L’Italia dei campanili e delle regioni ha vissuto lo stesso processo di globalizzazione che ha uniformato il resto del mondo. Alcune tradizioni popolari sono sopravvissute, altre sono scomparse o sono approdate altrove perdendo il significato originario. Quando, un secolo fa, fu istituito a Roma il Museo delle Arti e Tradizioni popolari l’Italia giolittiana era in piena stagione coloniale.
L’attenzione per i nuovi mondi, un’industrializzazione alle porte e la preoccupazione di veder scomparire le tradizioni locali diedero vita al primo centro etnografico espositivo e di documentazione. Oggi è l’unico museo statale italiano con competenze demoetnoantropologiche e conserva più di centomila documenti, acquisiti dal 1906.
Il cinquantenario dell’Unità d’Italia
Dopo numerosi viaggi compiuti nei paesi extraeuropei, l’etnologo Lamberto Loria capì quanto fosse importante documentare la realtà agro-pastorale italiana minacciata, e già in parte modificata, dalla veloce industrializzazione. In occasione della mostra di Etnografia Italiana organizzata nel 1911 a Roma per celebrare il cinquantenario dell’Unità di Italia, lo studioso raccolse oltre tremila oggetti con l’aiuto di collaboratori inviati in ogni regione.
L’Esposizione internazionale
Il 1911 fu l’anno del giubileo laico, durante il quale si celebrarono i progressi fatti dalla nazione dal 1861. Per l’occasione fu organizzata un’Esposizione Internazionale a Firenze, Roma e Torino. A Roma furono allestite la mostra Etnografica e la mostra Regionale, nell’ex Piazza d’Armi. L’Etnografica fu organizzata come se si trattasse di un lungo viaggio attraverso il Paese: furono realizzati quattordici padiglioni, in ognuno dei quali furono ricostruiti gli spaccati maggiormente rappresentativi di ogni regione. La mostra era ospitata in due sedi: nel Palazzo delle Scuole gli oggetti furono esposti divisi in sezioni. In una sezione erano esposti l’oreficeria, gli oggetti di uso comune, mobili, coltelli; un’altra sezione era dedicata agli oggetti relativi alla religiosità quali carri e macchine per processione, presepi e amuleti; in un’altra sezione erano esposti merletti, tessuti, strumenti di lavoro e giocattoli. Nel Palazzo del Costume erano invece esposti i costumi e le maschere regionali.
Il congresso e la nascita del museo
Conclusa l’Esposizione, si svolse il primo Congresso di Etnografia Italiana, indetto per promuovere gli studi inerenti gli usi e costumi del popolo italiano, definire le linee metodologiche e soprattutto istituire il Museo Nazionale di Etnografia Italiana per la conservazione e tutela delle tradizioni regionali.
Questo significava riconoscere l’etnografia quale mezzo fondamentale per comprendere la storia culturale della nostra nazione.
La morte di Loria e lo scoppio della prima guerra mondiale ritardarono la realizzazione del progetto. Quando nel 1923 fu emanato il decreto istitutivo del Museo, subentrò il problema della mancanza di una sede adeguata. Gli oggetti, chiusi in casse, furono depositati inizialmente negli scantinati di vari musei, per approdare infine a Villa d’Este a Tivoli. Solo nel 1956 l’intera collezione fu trasferita nel palazzo dell’Eur, attuale sede del Museo. Gran parte degli oggetti esposti è databile al periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, sebbene ce ne siano alcuni, come ad esempio i manufatti lignei, che risalgono anche al Settecento o alla prima metà dell’Ottocento. Tutto il materiale documentario del Museo è attualmente fruibile al pubblico mediante numerosi servizi: la biblioteca, l’archivio storico che conserva documenti inerenti l’acquisizione degli oggetti, il gabinetto delle stampe, l’archivio fotografico, l’archivio sonoro, l’archivio di antropologia visiva, i depositi etnografici, l’ufficio inventario catalogazione e prestiti, il laboratorio di restauro e il laboratorio audiovisivo. Il Museo infatti, per la sua specificità ed unicità su tutto il territorio nazionale, è anche un centro di raccolta dati, di ricerca e di documentazione.
Il 7 ottobre 2008 è stato costituito l’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, all’interno del quale è oggi inserito il Museo. Il nuovo istituto ha il fine di salvaguardare e valorizzare il patrimonio culturale, materiale ed immateriale, e di promuovere iniziative di tutela.
Riti, feste e cerimonie
Il percorso museale è articolato in 3 grandi aree tematiche: La terra e le risorse, Vivere e abitare, Riti feste e cerimonie. Nella prima sezione, La terra e le risorse, sono affrontati i temi relativi al trasporto, al lavoro agricolo e pastorale, al lavoro marinaro e al lavoro artigianale; nella seconda, Vivere e abitare, compare il mondo domestico con i suoi arredi, i gesti del quotidiano, il ciclo della vita umana con i suoi riti e le sue cerimonie. La terza sezione, Riti feste e cerimonie, descrive le varie cerimonie, la musica, i giochi e gli spettacoli, gli abiti e gli ornamenti tradizionali usati per lo più nei giorni di festa.
