Così i pubblici ministeri della Procura di Napoli, Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, sintetizzano il disastro rifiuti che da mesi (e non per la prima volta) attanaglia Napoli e la Campania.
In quattordici anni di commissariato straordinario per l’emergenza (un’emergenza quasi ventennale) rifiuti sono stati spesi oltre due miliardi di euro.
Ma il caso Napoli (che è anche un Caso Italia, tanto che l’Unione Europea ha aperto una procedura d’infrazione a carico del nostro Paese per l’incapacità nella gestione del ciclo dei rifiuti) ora non è più solo un’emergenza amministrativa. E’ anche un processo e il prossimo 25 febbraio nell’aula del giudice dell’udienza preliminare Marcello Piscopo è prevista la quarta delle undici udienze al termine delle quali il gup dovrà decidere sulle 28 richieste di rinvio a giudizio presentate a luglio scorso dalla Procura della Repubblica.
E’ l’altra faccia dell’emergenza, quella che va in scena al palazzo di giustizia. Gli atti dell’inchiesta offrono anche alcune “chiavi di lettura” per comprendere perché, in Campania, l’allarme rifiuti non ha mai smesso di suonare negli ultimi 14 anni.
Per chi lavorava nel commissariato straordinario “più durava l’emergenza più si guadagnava”. E si tratta di “guadagni inimmaginabili” rispetto ad altri settori della pubblica amministrazione. Così scrivono i Pm.
Tra i 28 imputati il presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, in qualità di ex commissario straordinario per l’emergenza rifiuti.
Nel corso delle tre udienze già trascorse, l’accusa ha ricostruito le responsabilità – secondo le conclusioni dei Pm – della gestione commissariale che avrebbe avuto interesse nel mantenimento della situazione di emergenza.
I magistrati della Procura hanno riferito casi di ingenti compensi e rilevanti rimborsi spese per i vertici del commissariato e hanno poi affrontato il tema dei vantaggi che avrebbero avuto amministratori e titolari delle aziende, in primo luogo l’Impregìlo, le quali non avrebbero rispettato i termini del contratto producendo, tra l’altro, negli impianti di Cdr (Combustibile da rifiuto) un materiale che non potrà mai essere utilizzato nell’inceneritore di Acerra ancora in costruzione da dieci anni.
Il ruolo del governatore Antonio Bassolino come commissario per l’emergenza rifiuti era amministrativo e non politico, affermano i pubblici ministeri, per cui il presidente della Regione era al corrente delle inadempienze riguardanti gli impianti di Cdr.
Abuso d’ufficio, truffa aggravata ai danni dello Stato, frode in pubbliche forniture sono i reati a vario titolo contestati ai diversi imputati. Tra questi, oltre Bassolino, che risponde di truffa aggravata e frode in pubbliche forniture, ci sono anche Raffaele Vanoli, ex vice commissario, Giulio Facchi, all’epoca sub commissario governativo, e i vertici dell’Impregilo, la ditta capofila e mandataria della Fibe, l’azienda che aveva ricevuto in appalto dalla Regione la gestione dei rifiuti: i fratelli Piergiorgio e Paolo Romiti e l’ex manager Fibe Vincenzo Urciuolo.
Bassolino, come ex commissario straordinario, avrebbe favorito la Fibe nella gara d’appalto per la concessione delle licenze per lo smaltimento dei rifiuti, lo stoccaggio delle ecoballe e la costruzione degli impianti.
Nel 1999 Bassolino avrebbe dato il via libera all’offerta del gruppo industriale italo-tedesco (della Fibe infatti facevano parte anche Babcock Kommunal Gmbh, Deutsche Babcock Anlagen Gmbh, ed Evo Oberhausen AG) penalizzando l’offerta delle imprese concorrenti, guidate dall’Enel. Un’offerta più cara ma, secondo gli esperti nominati dagli inquirenti, più valida tecnicamente.
Nonostante gli accordi prevedessero che l’impresa vincitrice avesse già i siti dove costruire gli impianti di Cdr e gli inceneritori, la Fibe fece ricorso a nuovi siti comprati, o affittati a spese del Commissariato, per l’occasione, senza accollarsi i costi di stoccaggio dei rifiuti in eccesso, come previsto nel caso in cui non fosse riuscita a costruire gli inceneritori in tempo.
