Una fitta rete di tubi attraversa la terra degli Ogoni, nella regione orientale del Delta del Niger. Il fiume ha reso fertile l’intera area, il petrolio custodito nel sottosuolo ha reso ricco chi lo estrae e chi gestisce i giacimenti, ma non la popolazione che sta perdendo tutto, anche la vita. In oltre mezzo secolo di sfruttamento petrolifero, il grosso impianto di condutture che per centinaia di chilometri collega i pozzi ai punti di stoccaggio non è mai stato rinnovato e senza continui e adeguati interventi di manutenzione la rete perde.


Il petrolio, goccia a goccia o a rivoli e zampilli, fuoriesce e pervade il terreno, si infiltra, lo imbeve, contamina la vegetazione, gli animali che se ne nutrono e a catena arriva fino agli uomini; pescatori, agricoltori o allevatori che siano non fa differenza. Le perdite di petrolio costano, la manutenzione ancor di più. Allora meglio le perdite, e far finta di ignorare le conseguenze ambientali e sanitarie.

Tre anni fa però, alle perdite ordinarie se ne sono aggiunte di straordinarie e quello che sembrava essere un problema locale che le istituzioni locali non erano in grado di affrontare e risolvere è diventata una questione internazionale giunta fino all’Onu che in un rapporto dettagliato ha conteggiato i danni, individuato le responsabilità e indicato un piano urgente di bonifica. Sul banco degli imputati ci sono la Shell e lo Stato nigeriano. Il dossier rende giustizia a una popolazione e a Ken Saro-Wiwa, lo scrittore che aveva denunciato il colosso petrolifero, una protesta civile e pacifica che gli è costata la vita.

 

50 sacchi di riso, fagioli, zucchero e pomodori

Il 28 agosto 2008 una falla nell’oleodotto Trans-Niger provoca una grande fuoriuscita di petrolio nella zona di Bodo. Per quattro settimane il getto non si riesce a interrompere, per altre quattro si lavora alacremente. La Shell denuncia la fuoriuscita di 1640 barili di petrolio. Secondo una stima indipendente, si sarebbe invece trattato di 4000 barili al giorno. La falla viene chiusa il 7 novembre. Un mese dopo, il 7 dicembre, si verifica una seconda fuoriuscita, dovuta sempre alla ogoniland_1vetustà dell’oleodotto. La segnalazione alla Shell è del 9 dicembre, dieci settimane dopo la compagnia petrolifera fa sapere che la riparazione è stata effettuata. E tutto quel petrolio che ha invaso l’area che fine ha fatto? Dopo aver cercato a lungo di ottenere la bonifica e un adeguato risarcimento da parte della Shell, l’anno scorso le 70 mila persone che costituiscono la comunità di Bodo hanno deciso di cercare giustizia nei tribunali del Regno Unito. La Shell – che nel trimestre luglio-settembre di quest’anno ha dichiarato utili per 7,2 miliardi di dollari -, ha inizialmente offerto alla comunità di Bodo 50 sacchi di riso, fagioli, zucchero e pomodori. Intanto, sollecitata da organizzazioni ambientaliste e da Amnesty International, è scesa in campo l’Unep, il Programma dell’Onu per la protezione dell’ambiente che ha analizzato in un dossier presentato in agosto i danni causati dall’inquinamento petrolifero nella regione di Ogoniland dove la Shell e la compagnia petrolifera statale nigeriana posseggono la maggior parte delle infrastrutture petrolifere.  «Ripristinare l’ambiente nell’Ogoniland potrebbe rivelarsi la più vasta e lunga operazione di ripulitura mai affrontata», riporta lo studio dell’Unep. «Il controllo e la manutenzione delle infrastrutture dei campi petroliferi nella regione sono stati, e  restano, inadeguati: le procedure della Shell non sono state applicate, causando così problemi di salute pubblica e di sicurezza».

Secondo l’Unep tra il 1976 e il 2001 sono state registrate oltre 6800 fuoriuscite di petrolio con un perdita di circa tre milioni di barili. Ma il dato potrebbe essere sottostimato. E l’operazione di bonifica potrebbe durare 25/30 anni. Costo minimo stimato: un miliardo di dollari. Il rapporto prende in esame i danni all’agricoltura e mette in luce l’elevato livello di contaminazione dell’acqua potabile che espone le comunità locali a gravi rischi per la salute. In un caso il tasso di un agente cancerogeno rilevato in un campione di acqua superava di 900 volte i limiti stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità.

“La Shell – ha dichiarato Audrey Gaughran, direttrice del programma Temi Globali di Amnesty International – deve arrendersi all’evidenza e affrontare il fatto che deve rimediare ai danni che ha provocato invece di continuare a sostenere falsamente che segue i migliori standard internazionali. Ci auguriamo che questo rapporto sia un campanello d’allarme per gli investitori internazionali che dovrebbero esercitare pressioni sulla Shell affinché eviti le perdite di petrolio, risarcisca coloro che sono già stati colpiti dall’inquinamento e dia maggiori informazioni sull’impatto delle sue attività”.

Le prime ammissioni (per la seconda volta)

Il 3 agosto il colosso petrolifero anglo-olandese ha ammesso la propria responsabilità in due gravi maree nere verificatesi nell’Ogoniland, e questo potrebbe positivamente condizionare il giudizio della corte britannica interpellata dalla comunità di Bodo. L’industria petrolifera si è insediata nel Delta del Niger nel 1958. Il settore, insieme a quello del gas, costituisce il 97% delle entrate commercio estero della Nigeria e contribuisce al 79,5% del bilancio del Paese.

In occasione della presentazione del rapporto “La vera tragedia: ritardi e mancanze nella gestione delle fuoriuscite di petrolio nel Delta del Niger”, curato da Amnesty International e dal Centro per l’ambiente, i diritti umani e lo sviluppo (Cehrd), la sezione italiana di Amnesty ha organizzato al Nuovo Cinema Aquila di Roma il 22 novembre, assieme alla Campagna per la riforma della Banca Mondiale e ad Aktivamente, una serata dedicata ai diritti umani della popolazione che negli anni Ottanta ha avuto in Ken Saro-Wiwa uno dei massimi esponenti letterari e autorevole portavoce delle rivendicazioni nei confronti delle multinazionali. È stato lui, nel 1990 a farsi promotore del Mosop (Movement for the Survival of the Ogoni People), il movimento che riesce a ottenere risonanza internazionale con una manifestazione di 300.000 persone. Saro-Wiwa finisce agli arresti e nel 1994, con l’accusa di aver incitato l’omicidio di alcuni presunti oppositori del Mosop, viene impiccato con altri 8 attivisti al termine di un processo farsa. Nel 1996 il Center for Constitutional Rights di New York avvia una causa contro la Shell per il coinvolgimento della multinazionale nell’esecuzione di Ken Saro Wiwa. Iniziato nel maggio del 2009 il processo termina subito: la Shell patteggia accettando di pagare un risarcimento di 15 milioni e mezzo di dollari.

United Nations Environment Programme
The True Tragedy Amnesty International dossier

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