Non quelli che parlano meglio inglese, francese o tedesco ma i più competenti. Punto fermo al processo di snellimento nell’uso delle lingue in seno all’Unione europea messo dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 27 novembre 2012 nel procedimento che vedeva tra le parti l’Italia, la Lituania, la Grecia e la Commissione europea.
Uno stop che riapre la partita anche per il brevetto unico europeo, ancora in attesa dell’approvazione del Parlamento Ue che già aveva criticato i cambiamenti apportati dal Consiglio e rispetto al quale manca ancora la pronuncia su un ricorso italiano alla Cgue che potrebbe ora avvalersi di quanto statuito nell’arresto del 27 novembre.
Per l’Alta Corte europea, «conformemente all’articolo 27, primo comma, dello Statuto dei funzionari, le assunzioni devono assicurare all’istituzione la collaborazione di funzionari dotati delle più alte qualità di competenza, rendimento e integrità. Poiché tale obiettivo può essere meglio salvaguardato quando i candidati sono autorizzati a presentare le prove di selezione nella loro lingua materna o seconda lingua della quale si reputano maggiormente esperti, è onere delle istituzioni sotto questo aspetto effettuare un bilanciamento tra l’obiettivo legittimo che giustifica la limitazione del numero delle lingue dei concorsi e l’obiettivo dell’individuazione dei candidati dotati delle più alte qualità di competenza».
Il regno del trilinguismo – Bandi di concorsi annullati perché pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea in tre sole lingue, graduatorie in vigore per «preservare il legittimo affidamento dei candidati prescelti». Una scelta che salva i diritti dei concorrenti ma che sancisce con forza la fine del regno del trilinguismo nelle istituzioni europee e ribadisce la necessità di comunicare in tutte le 23 lingue ufficiali Ue per non discriminare nessun cittadino.
La definizione di cittadino è stata importantissima nel ragionamento dei giudici europei che proprio sulla distinzione tra quel termine e quello di funzionario hanno basato la necessità di ristabilire l’obbligo all’uso contemporaneo delle lingue ufficiali per i bandi di concorso. I funzionari infatti sono tenuti alla collaborazione con i pari grado afferenti in una qualsiasi istituzione Ue e quindi essere in grado di relazionarsi nelle lingue europee più comuni mentre ai cittadini deve essere garantita, anche in fase di prima lettura di un bando concorsuale, di comprendere a fondo quanto viene loro espresso per poi prendere decisioni consapevoli non inficiate da una “difficoltà” linguistica.
Contemperamento di esigenze – I giudici della Cgue hanno sottolineato l’esigenza di motivare la decisione di usare solo alcune delle lingue ufficiali qualora l’obiettivo da perseguire sia prioritario e proporzionalmente a quanto è necessario per raggiungerlo, affinché gli atti non vengano annullati. «Spetta alle istituzioni effettuare un bilanciamento tra l’obiettivo legittimo che giustifica la limitazione del numero delle lingue dei concorsi e le possibilità per i funzionari assunti di apprendere, in seno alle istituzioni, le lingue necessarie all’interesse del servizio», si legge nella sentenza. Troppo poco, in altre parole, affermare che per prassi le tre lingue maggiormente utilizzate sono inglese, francese e tedesco e che il numero degli stati entrati nell’Unione europea tra il 2004 e il 2007 aveva reso carenti le capacità di traduzione dell’Epso, l’ufficio europeo di selezione del personale attraverso il quale erano state avviate le procedure concorsuali.
Le prospettive future – Italia e Spagna, che si sono opposte sin dall’inizio al sistema del brevetto Ue proprio perché il nuovo meccanismo approvato nel giugno 2012 dal Consiglio dell’Unione prevede che l’iter di rilascio per il brevetto sia svolto in inglese, francese e tedesco, potrebbero ora rientrare in corsa anche su questo fronte, qualora vi fossero cambiamenti in merito al regime linguistico adottato. Sarebbe un passo importante in un processo trentennale che ancora non ha portato a trovare una procedura unica per i 27 membri Ue che taglierebbe le spese del contenzioso e per cui ora si sta procedendo con la procedura di cooperazione rafforzata.
Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza 27 novembre 2012, Italia contro Commissione europea