Secondo la procura di Napoli, Bassolino avrebbe “sorvegliato”, in veste di commissario straordinario, in modo “distratto e compiacente”, lasciando la Fibe libera di gestire i Cdr senza controlli, producendo ecoballe non a norma.
In particolare i giudici sottolineano come la struttura commissariale, con l’avallo dell’Arpac (l’Agenzia regionale per la protezione ambientale) e dell’assessorato regionale all’ambiente, non solo ometteva i controlli sulle norme di sicurezza e di tutela della salute e dell’ambiente nei sette impianti di Cdr campani ma, tramite una lunga serie di “artifizi e raggiri”, come ad esempio “un’attività di prelievo e campionamento” assolutamente “non rappresentativa del reale processo di lavorazione”, “rappresentava falsamente la produzione di compost e Cdr conforme ai contratti stipulati con le aziende vincitrici della gara”.
Al banco della parte civile gli avvocati Pino Vitiello e Roberto Fiore, che rappresentano la Regione Campania. Quella stessa amministrazione di cui Bassolino è presidente ha infatti nominato un curatore speciale per costituirsi nel processo e chiedere i danni proprio ad Antonio Bassolino.
Non c’è solo la Regione tra gli enti pubblici danneggiati dal disastro rifiuti: l’elenco delle parti lese conta infatti 549 Comuni. In pratica, quasi tutti i comuni della Campania.
I numeri trasformano la vicenda giudiziaria in un maxi processo: ad ogni udienza sono centinaia le notifiche da controllare e il dibattimento dovrà districarsi tra le 140mila pagine dell’indagine raccolte in 140 faldoni. Ecco perché si annunciano, considerati i ritmi della giustizian italiana, tempi lunghi. Tanto da far ritenere assai probabile la prescrizione almeno di una parte delle accuse, quelle collegate al reato di abuso d’ufficio. Lo hanno già sottolineato, alle prime udienze, gli avvocati di parte civile e i rappresentanti dei comuni.
Basti pensare che l’udienza preliminare per decidere sulle richieste di rinvio a giudizio avrebbe dovuto cominciare a novembre 2007 e le conclusioni della Procura sono state depositate nel precedente mese di luglio. Le indagini si riferiscono a fatti compresi tra il 1999 e la fine del 2005.
Come non bastasse, a rendere ancora più traballante il traguardo processuale c’è l’indulto, approvato a maggio 2006. Fin da ora è possibile affermare con certezza che rientreranno nell’indulto (e dunque saranno cancellate) gran parte delle pene che potrebbero essere inflitte se i giudici dovessero ritenere colpevoli gli imputati.
E’ evidente però che la ricaduta di una eventuale sentenza di condanna sarebbe (o dovrebbe essere) anzitutto politica e dunque anche se la pena dovesse essere cancellata dall’indulto ne resterebbero le conseguenze. Oltre quelle politiche, anche le possibili condanne al risarcimento delle parti civili: la Regione Campania, i comuni e anche il Wwf che pure è stato ammesso tra le parti civili a tutela dell’ambiente.
Ma cosa fa, intanto, l’amministrazione (oltre a difendersi nei processi e ad attendere la soluzione dell’emergenza affidata al prefetto Gianni De Gennaro) per affrontare il problema rifiuti?
Poco o nulla.
L’unico nuovo progetto per il trattamento dei rifiuti, realizzato con il supporto tecnologico e di ricerca del Cnr, il Consiglo Nazionale delle Ricerche, è in fase di sperimentazione in Sicilia. Perché, confidano i tecnici del Cnr, “in Campania non c’erano le condizioni politiche”: un eufemismo per dire che nessuno ha risposto alla richiesta dei ricercatori di avviare la sperimentazione.
Il progetto si chiama Thor
(Total house waste recycling – riciclaggio completo dei rifiuti domestici) e si basa su un processo di raffinazione meccanica (meccano-raffinazione) dei materiali di scarto, i quali vengono trattati in modo da separare tutte le componenti utili dalle sostanze dannose o inservibili.
Come un ‘mulino’, l’impianto Thor riduce i rifiuti a dimensioni microscopiche, inferiori a dieci millesimi di millimetro. Il risultato dell’intero processo è una materia omogenea, purificata dalle parti dannose e dal contenuto calorifico, utilizzabile come combustibile e paragonabile ad un carbone di buona qualità.
