Per la prima volta la civiltà nuragica è protagonista a Roma attraverso la mostra La Sardegna dei 10.000 Nuraghi. Simboli e miti dal Passato, allestita al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.
L’esposizione, in programma fino al 16 marzo, è promossa dalla Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria Meridionale e dal Comune di Ittireddu (SS). L’esposizione, curata da Flavia Trucco e Franco Campus, ideatore dell’evento e vice sindaco, è una rielaborazione di quella sarda “Simbolo di un simbolo” inaugurata nel 2012 nel piccolo centro sardo e poi ospitata al Museo Sanna di Sassari fino al 30 novembre 2013. Ed è proprio il Comune di Ittireddu, 580 abitanti, ad aver stanziato per l’evento 40.000 euro “con la speranza che questa spesa” come ha spiegato il sindaco Rosolino Petretto “comporti un ritorno economico attraverso un aumento di pubblico al nostro Museo, aperto nel 1985 e fondamentale per conoscere la storia della Sardegna”.
“La cultura è la nostra risorsa – spiega la Soprintendente dell’Etruria Meridionale Alfonsina Russo -, il patrimonio archeologico e artistico è la grande risorsa del nostro Paese. Mi auguro che lo capiscano”. Il riferimento alla classe politica è esplicito. La mostra fa parte di un progetto più ampio, come ha precisato Campus “dopo Roma sarà infatti allestita al Palazzo Ducale di Genova e poi a Firenze. Abbiamo messo a disposizione tutte le risorse economiche che un piccolo comune come il nostro è stato in grado di offrire”. Focus della mostra è il nuraghe, monumento che caratterizza fortemente questa civiltà tanto da averle dato nome e da essere diventato “pretesto per fare una mostra sull’architettura della Sardegna”. Sono esposte opere provenienti dai musei nazionali e civici della Sardegna che, sebbene quasi sconosciute al grande pubblico, testimoniano la memoria culturale del popolo nuragico. Per la prima volta inoltre i bronzetti sardi rinvenuti in Etruria Meridionale sono esposti accanto a quelli ritrovati sull’isola. “La mostra infatti è anche l’occasione per conoscere i rapporti che intercorrevano tra la civiltà nuragica e quella etrusca” spiega la Soprintendente Alfonsina Russo “nelle tombe di Vulci e nel santuario di Gravisca, legato al porto di Tarquinia, sono stati rinvenuti reperti nuragici che oltre a testimoniare gli scambi commerciali e i legami esistenti tra le due civiltà, mostrano l’importanza che all’epoca dovevano avere i nuragici nel Mediterraneo”.
Le immagini di un popolo
La mostra è divisa in quattro sezioni. Nella prima, Immagini di un popolo, è proiettato un documentario che attraverso suggestive ricostruzioni ripropone la vita quotidiana, le architetture e i rituali sacri evidenziando gli aspetti sociali ed il ruolo che la Sardegna occupò nel Mediterraneo fra l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro. La seconda, I luoghi e i simboli, offre uno spaccato dei numerosi luoghi, disseminati su tutta l’isola, che hanno restituito il simbolo di questa civiltà, ossia il modello in bronzo o pietra riproducente il nuraghe. Nella sezione Identità e orizzonti si vuole invece sottolineare il ruolo del monumento quale bene riconosciuto attraverso la riproduzione, in scala reale, di interni di nuraghi, altari e altri elementi che, a causa delle grandi dimensioni, non è stato possibile portare al Museo di Villa Giulia. Sono esposte anche due copie delle grandi statue di pietra raffiguranti un arciere e un pugilatore provenienti dal complesso cultuale e funerario di Mont’e Prama. Nella quarta sezione, Simboli e segni di memoria, è analizzata la funzione che le riproduzioni di nuraghe ebbero nel contesto di origine. E’ previsto un percorso per i non vedenti che potranno toccare le riproduzioni di alcuni degli oggetti esposti affinchè per loro “i reperti non rimangano semplici feticci dentro le vetrine”. La mostra è corredata di un catalogo in cui sono approfondite le tematiche esposte nella mostra.
