di
Paola Alunni

L’Italia che sale, l’Italia con Mario Monti. Che la strada fosse tutta in salita gli italiano lo hanno capito da un pezzo, quello che è meno chiaro è che Monti non è candidato e non potrebbe esserlo.

Ma come, direte, è lì che compare a tutte le ore, anche quando il televisore è spento e siamo qui a dire che non è candidato?
Tecnicamente no, è indicato come premier ma non può essere candidato perché è senatore a vita. Ma tanto è la stessa cosa, si dirà, sono questioni di lana caprina, direbbe lo stesso professore.
Eppure non è così, qualcuno ce lo sta facendo credere ma non è cosí. Andiamo per ordine.

Mario Monti è stato nominato senatore a vita dunque, essendo già componente del Parlamento, per l’inammissibilità (in Italia) del cumulo di mandati omogenei e siccome non si è dimesso da senatore a vita (né probabilmente potrebbe farlo, perché il “salvo rinuncia” della Costituzione vale per i senatori di diritto e non per quelli a vita), non potrebbe essere candidabile ed infatti non è candidato.

In sostanza sulle schede elettorali, che ormai sono già pronte, il nome di Mario Monti non c’è. Compare soltanto, il solo cognome, all’interno del logo della coalizione. Insomma: Mario Monti è un disegno, non è un candidato.

Nel 2005 Calderoli propose una legge che prevedeva che, presentando il programma comune, le coalizioni depositassero al Viminale il nome del candidato premier. L’allora presidente della Repubblica Ciampi si oppose perché riteneva che ne venissero lese le potestà di scelta del premier proprie del Capo dello Stato (giustamente). Ne uscì fuori il classico pateracchio, o meglio il famoso Porcellum, secondo il quale al Viminale le coalizioni avrebbero depositato il nome del Capo della Coalizione e le singole liste con il Capo della Forza Politica e le schede sarebbero state costruite mettendo affiancati nel medesimo rettangolo i contrassegni delle liste che indicavano lo stesso nome al Viminale, ma il nome non doveva comparire nel rettangolo.
Così facendo, il Capo dello Stato sarebbe stato forzato a nominare chi avesse ottenuto il maggior numero di consensi.
La Corte costituzionale, con la sentenza 23 del 2011, rispondendo al ricorso presentato dagli avvocati di Berlusconi (Ghedini, Longo Pecorella) secondo cui alla carica di Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe da riconoscere una “nuova fisionomia” in quanto ricoperta da “persona che ha avuto direttamente la fiducia e l’investitura dal popolo”, ha ricordato che “la disciplina elettorale, in base alla quale i cittadini indicano il capo della forza politica o il capo della coalizione, non modifica l’attribuzione al Presidente della Repubblica del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri, come da articolo 92, comma 2, della Costituzione, né la posizione costituzionale di quest’ultimo”.

Il nome di Monti è stato solo inserito nel contrassegno, che indica non il candidato, ma semplicemente il nome della lista (infatti Lista Monti), dove non c’è neanche scritto “presidente”, per non vincolare il Capo dello Stato e non vincola nemmeno l’indicazione di Monti a capocoalizione all’atto del deposito al Viminale delle liste della sua coalizione.
La legge elettorale, del resto non impedisce di scrivere i contrassegni come meglio si crede (salvo limiti di precedenza nel tempo, come abbiamo visto, e quelli connessi alle religioni, etc..).

E’ dal 1994 che sono comparsi contrassegni con i nomi e dal 2001 con indicazioni esplicite come “Berlusconi presidente”, indicazioni che però non valgono niente sotto il profilo giuridico.

Tutto questo, però, implica che Mario Monti in quanto tale, non in quanto nome a cui si ispira una lista, non potendo ricevere nemmeno un voto non potrà mai dimostrare il suo peso politico (non che ne abbia bisogno, risponderebbe il suo ufficio stampa, ma la questione è, per noi cittadini, di chiarezza).

In sostanza, Monti non potrà mai dire, che fa sempre qualcun altro, “sono stato votato da un milione di italiani e non si può tradire la fiducia degli elettori” (non che la cosa poi abbia in passato portato enormi benefici per la nazione, comunque, al solito, è una questione di correttezza di informazione nei confronti di chi andrà a scegliere alle urne) perché nessuno troverà in nessuna scheda il nome di Mario Monti da barrare.