La festa delle feste
In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia e del centenario della nascita del Museo stesso, il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari ha inaugurato una mostra che ha riproposto i luoghi, gli eventi e le atmosfere connessi alla Mostra Etnografica e alla Mostra Regionale realizzate a Roma durante l’Esposizione Internazionale del 1911. “L’idea”, spiega la direttrice Daniela Porro, “è quella di raccontare al pubblico un evento poco noto, che ha tuttavia lasciato tracce indelebili sia dal punto di vista scientifico nella successiva museografia etnologica italiana, sia da quello storico artistico nel tessuto urbanistico della Capitale”. Si è trattato di una sorta di “mostra delle mostre”, tra narrazione fotografica e ricostruzione documentaria. Un itinerario attraverso le opere che in quell’occasione vennero realizzate sotto la regia dei più importanti architetti dell’epoca e che hanno contribuito a delineare la configurazione attuale di interi quartieri di Roma. Sono stati esposti costumi tradizionali, monili, oggetti della quotidianità e della religione popolare. In questo modo è stata fornita una suggestiva ricostruzione di una parte del nostro passato, che è tappa fondamentale della nostra cultura e della nostra identità.
La mostra ha preso avvio dal volume “La festa delle feste. Roma e l’Esposizione Internazionale del 1911”. È stato inoltre eseguito un laborioso lavoro di ricerca documentaria, bibliografica e iconografica, svolto egregiamente dal personale dell’Istituto e che ha costituito l’idoneo supporto scientifico alla sua realizzazione.
La mostra si è conclusa l’8 gennaio 2012, ma al termine di altri eventi previsti negli spazi museali, verrà nuovamente allestita in modo permanente. Studiosi e pubblico potranno consultare tutti i materiali iconografici e documentari relativi alla mostra sul sito istituzionale (www.idea.mat.beniculturali.it).
L’omaggio a Cracovia
Il Museo, in occasione della beatificazione di Giovanni Paolo II, ha deciso di celebrare la città di Cracovia con una mostra dedicata ai suoi tradizionali presepi. L’iniziativa, visitabile sino al 29 gennaio, è sotto il patrocinio della Fondazione “Giovanni Paolo II per la Gioventù”.
La tradizione del presepe caratterizzato da stalla, Sacra Famiglia, magi, angeli e pastori, trae origine dai misteria ecclesiastici diffusi dai francescani. Inizialmente si trattava di rappresentazioni “viventi”. Solo successivamente si trasformarono in allegre rappresentazioni animate da personaggi appartenenti ai diversi livelli sociali e collocate all’interno di case e chiese. Nel XVIII secolo vennero proibiti i presepi “viventi” nelle chiese. Fu allora che si formò un presepio popolare rappresentato da apprendisti, studenti e ragazzi poveri. Se ne svilupparono due varianti: la prima, detta “di Betlemme”, era una piccola stalla con i personaggi della Sacra Famiglia; l’altra era un presepio di marionette che si muovevano su un palcoscenico teatrale, rappresentanti motivi biblici e attuali. Anche la forma del presepe mutò: dalla semplice stalla si passò ad una ricca facciata di chiesa.
I presepi di Cracovia riproducono forme architettoniche molto interessanti e rispecchiano quelle di edifici reali. Si tratta di una costruzione snella sovrastata da torri, nella quale possiamo riconoscere elementi miniaturizzati di edifici della città, fantasticamente elaborati e trasformati. Si tenga presente che spesso gli autori di simili presepi erano gli stessi muratori delle periferie che in inverno, privati del lavoro, cercavano alternative fonti di guadagno. Il livello artistico di questi presepi è altissimo. Esistevano due tipi di presepio: un tipo era di piccole dimensioni, destinato alle case; l’altro tipo era di maggiori dimensioni e vi si poteva allestire uno spettacolo teatrale di marionette. Ben presto fu preso come modello il presepio a forma di palazzo snello con torri, opera del muratore Michal Ezenekier.
Il successo riscosso da questo tipo di presepio sta nel fatto che essi avevano a diposizione, come fonte di ispirazione, una città considerata il santuario della storia e della cultura polacca: Cracovia. In questa città convivono infatti diversi stili architettonici, dal romanico al gotico, dal barocco al floreale. Nei presepi ritroviamo elementi dei diversi stili combinati tra loro. La tradizione dei presepi a Cracovia è ancora molto viva e sentita.
I presepi sono costruiti in cartone e listelli di legno, decorati con carta e carta stagnola colorata. Inizialmente erano illuminati con candele, successivamente con lampadine. Alcuni hanno meccanismi che riproducono musiche tradizionali natalizie e muovono i personaggi. L’effetto visivo è meraviglioso: uno scintillio di colori vivaci e rilucenti.
I presepi poggiano su cassoni nuziali finemente intagliati, in gran parte di origine sarda, databili tra fine Ottocento e inizi Novecento e appartenenti alla collezione originaria del Museo. Per la prima volta verrà esposto un presepe polacco appartenente alle collezioni del Museo, restaurato nel 2007 in occasione del salone del restauro di Ferrara dello stesso anno.
L’esposizione include nel suo percorso la Sala dedicata al Ciclo della Vita, nella quale oltre ai due presepi napoletani del Settecento, verranno esposti anche alcuni presepi di varie regioni italiane appartenenti alle collezioni museali. Passando tra questi presepi si ha l’impressione di passeggiare virtualmente in una città viva, colorata, colta nel mezzo di una festa.
Ranuccio Bianchi Bandinelli diceva: “Io perdetti l’arte dello studio tenace. Ma ne acquistai un’altra che mi parve assai superiore: l’arte di lasciar libera per il mondo la mia anima, di bere la scienza del capire più tosto di quella del sapere, di osservare e accogliere tutte le voci che parla la vita e l’universo delle cose create.”