Secondo la Cassazione la consultazione popolare sull’energia atomica si terrà regolarmente il 12 e il 13 giugno, ma su un nuovo quesito che dovrà essere approvato dalla Consulta. Berlusconi si oppone ancora. Come saranno valutati inoltre i voti già espressi in Sardegna sul vecchio quesito? E quelli degli italiani all’estero che non avranno in tempo le nuove schede?

L’8 novembre del 1987, alcuni fanatici ambientalisti, come il presidente Berlusconi definì quell’80 per cento degli italiani che votarono, si espresse con un netto SI al referendum sul “nucleare”.
Gli Italiani scelsero (al referendum votò più del 65 per cento degli aventi diritto) l’abolizione dell’intervento statale nel caso in cui un comune non avesse concesso un sito per l’apertura di una centrale nucleare nel suo territorio, l’abrogazione dei contributi statali per gli enti locali che accettavano la presenza sui loro territori di centrali nucleari e infine l’abrogazione della possibilità per l’Enel di partecipare all’estero alla costruzione di centrali nucleari.

Effettivamente nessun referendum chiedeva la chiusura delle centrali nucleari allora presenti nel territorio italiano (Latina, Caorso, Trino Vercellese, Garigliano), ma si tagliavano drasticamente i finanziamenti statali, a dimostrare che la produzione di energia da fonte nucleare non è un buon investimento possibile per i privati. È anche bene ricordare che una centrale nucleare ha una vita media di circa 25-30 anni con costi di smaltimento elevatissimi e nel 1987 solo la centrale di Caorso fu chiusa prematuramente, le altre avevano già raggiunto i limiti di età.
Gli elettori italiani, comunque, manifestarono in maniera chiara la volontà di non scegliere il nucleare per l’approvvigionamento energetico.

Una centrale nucleare è un sistema a tecnologia complessa mediante il quale l’energia nucleare viene prodotta, controllata e trasformata in energia elettrica per l’utilizzo civile e industriale. Tra i vari tipi di reattore sviluppati il più comune è il reattore termico ad acqua pressurizzata (PWR =Pressurized Water Reactor), che trasforma l’acqua pompata nel reattore in vapore e, tramite una turbina, in energia elettrica.
L’elemento base della fissione nucleare è l’Uranio, che l’Italia deve necessariamente comprare dai paesi produttori (Canada, Australia, Niger, Namibia, Russia, Kazakhistan, Uzbekhistan) L’Uranio, inoltre, non è una fonte rinnovabile e nel mondo ce ne è assai poco. Nel 1991 è stato raggiunto il “picco”, cioè dal 1991 in avanti se ne sta consumando più di quanto ce n’è rimasto in natura: la leggenda dunque di un’energia completamente autoprodotta dall’Italia è così banalmente smentita. Inoltre, proprio per l’aumento della domanda e la scarsità della presenza, l’uranio negli ultimi anni ha decuplicato il suo valore passando da 7 dollari la libbra nel 2001 a più di 75 dollari attuali. I costi di produzione dell’energia nucleare sono stimati a 6,3 cent/ kWh contro 5,5 del gas e 5,6 del carbone: l’idea di un’energia per tutti a basso costo non trova realizzazione nella produzione di energia da fonte nucleare. Per una centrale da 1000 MW servono: da 150 a 200 t l’anno di uranio naturale, 30 t l’anno di Uranio arricchito, che comportano l’estrazione di 6.000.000 t di rocce uranifere, 1.000.000 t di acqua, 16.500 t di acido solforico, 270 t di fluoro gassoso ed enormi quantità di energia: un costo esorbitante.

Come molti ancora oggi ricordano, l’esito del referendum del 1987 fu decisamente condizionato dall’incidente di Chernobyl, avvenuto nell’aprile del 1986, nell’Ucraina sovietica.
Io ho visto Chernobyl e Prypiat. Ho visitato la centrale. Ho respirato per pochi minuti quell’aria malsana. Ho parlato con i familiari delle vittime del più devastante incidente planetario di carattere ambientale. Ma non è questa esperienza che alimenta le ragioni di un no responsabile.
È un “no” che ha nella sua ragione un “si” per uno sviluppo pulito, economicamente e ambientalmente sostenibile, cioè capace di futuro, per tutti, perché ne possano godere le generazione attuali e quelle future.