“Un combustibile utilizzabile con qualunque tipo di sistema termico”, spiega Paolo Plescia, ricercatore dell’Ismn-Cnr e inventore di Thor, “compresi i motori funzionanti a biodiesel, le caldaie a vapore, i sistemi di riscaldamento centralizzati e gli impianti di termovalorizzazione delle biomasse. Infatti, le caratteristiche chimiche del prodotto che viene generato dalla raffinazione meccanica dei rifiuti solidi urbani, una volta eliminate le componenti inquinanti sono del tutto analoghe a quelle delle biomasse, ma rispetto a queste sono povere in zolfo ed esenti da idrocarburi policiclici”. E’ possibile utilizzare il prodotto sia come combustibile solido o pellettizzato oppure produrre bio-olio per motori diesel attraverso la ‘pirolisi’. L’impianto è completamente autonomo: consuma infatti parte dell’energia che produce e il resto lo cede all’esterno.
L’impianto riesce a trattare fino a otto tonnellate l’ora, è completamente meccanico, non termico e quindi non è necessario tenerlo sempre in funzione, anzi può essere acceso solo quando serve, limitando o eliminando così lo stoccaggio dei rifiuti. Inoltre, è stato progettato anche come impianto mobile, utile per contrastare le emergenze e in tutte le situazioni dove è necessario trattare i rifiuti velocemente, senza scorie e senza impegnare spazi di grandi dimensioni, con un costo contenuto: un impianto da 4 tonnellate/ora occupa un massimo di 300 metri quadrati e ha un costo medio di 2 milioni di euro.
L’impianto può essere montato anche su navi. In quest’ultimo caso, la produttività di un impianto imbarcato può salire oltre le dieci tonnellate l’ora e il combustibile, ottenuto dal trattamento, reso liquido da un ‘pirolizzatore’, può essere utilizzato direttamente dal natante o rivenduto all’esterno.
“Un impianto di meccano-raffinazione di taglia medio-piccola da 20 mila tonnellate di rifiuti l’anno presenta costi di circa 40 euro per tonnellata di materiale”, dice Paolo Plescia. “Per una identica quantità, una discarica richiederebbe almeno 100 euro e un inceneritore 250. A questi costi vanno aggiunti quelli di gestione, e in particolare le spese legate allo smaltimento delle scorie e ceneri per gli inceneritori, o della gestione degli odori e dei gas delle discariche, entrambi inesistenti nel Thor. Quanto al calore, i rifiuti che contengono cascami di carta producono 2.500 chilocalorie per chilo, mentre dopo la raffinazione meccanica superano le 5.300 chilocalorie”.
Un esempio concreto delle sue possibilità? Un’area urbana di 5000 abitanti produce circa 50 tonnellate al giorno di rifiuti solidi. “Con queste Thor permette di ricavare una media giornaliera di 30 tonnellate di combustibile, 3 tonnellate di vetro, 2 tonnellate tra metalli ferrosi e non ferrosi e 1 tonnellata di inerti, nei quali è compresa anche la frazione ricca di cloro dei rifiuti, che viene separata per non inquinare il combustibile”. Il resto dei rifiuti è acqua, che viene espulsa sotto forma di vapore durante il processo di micronizzazione. Il prodotto che esce da Thor è sterilizzato perché le pressioni che si generano nel mulino, dalle 8000 alle 15000 atmosfere, determinano la completa distruzione delle flore batteriche, e, inoltre, non produce odori da fermentazione: resta inerte dal punto di vista biologico, ma combustibile”.
Ecco cosa sarebbe possibile fare per programmare la normalità, invece dell’emergenza.
Infine, un interrogativo dovrà trovare risposta: chi paga? I danni all’immagine, all’economia, provocati dal disastro rifiuti, chi dovrà risarcirli? Se il “progetto criminoso” contestato dai pubblici ministeri dovesse essere confermato da una sentenza di condanna, la Corte dei Conti potrà chiedere ai responsabili di pagare. Secondo la legge il risarcimento del danno all’immagine è collegato alla commissione di un reato. I magistrati della procura contabile dovranno perciò atendere le conclusioni del processo per avviare un’eventuale azione di responsabilità nei confronti di quegli amministratori che dovessero essere condannati.