Potrebbe essere stato il fato a farlo sopravvivere. Basri ne è convinto, ha 55 anni ed è rimasto solo. Una vita segnata dai lutti. I suoi tre fratelli maggiori nati morti o morti dopo pochi giorni. Poi la scomparsa del figlio e quella di sicuro non è stata per una casualità. Seyfi Aydin era andato a studiare a Istanbul all’università e dopo tre anni, improvvisamente, di lui si sono perse le tracce. Era la metà degli anni Novanta. Basri aveva raggiunto la capitale con la moglie, ma non aveva saputo nulla.
L’unica notizia data loro dalla polizia era che il ragazzo era diventato un ribelle antigovernativo, era stato fermato dagli agenti, ma poi se ne erano perse le tracce: scomparso dopo essere stato rinchiuso in una cella sotterranea di un commissariato. La madre di Seyfi, 39enne, muore poco dopo. Il padre no. Va avanti. Lavora come controllore di binari di una ferrovia, ogni giorno percorre una ventina di chilometri a piedi e il primo e il 15 di ogni mese invia una lettera al commissariato di polizia chiedendo notizie del figlio. La fatica e la solitudine sono spezzati dai notiziari radiofonici che accompagnano le sue giornate. Una vecchia e robusta radiolina di fabbricazione sovietica è l’unico contatto che l’uomo ha con il resto del mondo rappresentato dagli avvenimenti ufficiali. Basri ha bisogno di risposte ufficiali, le aspetta da diciotto anni.
Muffa (Kuf) fa riferimento a giovani realmente accusati di attività sovversiva dal governo e misteriosamente scomparsi in stato di fermo. Nel 1995 ogni sabato un gruppo di madri si dava appuntamento davanti al liceo Galatasaray di Istanbul per manifestare contro le autorità. Vennero chiamate le Madri del sabato, com’era accaduto in Argentina per le madri di Plaza de Mayo.
Qui non siamo però nemmeno nel Cile di Pinochet e Basri non è come Ed Horman di Jack Lemmon in Missing. Qui la speranza di poter riabbracciare il proprio figlio e il dolore della sua assenza hanno il sapore secco della polvere che si leva dalla ghiaia della strada ferrata, hanno la pesantezza dell’andatura a fine giornata, hanno la solitudine rumorosa dei pensieri di un padre che sopravvive quotidianamente, ma non cede.
Ali Aydin ambienta e gira il suo bellissimo lungometraggio d’esordio a Belemedik nella regione interna di Adana dove a inizio Novecento società e ingegneri tedeschi realizzarono la linea ferroviaria.
Autore anche della sceneggiatura, il trentunenne regista turco fa del protagonista un personaggio dostoevskiano che incarna il conflitto tra una verità da nascondere e una su cui far luce, e che con piglio e determinazione deve fare i conti con una realtà di sofferenza. L’epilessia, di cui soffre Basri, è il suo segreto poiché se resa nota gli costerebbe il posto di lavoro. La malattia rappresenta così la vulnerabilità del personaggio, il punto debole morale della sua condotta che è sempre stata onesta e impeccabile; un neo per lui che costantemente chiede alle autorità di non nascondere più nulla. Un peccato originale che Cemil, un collega invadente e ubriacone, inaffidabile e attaccabrighe, scoprirà e cercherà di utilizzare a suo vantaggio per nascondere le proprie malefatte.
Questo film che Aydin ha voluto concentrare sull’oscurità del proprio Paese per cercare di “garantire la luce di domani”, ha grandi pregi stilistici. In un lungo piano a camera fissa di 14 minuti e 30 secondi Basri (un ottimo Ercan Kesal) e l’ispettore di polizia (Muhammet Uzuner già apprezzato in C’era una volta in Anatolia di Nouri Bilge Ceylon) si affrontano in una sala del commissariato seduti uno di fronte all’altro, separati da un grande tavolo. I gesti dei due uomini, i silenzi, il loro studiarsi, le richieste dell’uno e l’interrogatorio dell’altro fanno di questo confronto un altissimo momento cinematografico.
Presentato alla Settimana internazionale della critica della scorsa edizione della Mostra di Venezia, Muffa si è aggiudicato il Leone d’ore come migliore opera prima, viene ora distribuito in Italia dalla Sacher di Nanni Moretti.
Ali Aydin firma un’opera d’esordio di grande compattezza visiva, densa ed emozionante, capace di restituire le situazioni attraverso immagini di grande impatto (belle la sequenza drammatica e rarefatta dell’incidente sul lavoro e la scena notturna dell’albergo con le finestre a dodici vetri su Istanbul) e grazie a una sapiente direzione degli attori, senza timore di puntare su un continuo gioco di sguardi e consapevole di essere riuscito a rendere una pagina dolente di un Paese che da anni vuole far parte dell’Europa.
Muffa (Kuf)
Turchia-Germania, 2012, 94’
Regia: Ali Aydin. Sceneggiatura: Ali Aydin.
Fotografia: Murat Tuncel.
Montaggio: Ayhan Ergursel, Ahmet Boyacioglu.
Interpreti: Ercan Kesal, Muhammet Uzuner, Tansu Bicer.
Produttori: Cengiz Keten, Sevil Demirci, Ali Aydin, Gokce Isil Tuna. Coproduttori: Falk Nagel, Jessica Landt. Produzione: Yeni Sinemacilar, Motiva Film, Beleza Film.
Distribuzione italiana: Sacher