La VIGILIA di NATALE.
In questo giorno, tradizionalmente dedicato alla VITA, mi sovviene la MORTE; eppure non è contraddittorio ai miei occhi.
Il fatto è che la MORTE non è uguale per tutti. Neanche lei… neanche la Morte è sempre la stessa.
Come ho ricordato ieri, nel giorno del 70° anniversario dell’uccisione di Giancarlo Puecher:
“L’amavo troppo la mia Patria, non la tradite, e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale. Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno quello che fanno e non pensano che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia. Ho sempre creduto in Dio e perciò accetto la sua volontà.”
Furono le ultime parole che questo giovane partigiano milanese, ucciso dai Fascisti ad Erba, lasciò scritte per i suoi familiari.
Julius Fučík scrittore, eroe e dirigente della Resistenza Cecoslovacca, fu impiccato a Berlino l’8 settembre 1943. Queste furono le sue ultime parole:
«Non dimenticate.
Vi chiedo una sola cosa: se sopravvivete a questa epoca non dimenticate. Non dimenticate né i buoni né i cattivi. Raccogliete con pazienza le testimonianze di quanti sono caduti per loro e per voi. Un bel giorno oggi sarà il passato, e si parlerà di una grande epoca e degli eroi anonimi che hanno creato la storia. Vorrei che tutti sapessero che non esistono eroi anonimi. Erano persone, con un nome, un volto, desideri e speranze, e il dolore dell’ultimo fra gli ultimi non era meno grande di quello del primo, il cui nome resterà.
Vorrei che tutti costoro vi fossero sempre vicini come persone che abbiate conosciuto, come membri della vostra famiglia, come voi stessi.»
Parole diverse, come si vede, certamente appartenenti ad atteggiamenti mentali, sociali, culturali, storici, spirituali diversi, eppure sembrano UGUALI.
Che cosa le accomuna? Un ventenne italiano e un quarantenne ceco uccisi a distanza di pochi mesi, il primo in Italia dai Fascisti, il secondo in Germania dai Nazisti, sono idealmente uniti dalle loro ultime parole, diverse, eppure curiosamente uguali? Perché?
Proprio perché non tutte le morti sono uguali. Queste parole sì: esse rivelano angoscia, atmosfera lugubre, silenzi bui e di evanescente tensione; si sente il terrore, il terrore di quei pochi o alcuni istanti prima di abbandonare la vita; perché queste morti sono il riflesso della loro fonte, i Regimi Fascista e Nazista, portatori di morte, lugubri, tetri, pianificatori di un Mondo dove tutto funziona perfettamente, anche le camere a gas, e l’Uomo non ha anima, non ha carattere, non ha poesia, non ha l’identità stessa di essere Uomo, ma ha semplicemente un ruolo, quello di essere pedina, di obbedire; il culto del non senso, della finalità inesistente.
Questo, appunto, ne deriva: la morte come quella di un Puecher, o un Fučík, fratelli nel momento finale della loro vita, pur non conoscendosi affatto prima, durante la loro vita .
Questa è la morte pianificata, ordinata, di Regimi di ordine, di assetto statico e indiscutibile, dove i treni arrivavano in orario a costo di uccidere; o dove persone normali, donne, vecchi, bambini, vengono disciplinatamente messe in fila per essere, con metodo e senza sbavature, precipitati nelle foibe, come nel Regime di Tito, con quale finalità… perché?
Solo perché in un fazzoletto di terra, per la gloria di un Dittatore, si sentisse parlare una lingua piuttosto che un’altra; non si vedessero più in giro certi tratti somatici e il loro posto fosse preso da altri.
Ma non tutte le morti sono così.
Ci sono le morti dell’impeto e della lotta per dei valori, per il proprio popolo e per la libertà, le morti dei combattenti baciate dal sole anche in piena notte, per una giusta causa, una causa dell’Umanità, non del Potere; penso alle ribellioni dei neri in Sud Africa ai tempi di Mandela; al Viet Nam, un popolo, una nazione piccola come un punto su una cartina geografica, l’unica che, nella storia di tutti i tempi, a tutt’oggi, abbia sconfitto l’America che, sulla stessa cartina, apparirebbe come una macchia; penso al riscatto dell’India di Gandhi, senza battaglie, ma con molti morti anche lì; penso al sorriso del Dalai Lama, che ho potuto vedere direttamente sul suo volto, e mi ha lasciato, non poco, stupito; e a tante altre situazioni create, per lo più, dall’Imperialismo dei Paesi colonialisti.
Così come c’è la morte dei mali fisici e sociali, dei delitti; o la morte naturale nel proprio letto, dopo aver arato, bene o male, il terreno della vita.
Anche se:
NON SAPPIAMO e NON POTREMO, probabilmente, mai sapere quale è il SUO punto di vista; il punto di vista della Morte, sul quale molta letteratura e molta filmografia ed altre forme d’arte si sono spese.
Che cosa c’è di così misteriosamente attrattivo dopo la morte? Di potente… di terribile! Che cosa ha intuito l’uomo e quando? E dove? Da essere la morte onnipresente durante tutta la sua vita; da essere accompagnata con rituali funebri complessi e ricchi di simboli, elevata da fatto della natura a fatto della cultura?
Forse c’è uno scambio tra i vivi e i morti in una misteriosa arcana dimensione… forse nel sogno, dove in un magmatico scontro di moltitudini primordiali si affrontano Eros e Thànatos, la pulsione di distruzione e la pulsione di autoconservazione, la pulsione di vita e la pulsione di morte, e resta alla fine un vago senso di indecisione, una stecca nel coro, un’imperfezione… e questa è vita!
Ma ecco, all’improvviso, alzarsi una voce ostile:
– È mistificatorio anche questo. Ancora chiacchiere e chiacchiere! Io Morte non ho nessun monologo da fare. Altri tra voi viventi sono autori dei miei monologhi, non io. Io sono e basta; anche se, per come voi mi vedete, non sono mai stata uguale in ogni tempo, né uguale in ogni luogo.
E questo è tutto.
Ma anche qui… non è altro che un mio brano questo, tratto dal libro LE STAGIONI – raccolta di racconti brevi e poesie – che ho pubblicato, con lo pseudonimo “Algor” nel 2004 – Maremmi Editore di Firenze.
“Il monologo della Morte”
Tuttavia esso ha almeno il valore della spontaneità e della buona intenzione, e come tale, voglio dedicarlo, oggi, al nostro Papa Francesco.
Ci sono rigurgiti di totalitarismo, di nazifascismo, nel Mondo; rigurgiti di quella morte che appariva, e ancora si vede in giro, come teschio sui cappelli, sui gagliardetti, sui labari, proprio perché si è persa o è vaga e svogliata la MEMORIA di QUELLE MORTI buie, quelle morti che immaginiamo invisibili, in un’aria tetra, fredda, illuminate forse, solo da uno o due riflettori che, indifferenti, dirigono lo stretto necessario degli spari.
Ma fin quando c’è Francesco in questo Mondo, fittiziamente proiettato verso la ricerca della felicità,
chissà…
E’ proprio con questa speranza in cuore e questo desiderio che, in questo magico giorno, dedico a lui le mie povere parole e i miei auguri per Natale, per l’Anno Nuovo e per una lunga vita con noi.