monument Valley

riserva navajoUna delle sei sedi americane della Peabody Western Coal Company, che qui estrae carbone per una centrale elettrica del Nevada, si trova proprio nell’ex selvaggio west, in Arizona nel bel mezzo della riserva indiana dei Navajos.

Impossibile non notarla

E’ impossibile non notarla nel tragitto che da Page porta ad Antelope Canyon, un canyon “slot” a spirale di una bellezza disarmante, una tappa obbligatoria prima di proseguire per la Monument Valley. Ma la centrale a carbone si nota anche dal lago Powell, un lago artificiale sul fiume Colorado, e la guida che accompagna con la barca i visitatori a quello che per la popolazione locale è un luogo sacro, il Rainbow Bridge National Monument – il ponte di pietra tra i più grandi al mondo, dicono, che i Navajos vorrebbero diventasse l’ottava meraviglia – ci tiene a dire che quella centrale che si vede sull’altopiano è la centrale a carbone “più pulita degli Stati Uniti”.

Si sa che gli americani devono sempre sottolineare che una cosa è “più” di un’altra e che loro hanno il non plus ultra, ma la scelta della localizzazione di questo impianto continua ad essere discutibile. A tal punto che, la stessa popolazione, dopo aver fatto per decenni affidamento sull’utilizzo del carbone per motivi economici adesso invoca un futuro basato sulle energie rinnovabili (e se non loro chi altro, verrebbe da dire?), rendendosi conto dei danni causati dall’inquinamento.

Anche se, per le oltre 300 mila persone che vivono nella principale nazione indiana d’America – estesa su tre Stati, l’Arizona, il Nuovo Messico e lo Utah – l’estrazione di carbone per la produzione di energia elettrica è stato il maggiore introito finora, dando lavoro a più di 1.500 persone e non è facile rinunciarvi quando il tasso di disoccupazione sfiora da quelle parti il 50%.

AntelopeMeglio gli elementi naturali
I Navajos stanno lentamente cominciando a capire che per produrre energia si deve tornare agli elementi naturali considerati da loro sacri, il sole e il vento; per la propria salute innanzitutto, già compromessa dalle miniere di uranio che a partire dagli anni ’40 spuntarono come funghi in tutta l’Arizona e che furono dismesse solo nel 2005, lasciando l’ambiente circostante comunque contaminato con livelli di radiazioni molto elevati e un’eredità pesante di scorie, testimoniata dall’alta incidenza di casi di cancro al polmone, alle ossa e alle disfunzioni renali tra la popolazione.

Dismettere l’estrazione di carbone è dettata anche dalla congiuntura economica, visto che i proventi del carbone sono diminuiti del 20%, per effetto delle leggi federali sull’inquinamento.

La produzione di energia solare ed eolica potrebbe finalmente essere un’alternativa possibile anche per la riserva Navajo.

E proprio su questo si è basata la campagna elettorale dell’autunno del 2010, coincisa con le elezioni di mid term, dei due candidati a presidente dei Navajos, Lynda Lovejoy, membro del Senato del New Messico, e Ben Shelley, vicepresidente della tribù e lui stesso nativo.

Entrambi hanno colto l’insofferenza dei nativi nei confronti delle attività estrattive che, secondo la loro religione, “feriscono” la terra e sono quindi contro natura e fanno male alla salute. La nascita della centrale di carbone proprio nella riserva è quindi percepita come l’ennesima imposizione dei bianchi accettata solo per motivi economici.

Sia Lovejoy che Shelley hanno puntato su programmi elettorali “ecologisti”, e prospettato delle alternative di sviluppo per il territorio al di là del carbone, a partire dall’ecoturismo e alla microimprese.

Lynda Lovejoy, in particolare, aveva scelto come vicepresidente l’ambientalista Earl Tulley e durante la campagna elettorale andava ripetendo gli slogan “sole e vento sono le più belle fonti di energia” e “la difesa dell’ambiente fa parte del nostro Dna”. A vincere la sfida “verde” per diventare presidente, è stato però il suo avversario, Ben Shelley, con il 52% di voti. A un anno quasi dall’inizio del suo mandato, i propositi elettorali di produrre energia da fonti alternative al carbone, sembrano però ancora lontani dall’essere concretizzati.

Antelope_Canyon_12Luoghi selvaggi
La questione, infatti, vista dall’esterno e con gli occhi di viaggiatori appassionati di quei luoghi selvaggi, ha delle sfumature diverse rispetto poi a chi quei luoghi li vive e ragiona con una logica diversa, di posti di lavoro che si perderebbero.

La centrale a carbone vicino la Monument Valley è ancora lì a bruciare i suoi fumi non propri innocui, nonostante sia attivo un movimento contro la Peabody Coal Company, e le ultime dichiarazioni del presidente Ben Shelley sembrano poco ecologiste.

L’Epa, l’ente di protezione dell’ambiente, ha ristretto l’uso del carbone stabilendo dei limiti e dei controlli sull’emissione di fumi inquinanti e in California ha fatto già chiudere due miniere. Adesso l’attenzione dell’agenzia è concentrata sul San Juan Generating Station, localizzato vicino Farmington in New Mexico. In particolare, quello che l’Epa chiede è di istallare delle apparecchiature che possano controllare le emissioni e quindi ridurle. Un’iniziativa che però pare non piaccia alla maggior parte dei Navajos, se il presidente Shelley qualche giorno fa ha inviato una lettera all’Epa in cui si dice che la decisione non tiene conto della volontà della gente che in quegli impianti ci lavora (la centrale elettrica di Farmington impiega 85 nativi americani e 635 lavorano nella miniera adiacente).

Insomma, quello che chiedono è che il controllo dell’inquinamento ci sia ma tenendo conto soprattutto delle ricadute economiche che la riduzione delle emissioni avrebbe.

Antelope_15Rivoluzione verde e sgravi fiscali anche per le riserve
D’altronde, c’è da dire che se la “rivoluzione verde” si vuole veramente fare nel selvaggio west, bisognerebbe anche chiarire la questione degli sgravi fiscali, assicurati dal governo statunitense per incentivare la produzione di energia rinnovabile, ma validi solo negli stati federali e non nelle tribù indiane.

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