Nella tragedia della centrale di Chernobyl non si può dire quanti morirono, quanti si ammalarono, quanti non nacquero o nacquero malati. Tutto ciò rende decisamente più terrificante una catastrofe che è ancora lì, latente nell’aria velenosa. La radioattività è un veleno misterioso: si nasconde nell’atomo, nell’infinitamente piccolo, ma si manifesta in un male infinitamente grande, anche a distanza di anni. Quel luogo, circondato da una foresta nel delta del fiume Prypiat, è il segno che ciò che appare come bello, potente, “naturale” ai nostri occhi, può essere maledettamente malato, terribilmente senza speranza. E coloro che ancora oggi sostengono la produzione di energia nucleare circoscrivendo l’incidente di Chernobyl come dovuto all’imperizia e a tecnologie obsolete, sono drammaticamente smentiti dalla tragedia del Giappone che conferma purtroppo tutti i timori.
Nonostante la volontà chiaramente espressa dagli italiani nel 1987 (e ribadita nei giorni scorsi dai cittadini sardi chiamati per un referendum consultivo regionale), nonostante ancora non sia stato risolto il problema dello smaltimento e nel deposito delle scorie (non esiste un sito sicuro in un’Italia sismica e a rischio idrogeologico, tanto che la criminalità organizzata trova nel mercato illecito delle scorie radioattive uno dei suoi più proficui guadagni), l’attuale governo ha deciso di riorganizzare la produzione di energia elettrica tramite nuove centrali nucleari. La motivazione di una scelta tanto limitata e limitante è argomentata con la bassa produzione di anidride carbonica e di gas ad effetto serra, i gas responsabili del cambiamento climatico. Sarebbe vero se si escludesse dal bilancio dei gas serra l’estrazione di Uranio, il suo arricchimento radioattivo, lo smaltimento delle scorie e la costruzione e lo smaltimento dopo 20 anni della centrale, elementi che riportano la produzione di gas serra quanto quella dei combustibili fossili.

La questione è fondamentalmente scientifica: la scienza non è il luogo delle scelte, tale luogo è la politica; la comunità scientifica fornisce una fotografia del reale da cui si possono tracciare differenti scenari futuri, più o meno possibili, esplicitando il grado numerico della possibilità che si verifichino. Il politico e il cittadino, di fronte a questa fotografia, sono chiamati a scegliere. Cercare di confutare con ogni mezzo, fondamentalmente ideologico, i rischi e la non convenienza della produzione di energia da fonte nucleare, implica svalutare la politica della sua capacità di scelta, e dunque investire gli scienziati di responsabilità di cui altri dovrebbero farsi carico. A questa considerazione va aggiunto che, soprattutto nelle politiche ambientali, deve valere il principio di precauzione: se il rischio di incidente catastrofico fosse anche minimo, questo basterebbe a far valutare una politica differente di difesa e di promozione della vita sul pianeta oggi e soprattutto domani: in una democrazia puramente competitiva, fondata esclusivamente sul consenso, le future generazioni non hanno rappresentanti oggi, non sono una lobby di potere per il semplice fatto che ancora non esistono… Le questioni ambientali aprono quindi la possibilità di ripensare il modello di democrazia attuale, attraverso una politica animata da riflessioni condivise, fondata sulla deliberazione comune e dunque su un processo di inclusione.
Il complicatissimo referendum numero 3 del 12 giugno prossimo, chiede (al di là dei tecnicismi normativi) l’abrogazione delle norme che permetterebbero la costruzione di nuove centrali nucleari in Italia.
La scelta responsabile è la scelta che impone di guardare nel volto “l’altro a cui rispondere”, e l’altro oggi è rappresentato dalle nuove generazioni a cui occorre garantire futuro, pulito e senza scorie. Le generazioni future oggi non votano. Votiamo noi e dovremmo farlo anche per loro.

(fonte: cristianosociali.it)

Il nuovo quesito del referendum previsto per il 12 e 13 giugno

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