Dal 9 dicembre, giorno in cui è nato l’omonimo comitato di protesta, il Movimento dei Forconi attraversa l’Italia con presìdi, manifestazioni di piazza e blocchi stradali. Da nord a sud la protesta si diffonde in tutto il Paese e, mentre i tir bloccano la frontiera con la Francia in Liguria (sull’Aurelia) e a Ventimiglia (Imperia), scendono in piazza al fianco degli autotrasportatori anche agricoltori, artigiani, studenti, imprenditori, precari, disoccupati: insomma più o meno tutte le categorie sociali.
Una situazione esplosiva a cui la politica guarda con particolare preoccupazione, soprattutto dopo i recenti avvenimenti che hanno sancito e sottolineato la debolezza delle istituzioni della Repubblica, messe ulteriormente in difficoltà dalla recente sentenza della Consulta sulla legge elettorale dichiarata incostituzionale. E così dopo l’allarme dei servizi segreti, rilanciato dal Ministro degli interni Alfano, circa le possibili infiltrazioni all’interno del movimento di protesta, si susseguono i vertici al Viminale in cui si esprime tutta la «preoccupazione» per gli avvenimenti in corso e si teme che «l’insieme delle cause di un disagio sociale possa provocare una deriva ribellistica contro le istituzioni nazionali ed europee». Un quadro certamente poco rassicurante. Un movimento di cui si sa poco o niente che improvvisamente sembra capace di innescare una rivoluzione in Italia. Ma chi sono in realtà, i cosiddetti “Forconi” che da giorni infiammano il Paese?
Chi sono i “Forconi”?
Nato in Sicilia fra il 2011 e il 2012, da un nucleo composto da agricoltori, commercianti e autotrasportatori, il Movimento dei Forconi, un anno fa, si rese protagonista di numerosi blocchi stradali per protestare contro l’aumento delle accise sulla benzina. Questa volta l’obiettivo è il governo Letta e, in generale, le politiche di austerità dell’Europa e dei vari governi. Nel manifesto postato sulla pagina Facebook del movimento si legge che “la protesta è contro il Far-West della globalizzazione che ha sterminato il lavoro e gli italiani, contro questo modello di “Europa”….”. I Forconi non sono fanatici dei social network e, quando li usano per esternare il loro pensiero, prediligono Facebook al più elitario Twitter. Così sempre su Fb ( https://www.facebook.com/pages/Movimento-dei-Forconi/254645254561355?fref=ts ), si legge che il Movimento è «un’associazione di agricoltori, pastori, allevatori stanchi del disinteresse, quando non del maltrattamento, da parte delle istituzioni». Ideatore del termine “Forconi” riferito alle proteste del 2011 , fu l’allevatore sardo Felice Floris mentre gli attuali leader della protesta sono fondamentalmente tre: Mariano Ferro, “inventore” del movimento e leader dell’area siciliana, Lucio Chiavegato, un artigiano, presidente dei “Liberi imprenditori federalisti europei” del Veneto e coordinatore dei forconi al Nord. Infine c’è Augusto Zaccardelli, segretario nazionale del “Movimento autonomo degli autotrasportatori” che si occupa del Sud. Se il movimento si dichiara lontano da ogni formazione politica, partitica o sindacale, le cose non stanno esattamente così. Alla mobilitazione hanno aderito associazioni sindacali e non, come i Cobas del latte, l’Associazione autotrasportatori, i Comitati riuniti agricoli. Oltre a queste associazioni si trovano, fra le file dei forconi, anche movimenti vicini alla destra extraparlamentare e gruppi nazionalisti come Forza Nuova, Casa Pound e il Movimento Sociale Europeo. Sin dall’inizio i «forconi» sono stati accusati anche di essere appoggiati, in parte, dalle organizzazioni mafiose.
“F” come Fascismo?
Sono tutte illazioni strumentali o indizi di qualcosa di più inquietante che si cela dietro le legittime proteste dei cittadini vessati dalla crisi? Per ora è impossibile dare risposte definitive, tuttavia c’è chi, galvanizzato dal successo della manifestazioni, si è lanciato in paragoni storici quantomeno azzardati accostando il Movimento dei forconi al Fascismo delle origini. La capacità di aggregare ceti sociali distanti fra loro, dagli agricoltori ai borghesi, e il movimentismo contagioso sono i tratti che a prima vista sembrano accomunare le due vicende storiche.