Questa iniziativa sosterrà la popolazione della Sardegna colpita dalla recente alluvione. Sarà infatti possibile fare una donazione attraverso la Caritas – Parrocchia Nostra Signora De La Salette di Olbia (IBAN IT 42 M 03359 01600 100000069823, causale EMERGENZA ALLUVIONE OLBIA).
La civiltà nuragica: gli esploratori del Mediterraneo
La civiltà nuragica si sviluppa in Sardegna tra l’Età del Bronzo e gli inizi dell’Età del Ferro (XVII-IX sec. a.C.). Prende nome dal singolare monumento che la caratterizza, il nuraghe, elemento che ancora oggi rende unico il territorio sardo. E’ tra il XVII e il XIII secolo che, parallelamente ad una occupazione capillare dell’isola, vengono costruiti migliaia di nuraghi. Si tratta di architetture megalitiche, semplici o complesse, in origine alte oltre 20 metri, la cui costruzione dovette necessitare ingente forza-lavoro. L’imponenza doveva simboleggiare la forza e la ricchezza della comunità. Erano infatti sede di attività politiche, amministrative, militari e religiose. Gli insediamenti nuragici erano costituiti da un numero variabile di abitati, di luoghi di culto e di torri. Nel XII secolo però la costruzione di nuraghi si interrompe. Ci si limita a ristrutturare quelli esistenti. Cos’è successo? I nuragici, esperti navigatori, sono diventati i grandi protagonisti degli scambi commerciali del Mediterraneo. Grazie alla posizione strategica della Sardegna, punto di transito delle rotte verso Occidente e Oriente, apprendono, elaborano e ritrasmettono nuove tecniche metallurgiche. Le comunità nuragiche si riorganizzano ora in un sistema fortemente gerarchico, le cui élites, per legittimare il proprio potere politico e religioso e per ottenere un’adesione collettiva, scelgono come emblema l’architettura simbolo del loro passato: il nuraghe. Lo riproducono in pietra e in bronzo, in grandi o piccole dimensioni. Il modello di nuraghe diventa quindi l’elemento aggregante della comunità, espressione dell’unità sociale e della forza collettiva. Intorno ad esso “si crea un apparato figurativo e un insieme di arredi e corredi liturgici per l’espletamento di culti e rituali attorno al quale si crea una tradizione e si realizza il mito”. Il modello di nuraghe diventa il Simbolo di un Simbolo. Ed è per questo che lo ritroviamo nei cosiddetti bottoni, manufatti in bronzo di forma conica che sulla sommità presentano piccole schematiche riproduzioni di nuraghi o figurine di animali, in alcuni casi talmente miniaturistici da essere difficilmente riconoscibili. La forma, oltre ad escludere un loro reale utilizzo come bottoni, rende plausibile interpretarli come amuleti e doni cerimoniali. Questi bottoni compaiono anche in tombe villanoviane dell’Italia centrale. Raffigurazioni di nuraghe ricorrono su vasi ceramici liturgici, cioè funzionali all’esecuzione di un rituale. Sul vaso di Sardara per esempio è evocato l’intero edificio quadrilobato con torre centrale , torri laterali e terrazzo.
Il dominio dei mari
Una torre nuragica stilizzata la ritroviamo anche sulla sommità degli alberi di alcune navicelle votive, spesso sormontata da un anello con sopra un volatile. In due esemplari invece è rappresentato per intero un nuraghe quadrilobato: l’Arca di Noè dalla Tomba del Duce di Vetulonia e dalla navicello del nuraghe Cummossariu di Furtei. Nel caso della navicella del Re Sole, uno degli esemplari noti più grandi, è l’intero manufatto a simboleggiare il nuraghe: due simboli, il nuraghe e la navicella, si fondono per simboleggiare il segno del potere. La navicella diventa così la sintesi dei valori della Sardegna nuragica: il controllo del territorio simboleggiato dal nuraghe e il dominio dei mari simboleggiato dalla barca. Ognuno di questi modelli di nuraghe è fondamentale perché, riproducendolo nella sua interezza o nelle sue parti essenziali, permette di capirne la struttura reale e in particolar modo gli elevati che oggi purtroppo non si conservano più.