Ciò che rende uguali gli uni con gli altri è l’avere un’identità, ciò che ci distingue gli altri con gli uni è l’identità stessa; ma cos’è l’identità?
Il discorso sull’identità vanta moltissimi aspetti, impossibili da riassumere in un solo articolo se non si vuole rischiare di perdere dettagli importanti; quindi in questo articolo ci si occuperà specificamente della sua nascita, di come nasce l’identità, da dove arriva il suo primo gemito e in che direzione si muovono i suoi primi passi.
Iniziamo quindi proprio parlando di neonati. Già nel momento in cui l’individuo viene al mondo comincia per lui la socializzazione con le figure che lo accudiranno nei primi anni di vita; durante questa socializzazione, chiamata socializzazione primaria, si instaura nella coscienza dell’individuo l’altro: l’altro generalizzato. Identificandosi con gli atteggiamenti dell’altro e riflettendosi negli atteggiamenti che gli altri hanno nei suoi confronti, il bambino costruisce una sua prima identità, diventando ciò che gli adulti lo chiamano. Un bambino chiamato dai genitori “pasticcino” si comporterà davvero come un dolcetto. Mentre una bambina che si sente sempre chiamata in terza persona “è timida” nasconderà di certo la sua faccia. Ecco quindi il primo gemito di identità.
Nel momento in cui avverranno le socializzazioni secondarie, ovvero quelle che si avranno al di fuori della cerchia familiare, si continuerà a subire l’influenza della prima socializzazione, ma al tempo stesso si avranno indebolimenti e disillusioni delle convinzioni formatesi in questa. Allo stesso modo anche l’identità data dalla socializzazione primaria troverà conformità e contrasti con l’identità che si andrà a formare con la seconda, la quale seguirà gli stessi passaggi di identificazione e riflessione descritti per il primo gemito di identità; ovvero l’individuo si identificherà negli atteggiamenti degli altri, omologandosi a quello che la società vuole che sia, e si rifletterà negli atteggiamenti che gli altri hanno nei suoi confronti, diventando come gli altri lo chiamano. Una ragazzina che si vede spesso essere rivolta il vezzeggiativo carina, si comporterà come una bambina che ha la certezza di essere carina. Anche un ragazzino chiamato da tutti pestifero si comporterà davvero come tale. Ma attenzione, perché spesso non serve chiamare una persona con le parole, ma come abbiamo detto poc’anzi, bastano gli atteggiamenti. Quindi se non si vuole avere piccole pesti o aspiranti veline in casa attenzione agli atteggiamenti che si trasmettono ai bambini.
Quindi come nasce l’identità? Dalla famiglia, dagli amici, dagli insegnanti? Sono vere tutte queste opzioni, l’identità infatti è determinata da tutti i gruppi di cui l’individuo fa parte. Primo gemito fra tutti la famiglia, ma poi anche dal gruppo dei pari, dai gruppi istituzionali, ecc. i quali si possono identificare con i suoi primi passi. E da come tutti questi gruppi chiamano la persona, da come si rivolgono ad essa e dagli atteggiamenti che mostrano nei suoi confronti: l’identità di un bambino chiamato dalla madre “piccolo mio” e dai compagni di classe “secchione” non sarà troppo distante da quella di un piccolo dolce secchione.
Quindi i diversi gruppi di appartenenza danno diversi ruoli all’individuo, e l’insieme di questi ruoli comprensivo del contrasto tra gli stessi, forma l’identità. Pian piano che l’individuo crescerà potrà confermare determinati ruoli (probabilmente quelli con i quali si sarà maggiormente identificato), perderne alcuni (solitamente quelli meno radicati) e integrarne altri, ma qui passiamo già allo sviluppo dell’identità, argomento che esula da questo lavoro.
Una volta che l’individuo ha il possesso di un’identità ha il possesso di un mondo intero, perché l’identità avrà senso solo collocata all’interno di questo, il mondo di cui da adesso fa parte l’individuo. L’identità prevederà l’assegnazione di un posto ben preciso in questo mondo.
L’Identità nasce quindi da un rapporto dialettico con gli altri, ma anche con la realtà “oggettiva” di cui tutti facciamo parte (la quale è la prima ad essere nata in questo rapporto dialettico), sarà dunque influenzata dalla cultura cui apparteniamo, trovando senso nel suo linguaggio, e assumerà significato di volta in volta, dal contesto in cui ci troviamo.
I tipi di identità a cui possiamo attingere sono prodotti sociali propri della nostra cultura, della realtà sociale oggettiva di cui facciamo parte.
Nomen Omen dicevano i romani, intendendo dire che nel nome di ognuno era rinchiuso il suo destino, può sembrare una credenza esoterica ed arcana, ma in realtà non vi è niente di superstizioso in questo detto; infatti nel nome dei romani era di considerevole importanza l’agnomen. Divenuto poi cognome, l’agnomen era il soprannome, il quale veniva affibbiato alla persona e con il quale questa andava quindi ad identificarsi sviluppando in quella direzione buona parte della sua identità. L’agnomen veniva addirittura passato ai propri figli (proprio come il cognome) così si spiegano i vari Pappalardo, Della Vedova, Amatore, ecc. (giusto per citarne alcuni palesi) i quali spesso si identificavano con il soprannome del padre portandone avanti la tradizione e il destino. Appare quindi più sensata la sentenza Nomen Omen: il nostro destino è nel nome con la quale parleranno di noi le altre persone.
Così se la mamma chiamando il suo bambino “piccolo mio” e i compagni “secchione” creeranno un dolce secchione, c’è da chiedersi a questo punto in cosa ci sta trasformando il modo di chiamarci della società in cui ci ritroviamo ai giorni d’oggi. Una società che chiama i giovani perdenti, le donne oggetto e i vecchi rifiuti che conseguenze credete che avrà su queste persone? E una società che chiami gli uomini come bisognosi di vizi (e consumi), come deboli e traditori, come falliti se non facenti parte di un certo ambiente, come credete che renderà questi uomini?
La società probabilmente se è arrivata a questo ne ha trovato (consapevolmente o meno) un’utilità, e di questi meccanismi la pubblicità ne sa qualcosa, del resto siamo nell’ambito della profezia che si auto-avvera, argomento più che studiato in sociologia e psicologia sociale (e ultimamente anche in quella clinica), ma fortunatamente sapere come funzionano questi meccanismi è un primo passo per non farli avverare, per non cadere nel profetico Nomen Omen.