Il paragone con il fascismo delle origini si riferisce all’episodio storico del 1919 quando Mussolini, chiamato a raccolta il primo nucleo del futuro regime, fondò i “Fasci italiani di combattimento” in Piazza San Sepolcro, a Milano. Se è vero che anche i sansepolcristi erano abbastanza eterogeni nella loro composizione, è altrettanto vero che non si trattava di un movimento popolare ma di un esiguo numero di persone tra cui molti ex combattenti e alcuni intellettuali, come ad esempio Tommaso Marinetti, fondatore del “Futurismo”, il giornalista Michele Bianchi e Luigi Razza. Questo movimento fu inizialmente molto circoscritto e, pur avendo dei punti programmatici espressi nel manifesto, non ebbe molto seguito, come dimostra il fallimento alle elezione del 1919. Dunque il paragone fra il movimento dei sansepolcristi e quello odierno, dei Forconi, non sta in piedi. Una delle grandi differenze che distingue il Movimento del 9 dicembre da tutti gli altri movimenti organizzati (M5S compreso), è che i forconi non hanno nessuna rivendicazione particolare da rivolgere al governo o alle altre istituzioni. Più che un movimento organizzato si tratta di un moto generale di protesta che coinvolge tutte le fasce sociali colpite dalla crisi economica. Il successo della mobilitazione dipende dal fatto che il Movimento funziona come un franchising: chiunque metta su un presidio per esprimere rivendicazioni di carattere locale o nazionale, può far parte della protesta.
Le “Rivolte del pane”
Moti spontanei di protesta: persone stremate dalla crisi che, senza distinzioni di classe sociale o di categoria lavorativa, scendono nelle piazze spinti dalla disperazione e dall’insofferenza per le ormai continue vessazioni fiscali. Più che la nascita del fascismo la vicenda ricorda le “rivolte del pane” del XVII secolo, come quella descritta dal Manzoni nel XII capitolo de “I Promessi Sposi”. Se la vicenda letteraria è nota, vale la pena ricordare il contesto storico per molti versi molto simile a quello attuale: il ‘600 fu un secolo di crisi, in cui, dopo una prolungata fase di crescita demografica, si verificò una forte inflazione e un repentino innalzamento dei prezzi. Nel secolo che vide nascere la scienza moderna e le prime, rudimentali, forme di capitalismo in Inghilterra e in Olanda, alcune nazioni precipitarono in una crisi senza precedenti aggravata dai mutamenti climatici (piccola glaciazione) e dalle ripetute epidemie di peste. È il caso dell’Italia, che al tempo era, quasi completamente, sotto il dominio spagnolo. In questo contesto, nel 1628 nel ducato di Milano, già sofferente per una terribile carestia, un ennesimo aumento dei prezzi del pane, provocò una aspra ribellione. Allora come oggi, la protesta era alimentata dalla sfiducia totale negli uomini politici al potere: come il governatore di Milano, Gonzalo Fernández de Córdoba, troppo impegnato in questioni internazionali per pensare al popolo, o come il Gran Cancelliere, Ferrer, che ne prese il posto dopo la partenza di quest’ultimo. Nell’episodio raccontato dal Manzoni Ferrer usa la lingua italiana per promettere “pane e giustizia” al popolo, salvo poi dire tutt’altro in spagnolo, la lingua del potere sconosciuta ai più. Da questo punto di vista Ferrer è forse il personaggio più attuale dell’episodio: negli ultimi 20 anni abbiamo conosciuto molti politici auto dichiaratisi difensori del popolo ma pronti a parlare, dietro le quinte, lo stesso linguaggio delle élite economiche dominanti.
Altro secolo stessa storia: nel 1868, Luigi Menabrea, l’allora presidente del Consiglio italiano, per raggiungere il pareggio di bilancio introdusse la tassa sul macinato. Ancora una volta ne seguì una rivolta popolare, repressa nel sangue dal generale Cadorna. La vicenda però portò alla crisi di governo e alla fine della “destra storica”. Quando la rabbia popolare esplode non risparmia nessuno se, in nome di questioni internazionali o del pareggio di bilancio, si affamano le persone. Un monito che viene dal passato e interroga direttamente chi governa e chi cerca, invano, di fare l’identikit politico dei manifestanti stremati dalla crisi.