver proposto un disconoscimento di paternità o l’esistenza di un procedimento in corso, e non è neanche sufficiente l’emanazione di sentenza se questa non è coperta dal passaggio in giudicato.
Ne consegue che l’eventuale controversia sul vincolo parentale non costituisce questione pregiudiziale rispetto agli accertamenti degli obblighi in questione e il soggetto obbligato non può affatto liberarsi da tale oneri adducendo semplicemente che il minore a cui si fanno mancare i mezzi di sussistenza non sia il figlio proprio.

DECADENZA DALLA POTESTA’ GENITORIALE

Ricordiamo infine che, anche allorché il padre sia stato dichiarato decaduto dalla potestà genitoriale, (violenze, indegnità ecc.) ciò non toglie ovviamente il dovere del mantenimento, trattandosi di un dovere di contenuto economico che persiste anche dopo la sospensione della potestà genitoriale.
Pur non potendo esercitare i propri diritti di padre, il soggetto obbligato è egualmente tenuto al sostentamento rispondendo, in caso di omissione, del reato di cui all’art. 570 comma primo e secondo c.p. (ex multis Cass. n. 4887/00).

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