“Papà, ma Maradona è esistito veramente….?” Quando tuo figlio di otto anni ti fa una domanda del genere, allora comprendi che fra te e lui esiste qualcosa in più di una distanza generazionale.
E’ un era geologica, una lontananza epocale. Per chi, come lui, è nato nel 1996, Diego non è un calciatore ma una figura mitologica. Che so, tipo Achille, Prometeo, Polifemo. Iscritto inevitabilmente in un mondo fantastico ed epico che lui non può cogliere se non sul piano dell’immaginazione. Hai voglia di imbottirlo di cassette (si, le cassette, ve le ricordate le VHS?). Niente. Resta dubbioso. O comunque poco interessato.
Nel 2001 il Napoli veniva ingloriosamente retrocesso in serie B. Tre anni dopo, nel 2004, un Tribunale (c’è sempre un Tribunale che interviene ad un certo punto della storia, altro che deus ex machina) condannava la società, fallita, alla ignominia della serie C1.
Ma mio figlio aveva, sin da piccolo, una straordinaria passione per il calcio. Certo, un calcio squisitamente televisivo, reso tale dal prepotente avvento della pay per view. Ed allora, povero piccolo, a quel tempo, di chi si doveva innamorare? Chi poteva costituire, per lui, un punto di riferimento stabile al quale aggrappare il suo entusiasmo infantile?
Quelli erano gli anni dell’Inter. Dal 2005 in avanti è esistita soltanto una squadra in Italia: l’Inter di Josè Mourinho; vincitrice di cinque campionati di seguito (uno, per la verità, assegnatogli d’ufficio dal solito deus ex machina di stampo giudiziario), quattro coppe Italia, quattro supercoppe italiane, una coppa intercontinentale e, soprattutto, la mitica Champions League. Una sequenza impressionante che avrebbe soggiogato lo spirito di un adulto, figuriamoci quello di un bambinetto alle prime armi. Eto’, Zanetti, Maicon, Milito; da tutte le prospettive e tutte le angolature. Interviste, commenti, entusiasmo.
E il Napoli? Bisognava attendere le 19,00, quando il Tg regionale, finalmente, ti diceva se si era riusciti a battere il Cittadella o l’Albinoleffe, con goal di Calaiò. Il Pampa Sosa contro Ibrahimovic. Montervino contro Stankovic.
In queste condizioni, così come Luca Cupiello con il suo presepe, ogni tentativo di fare piacere a mio figlio la maglia azzurra era destinato a naufragare.
Poi, il miracolo. O almeno il male minore. Negli stessi anni, a Londra, ritornò prepotentemente alla ribalta un club che più di ogni altro era radicato nella storia e nelle tradizioni di un bellissimo quartiere della città: il Chelsea.
Un finanziere(?) di origini russe, investendo una fortuna, aveva riportato il Chelsea Football Club agli antichi splendori.
Il Chelsea indossava la maglia azzurra (blue, per la precisione) e annoverava, tra i suoi indiscussi protagonisti, Gianfranco Zola, stella del Napoli che aveva raccolto la pesantissima eredità di Maradona agli inizi degli anni ‘90. L’allenatore era Claudio Ranieri, anch’egli ex allenatore del Napoli. Insomma, con un po’ di buona volontà anche nel Chelsea si potevano trovare tracce di napoletanità. Il male minore. Tra Inter e Chelsea un padre disperato sceglie il Chelsea.
Del resto non fu difficile: gente come Didier Drogba, Joe Cole, Arjen Robben, Frank Lampard e Jhon Terry agli occhi di un bambino nulla avevano da invidiare alla corazzata nerazzurra.
Fu amore a prima vista. Sky sport sempre sintonizzata sul calcio inglese ed il Chelsea prima di ogni altra cosa.
Si, lo ammetto. Ho forzato un po’ la mano. Forse sono stato un po’ subdolo. Ma voi mi capite: potevo permettermi un figlio interista? Al sud l’onore è ancora una cosa seria.
Ma poi mica doveva essere una cosa definitiva? Si trattava soltanto di fare un po’ di melina in attesa di tempi migliori.
Sono stato ricompensato: i tempi sono giunti. Il miracolo si è compiuto. Il Napoli ritorna grande e oggi mio figlio è innamorato di Cavani, Lavezzi ed Hamsik. Orgoglioso abbonato della curva A.
Ma il destino è beffardo: il Napoli si va a giocare gli ottavi di finale di Champions League proprio allo Stamford Bridge, in casa dei “Blues”.
Sono stato in dubbio fino all’ultimo. Andiamo o non andiamo? Dovesse avere qualche turbamento? Qualche crisi d’identità?
Poi ho deciso: lo porto. Sarà come il “richiamo” di una vaccinazione. Sarà come una prova. Come un rito ancestrale di passaggio all’età adulta.
Ce la faremo, ne sono certo. Torneremo più forti e più “malati” di prima.
Vi farò sapere.