Qual è il problema? si chiedono i suoi sostenitori.
Il problema è che dopo il 26 febbraio, quando si dovranno fare i conti con la governabilità del Paese un qualsiasi eletto tra le liste che hanno sostenuto Mario Monti (nel senso che si sono riconosciute o sotto il simbolo della lista che porta il suo nome o che hanno dichiarato di essere alleati) potrebbe alzarsi e dire: io sono stato scelto da 2 milioni di italiani quindi posso fare io il presidente del Consiglio. Ipotesi poco verosimile, è vero, ma comunque  lo potrebbe dire: basterebbe che risultasse il più votato nella coalizione.

Va detto, andrebbe detto, inoltre, che chi dovesse – per ignoranza visto che nessuno lo ha spiegato – scrivere “Mario Monti” sulla scheda elettorale accanto al simbolo della lista che porta il suo nome, non provocherebbe l’annullamento della scheda perché, per il principio della conservazione del voto a patto che la volontà dell’elettore sia chiara, sarebbe nulla solo l’indicazione del nome ma resterebbe valido il cosiddetto voto di lista. All’interno di quella lista però, che ha ricevuto un certo numero di voti “anonimi” grazie al fatto che chi scrive Monti è come se avesse votato genericamente la lista, quei voti (perché il nome non vale) andranno agli altri candidati della lista, ripartiti secondo il sistema proporzionale, e quindi ci sarà qualcuno che si troverà con tanti voti attribuiti e difficilmente poi – politicamente parlando – accetterà di farsi da parte e “buttare” di fatto quei voti. Dunque questo aumenterà la litigiosità interna alla coalizione a tutto svantaggio della stabilità politica.

Ciò dimostra ancora una volta, ove ce ne fosse bisogno, che, come ha dichiarato anche il presidente Napolitano, chiunque può fare il Presidente del Consiglio, anche un disoccupato o un professore universitario. Verissimo, salvo poi nominarlo senatore a vita per dargli una sorta di legittimazione parlamentare.

Resta il fatto che agli elettori questo punto andrebbe spiegato chiaramente: Monti non è candidato, è indicato come ipotetico premier (e lo stesso vale per tutti gli altri nomi che si “candidano” a presidente del Consiglio) e non è detto che possa fare il presidente del consiglio. Soprattutto perché per Mario Monti non varrebbe neppure lo slogan demagogico (e falso, costituzionalmente parlando) del “mandato ricevuto dagli elettori” che pure in qualche modo la Corte costituzionale ha ammesso che, sul piano etico-politico, può anche essere considerato. Monti infatti non avrà ricevuto nessun “mandato” (nonostante questo giuridicamente non esista e, anzi, la Costituzione lo vieti espressamente come ricorda Manlio Giombini nell’articolo pubblicato da Golem il 18 gennaio scorso e correlato a questo)

Ma forse questo sarebbe pericoloso ammetterlo perché significherebbe ammettere che l’esclusione del candidato Amedeo Monti, fatta dal Viminale, non è stata forse correttissima, perché Amedeo, lui sì, era candidabile.

Caso Ingroia
Anche il candidato premier Ingroia dovrebbe spiegare ai suoi elettori che a Palermo non è eleggibile. lana caprina anche qui, ma chi si candida come baluardo della legalità dovrebbe spiegare cosa è legale e cosa è possibile e, preferibilmente, dare quello che una volta si chiamava il buon esempio ma che oggi è praticamente scomparso dalla nostra vita quotidiana, soprattutto politica.

Ingroia è candidabile, ma a Palermo non è eleggibile secondo la normativa vigente sull’eleggibilità dei magistrati nello stesso distretto dove hanno prestato servizio. Il giudice, peraltro, non si è dimesso dalla magistratura (è in aspettativa per motivi elettorali) e fino al giorno prima si è occupato di indagini anche molto scottanti in Procura a Palermo (la famosa inchiesta sulla trattativa Stato/mafia, ad esempio). É inutile quindi che il magistrato nelle trasmissioni televisive si arrabbi tanto, come già successo da Lucia Annunziata con il direttore Sallusti che, in maniera ovviamente provocatoria, gli  avanzava questa obiezione. Basterebbe, anche in questo caso, illustrare in maniera molto pacata agli elettori che in Sicilia, qualora fosse eletto (cosa peraltro probabile) dovrebbe cedere il posto al secondo in lista. Certo, volendo dare il famoso buon esempio, sarebbe stato bello non averlo visto per niente capolista in Sicilia, anche correndo il rischio di non essere eletto per non aver raggiunto in quorum in un’altra regione. Ma sarebbe stata davvero una bella campagna elettorale, all’insegna della correttezza, del buon esempio che a volte fanno il paio con legalità…. E chissà quali risultati si sarebbero raccolti…

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